Gianluca Manzini / Francesco I. Scalas – Slogan

La mostra SLOGAN, a cura di Micol Califano, espone le opere degli artisti Gianluca Manzini e Francesco I. Scalas nei suggestivi spazi del Castello di San Terenzo.
Comunicato stampa
La mostra SLOGAN, a cura di Micol Califano, espone le opere degli artisti Gianluca Manzini e Francesco I. Scalas nei suggestivi spazi del Castello di San Terenzo.
Studiare e destrutturare il linguaggio scritto, i segni, e soprattutto la comunicazione, è uno
degli obiettivi principali di entrambi gli artisti. Il linguaggio della pubblicità è forse quello
che conosciamo meglio, o forse quello con cui siamo più abituati a interfacciarci nell'era
capitalista, in cui ognuno è il brand di sé stesso. Prendere questo linguaggio, che è per
sua natura rapido, coerente, semplice e intuitivo, per romperlo, complicarlo, aprirlo e
renderlo contraddittorio. Svuotarlo quindi della sua funzione fondante, ossia
l’immediatezza comunicativa. Il progetto espositivo mira ad esporre i risultati di uno sguardo che vuole indagare, che si immerge nelle cose e si sofferma su dettagli apparentemente insignificanti, per poter compiere poi una rielaborazione personale.
Entrambi gli artisti ragionano sui linguaggi della città. La comunicazione di massa trova la sua principale fonte di diffusione nella città e questa si adatta e si modella a seconda dell’informazione che vuole essere trasmessa.
Per la mostra SLOGAN, Gianluca Manzini si sofferma principalmente sulla comunicazione e i suoi mezzi: le insegne e le strutture dei manifesti pubblicitari sono al centro della sua ricerca. Ciò che viene indagato è il supporto e la sua conformazione, quali materiali vengono usati e soprattutto come vengono assemblati per veicolare i diversi messaggi a tutti i cittadini. L’artista utilizza un insieme di linguaggi differenti per innescare una riflessione nell’osservatore verso la conformazione della città e del linguaggio pubblicitario in continua evoluzione.
Francesco I. Scalas si concentra invece sulle parole, il loro significato e su come queste organizzino e definiscano lo spazio. Le parole perdono il loro significato, tornano ad essere lettere e segni estratti dal contesto cittadino, per svuotarli della loro valenza semantica. Frammenti grafici e linguistici di grandi dimensioni nei banner pubblicitari, progettati e stampati per risultare leggibili a distanza, diventano indecifrabili una volta sradicati dal loro contesto e osservati da vicino. Spesso l’elemento tipografico viene abolito del tutto per focalizzarsi sul supporto di cui si servono le strategie pubblicitarie per comunicare. Questa ricerca si evolve nello studio e nell’approfondimento degli oggetti, rubati alla città o realizzati con materiale proveniente dalla sfera della comunicazione pubblicitaria, che inseriti nel contesto espositivo assumono nuovi significati.
Gli artisti
Gianluca Manzini (1995) è un artista e grafico professionista nato a San Terenzo (Lerici,
- SP) e basato a Milano. Ha studiato per 5 anni presso l’Accademia di Belle Arti, percorso
che lo ha portato ad intraprendere una ricerca artistica focalizzata principalmente sul
segno e il linguaggio grafico. L’interesse dell’artista si concentra principalmente su come
la vita di tutti i giorni venga plasmata dalla somministrazione di bisogni tramite la
produzione massiva ed esperta di beni di consumo. La sua ricerca tratta della
veicolazione del segno nella metropoli, in particolare tutti gli interventi delle aziende nella
città, che siano tramite il prodotto, la pubblicità, le insegne o altro. Questo lo ha portato a
pensare a come ogni giorno non consumiamo solo prodotti alimentari, ma anche e
soprattutto immagini che vediamo quotidianamente, in strada e a casa.
Francesco I. Scalas (1996) è un artista nato e cresciuto a Milano. Dopo aver conseguito
il Diploma Accademico di Primo Grado presso l’Accademia di Belle Arti di Brera in
Grafica d’Arte, ha concluso il suo percorso di studi con il biennio di Arti Visive e Studi
Curatoriali presso NABA, Nuova Accademia di Belle Arti. In linea con le teorie
Situazioniste, essenziali per la stesura di entrambe le due tesi di laurea, la sua pratica si
fonda sulla concezione dello “scoprire facendo”. Una poetica dell’assimilazione che rifiuta
la credenza nell’univocità di un senso imposto, a favore della plurivocità e della
reciprocità degli utilizzi. Appropriazione come ricezione attiva e creatrice. Frammenti del
contemporaneo, dell’esterno, della città, fanno irruzione nell’atelier. Lettere, composizioni
tipografiche, elementi funzionali e tecnici estratti dal contesto cittadino vengono
smembrati e svuotati dalla loro valenza pratica o semantica, sradicati dal loro insieme per
essere osservati da vicino.