Il meraviglioso urbano. L’Estate romana di Renato Nicolini

Scritto da Federica Fava, il recente volume “Estate romana. Tempi e pratiche della città effimera” contribuisce a restituire il senso di un’esperienza chiave della storia della Capitale. L’analisi di Marialuisa Palumbo.

Era il 1977, erano gli “anni di piombo”, gli anni in cui la contestazione studentesca si intrecciava alle lotte dei lavoratori in fabbrica e la dialettica politica si trasformava in lotta armata. Le bombe, i sequestri e le manifestazioni al limite della guerriglia urbana culminarono quell’anno a Roma con l’uccisione di Giorgiana Masi, studentessa 18enne che insieme ai Radicali aveva deciso di sfidare il divieto di manifestazioni nella capitale. Era il tardo pomeriggio del 12 maggio.
Ma erano anche gli anni del primo intellettuale di sinistra sindaco di Roma, uno storico dell’arte, Giulio Carlo Argan, appassionato di modernità e teorico del progetto come strumento di trasformazione sociale. Erano gli anni di attuazione del primo, immenso, Piano per l’Edilizia Economica e Popolare che rispondeva al disagio abitativo accumulato dalla città realizzando in tempi brevi oltre 700mila alloggi, raggruppati in grandi quartieri periferici: Spinaceto, Corviale, Tor Bella Monaca, Laurentino 38. Qui la logica della borgata esterna e lontana dal centro, già sperimentata in epoca fascista, fa un salto di scala e assume le forme moderniste di quartieri ad alta densità nel verde, autosufficienti (teoricamente) dal punto di vista dei servizi e appesi a una rete stradale a scorrimento veloce.
Ma, in modo quasi simmetrico, erano anche anni di abbandono del centro da parte della borghesia benestante, in fuga verso nuovi quartieri lontani dalla scena pubblica e dallo scontro sociale, quartieri di palazzine in cemento con grandi balconi e superfici vetrate.

Fotografia dell'allestimento di Massenzio al Massimo, 1982. Archivio Giuseppe De Boni e Ugo Colombari

Fotografia dell’allestimento di Massenzio al Massimo, 1982. Archivio Giuseppe De Boni e Ugo Colombari

I NOVE ANNI DI NICOLINI ALLA GUIDA DELL’ESTATE ROMANA

In questo contesto di conflitto ma anche di allontanamento topografico, di perdita di densità e di relazioni, non solo tra la Roma borghese e quella popolare ma anche tra la Roma di destra e quella di sinistra, va collocato il valore dirompente dell’Estate romana inventata da Renato Nicolini, giovanissimo assessore alla cultura della giunta Argan e poi Petroselli.
Un’esperienza ancora solo parzialmente ricostruita, che adesso il bel volume di Federica Fava Estate romana. Tempi e pratiche della città effimera (Quodlibet Studio) contribuisce a raccontare, dando voce a molti dei suoi protagonisti e presentando una interessante selezione iconografica fatta di fotografie, planimetrie, disegni, manifesti, pagine di giornali.
Nelle pagine del libro rivivono gli eventi che hanno segnato i nove anni di Nicolini alla guida della manifestazione. Dalla rassegna Cinema epico alla Basilica di Massenzio che, trasformando la sede estiva dei concerti dell’Accademia di Santa Cecilia – con le parole di Nicolini: “Luogo d’élite, riservato ai colti e dunque ai pochi” – in luogo per il cinema popolare, innesca l’incontro tra i pochi e i molti, all’ultima estate (1985) mirata alla riscoperta del paesaggio metafisico dell’Eur, passando per le visioni di Massenzioland, con uno straordinario Circo Massimo trasformato in città del cinema con proiezioni dal tramonto all’alba, e Parco Centrale, edizione “distribuita” su quattro location, ai limiti della scena urbana conosciuta. Il Mattatoio abbandonato a Testaccio, via Sabotino a Prati, il Parco della Caffarella e Villa Torlonia (ancora tutta da riconquistare) diventano i luoghi del teatro, della musica, della danza e del video, con allestimenti affidati a Franco Purini e Laura Thermes. Tra questi il Teatrino scientificoquesta estate in parte ricostruito nel giardino del Maxxi – dedicato agli spettacoli teatrali e costruito su uno spazio liberato dalla demolizione di alcune case popolari e protetto dalla mobilitazione dei comitati di quartiere, esemplifica bene come questa città dell’effimero sia pensata come uno strumento di gestione pacifica del conflitto urbano, capace di costruire, attraverso l’arte e la cultura, luoghi di incontro piuttosto che di scontro. Il teatrino è infatti un dispositivo relazionale: uno spazio in cui il pubblico circondando la scena, vi entra dentro, diventa protagonista, si guarda.

Vista di una delle sale cinematografiche realizzate per Massenzio 80. Archivio Giuseppe De Boni e Ugo Colombari

Vista di una delle sale cinematografiche realizzate per Massenzio 80. Archivio Giuseppe De Boni e Ugo Colombari

LA RICERCA DEI LUOGHI E LE NUOVE FORME DI USO DELLO SPAZIO URBANO

È questo uno degli aspetti più straordinari di questa esperienza che, nel racconto dei suoi protagonisti, aveva trasformato l’assessorato alla cultura in uno laboratorio di sperimentazione. Un laboratorio in cui si ragionava sempre a partire da una mappa di Roma e si finiva a camminare in gruppo per la città, per verificare possibili luoghi da attivare, la loro raggiungibilità, il loro potenziale di indefinizione e di meraviglia.
Dal Festival dei poeti sulla spiaggia di Castel Porziano, al Capodanno dell’82 all’interno del tunnel del traforo, l’assessorato sembra letteralmente occupare con pratiche situazioniste luoghi che improvvisamente si trasformano e si animano per la compresenza di migliaia di persone.

LA RITROVATA UNITA’ DEL SISTEMA COLOSSEO-FORO-CAMPIDOGLIO

Ma il laboratorio va oltre e agisce come spazio di “prova” di nuove forme d’uso dello spazio urbano che da temporanee, perché legate alla manifestazione estiva, si possono trasformare in permanenti. È così, per esempio, per la riconquista dei luoghi del Mattatoio come spazio per la cultura, ma è così anche e soprattutto per il Progetto Fori, il progetto di ricostituzione dell’unitarietà pedonale dell’area archeologica centrale proposto da Benevolo e sostenuto da Argan e da Petroselli.
Con Massenzio 80 infatti la rassegna cinematografica esce dagli spazi della basilica per trasferirsi sulla carreggiata di via della Consolazione (che allora separava il Campidoglio dal Foro), provando così un assetto diverso della circolazione stradale intorno al Foro e abituando i romani a far a meno della strada che, dopo l’estate, viene definitivamente smantellata riportando alla luce le rovine sottostanti. L’anno successivo la rassegna si sposta sul piazzale carrabile che riduceva il Colosseo a rotatoria per le macchine. Di nuovo, dopo l’estate, il Comune elimina il piazzale ricostruendo la continuità dell’antica via Sacra.
L’unità del sistema Colosseo-Foro-Campidoglio è riconquistata. Il progetto del meraviglioso mostra qui la sua natura profonda e tutt’altro che effimera: la sua capacità di riprogrammare la città, facendo da trait d’union tra gli abitanti e la complessità delle trasformazioni urbane.

– Marialuisa Palumbo

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Marialuisa Palumbo

Marialuisa Palumbo

MariaLuisa Palumbo, architetta e senior fellow del McLuhan Program in Culture and Technology dell’Università di Toronto, dal 2003 cura la direzione scientifica dei master dell'Istituto Nazionale di Architettura dove insegna teoria dell'architettura con un approccio focalizzato su ecologia e nuovi…

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