Niente marce indietro, please. Continua su Artribune la querelle Paparoni-Bonami

“Non gli rispondo perchè dice solo cose prive di senso, particolarmente su Aiweiwei”. Non si fa attendere la risposta di Francesco Bonami all’affondo di Demetrio Paparoni, che dalle colonne di Artribune stigmatizzava alcune posizioni del critico su Anish Kapoor e Ai Weiwei. “Dove io ho detto che le autorità cinesi hanno trovato una scusa ottima […]

Non gli rispondo perchè dice solo cose prive di senso, particolarmente su Aiweiwei”. Non si fa attendere la risposta di Francesco Bonami all’affondo di Demetrio Paparoni, che dalle colonne di Artribune stigmatizzava alcune posizioni del critico su Anish Kapoor e Ai Weiwei.
Dove io ho detto che le autorità cinesi hanno trovato una scusa ottima per incarcerarlo non ho certo dato ragione alla cosa – scrive Bonami in una lettera ad Artribune -, ho firmato anche una petizione in suo favore. Su Kapoor poi i suoi argomenti sono imbarazzanti. Si vada a leggere TAR 5 dove c’e’ una mia intervista ad Aiweiwei”.

Ma ad alimentare la querelle – che possiamo annunciare domani avrà un nuovo punto di vista “esterno” – arriva la controreplica di Demetrio Paparoni, che vi proponiamo qui di seguito. Insomma, noi i dibattiti li apriamo, perché non provate ad alimentarli partecipando con le vostre opinioni?

“Perseverando nel ricalcare le strategie della peggiore classe politica, Francesco Bonami afferma qualcosa per poi dichiarare di essere stato frainteso. In risposta a quanto da me sostenuto su “Artribune” del 26 maggio 2011 (ripreso ieri dal “Corriere della Sera” in un articolo a firma Pierluigi Panza), Bonami minimizza le sue critiche ad Anish Kapoor. Lo avrei frainteso, insomma. Giusto per dare un’idea del tono della sua recensione su “Vanity Fair”, Bonami scrive della famosa scultura Cloud Gate di Chicago: “La chiamano ‘il fagiolo’ sia per la sua forma sia perché fatta di aria, elemento prodotto dai fagioli in grande quantità”. Come sempre, i commenti di Bonami non hanno nulla a che vedere con la critica d’arte. Ma quello che più colpisce è il suo sentirsi frainteso riguardo all’articolo su Ai Weiwei (che chiunque può leggere sul web), portando a sostegno di tale fraintendimento una sua intervista all’artista cinese pubblicata su “Il Riformista” e un servizio apparso sulla rivista “TAR”. Peccato che, dopo aver a lungo cercato in rete, né dell’una né dell’altro abbia trovato cenno (prego anzi chi ne avesse copia di farmela avere, non fosse altro per vedere in che data sono stati pubblicati). Certo è che l’articolo da me citato, facilmente rintracciabile, nel quale l’artista viene definito più un diversivo che un sovversivo, è stato scritto prima che in Occidente si mettesse in moto la grande campagna di opinione a sostegno di Ai Weiwei.
Rimane il fatto che la marcia indietro di Bonami rispetto ad Ai Weiwei e la posizione ambigua assunta in questa occasione su Kapoor sono segnali precisi del fatto che ci troviamo davanti a pericolose boutade, che lasciano perplesso persino chi le ha concepite. È noto a tutti, invece, che Kapoor ha preso una posizione priva di qualsiasi ambiguità riguardo ad Ai Weiwei, al quale ha anche dedicato la sua mostra al Grand Palais. Il fatto stesso che secondo Bonami Anish Kapoor avrebbe dovuto chiedere alla galleria Continua (una di quelle che lo rappresentano, ma che espongono anche Ai Weiwei) di chiudere per protesta la sua sede di Pechino è emblematico di una visione del mondo dell’arte come intreccio di rapporti di potere in cui il più forte impone la propria volontà agli altri. Ma perché mai un artista, invece di assumersi in prima persona la responsabilità di quello che afferma, dovrebbe mandare avanti qualcun altro? A questo punto, le mosse di Bonami sono prevedibili: cercherà di chiudere velocemente questa polemica, prima che qualcuno gli chieda se per caso l’unica colpa di Kapoor ai suoi occhi non sia aver rifiutato in qualche occasione di avere a che fare con lui. Non mi sorprenderebbe se, come il peggio della classe politica di cui ripercorre le orme, dovesse essere una testata a lui “amica” e qualche suo fedele servitore a tentare di gettare discredito su di me per aver detto quello che penso”.

Demetrio Paparoni

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