Intervallo di confidenza

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA COMUNALE DI ARTE CONTEMPORANEA DI MONFALCONE
Piazza Camillo Benso Conte Di Cavour 44, Monfalcone, Italia
Date
Dal al

dal 25 marzo all’1 maggio
giovedì e venerdì 16-19
sabato e domenica 10-13, 16-19
chiuso il 27 marzo

Vernissage
24/03/2016

ore 18

Biglietti

ingresso libero

Artisti
Kristian Sturi, Michele Tajariol, Fabrizio Prevedello
Curatori
Daniele Capra
Uffici stampa
STUDIO ESSECI
Generi
arte contemporanea, collettiva
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Il progetto, curato da Daniele Capra, mette a confronto oltre trenta lavori recenti di tre tra i più significativi autori del panorama italiano che praticano la scultura.

Comunicato stampa

La Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone è lieta di presentare Intervallo di confidenza, mostra che raccoglie le opere di Fabrizio Prevedello, Kristian Sturi e Michele Tajariol. Il progetto, curato da Daniele Capra, mette a confronto dal 25 marzo all’1 maggio oltre trenta lavori recenti di tre tra i più significativi autori del panorama italiano che praticano la scultura. La mostra indaga le modalità attraverso cui si sviluppa la poetica di ciascun artista, grazie a strategie e processualità complesse caratterizzate dal continuo alternarsi della percezione del rischio e della fiducia in sé. Intervallo di confidenza si caratterizza come una conversazione mirata a fornire allo spettatore delle chiavi interpretative polifoniche rispetto alla ricerca di un artista, improntata allo sviluppo di grammatiche personali in cui coesistono azioni ricorsive e approcci espressivi continuamente nuovi. La mostra sarà corredata da una pubblicazione bilingue con le immagini delle opere negli spazi della galleria, i testi del curatore ed un contributo critico di Davide Daninos, Marco Tagliafierro e Alice Ginaldi.
Intervallo di confidenza analizza lo spazio di lavoro entro cui si muove l’artista, l’area in cui le ipotesi di partenza – rispetto alla propria poetica, ai materiali, alle sintassi compositive – hanno un grado prevedibile di verificabilità. A tale consapevolezza si affiancano spinte centrifughe che lo portano a superare il confine del noto, pressioni che è necessario saper assecondare senza farsi travolgere. Se infatti l’opera può essere interpretata come atto psichico volontario caratterizzato dalla concentrazione energetica, dall’intensità concettuale, spaziale, temporale o emotiva, nel momento di massimo sforzo l’artista è costretto a sviluppare delle modalità esecutive in cui il dubbio sistematico del non conosciuto è moderato dalla fiducia nei propri mezzi e dalla possibilità di cadere senza farsi troppo male. Egli deve cioè saper sviluppare delle doti con cui essere in grado, per tratti anche non molto brevi, di navigare a vista, non potendo disporre degli strumenti necessari per poter misurare e valutare le ricadute di ogni azione. Ed è in questa dicotomia che l’artista deve aver il coraggio di muoversi, se non vuole limitarsi ad essere un ripetitivo fautore di equilibri già esplorati o di modalità già percorse. Inevitabilmente l’evoluzione del lavoro è frutto del tentativo, del rischio, del coraggio di buttare il cuore oltre le secche del presente.

La ricerca di Fabrizio Prevedello (Padova, 1972) è caratterizzata dall’uso di materiali classici della scultura: pietra, cemento, gesso o vetro. Per Prevedello la scultura è costruzione, tridimensionalità architettonica, che spinge verso un livello visivo ulteriore gli equilibri statici che le leggi della fisica impongono. Frequentemente le sue opere agiscono attivando e risemantizzando il contesto ambientale in cui sono collocate.
Memore della lezione modernista, il suo lavoro è però animato anche da una sensibilità in molti aspetti romantica nei confronti della natura e del paesaggio, i quali, come scrive Davide Daninos nel testo in catalogo, “tornano a prendere il sopravvento sui risultati delle passate rivoluzioni industriali”. Così i colori ombrosi, le ossidazioni del metallo “dipingono un paesaggio montano alla fine dell’inverno, quando il cielo è tetro e la pioggia scurisce le pareti delle montagne, le foglie degli alberi e la terra che le circonda”.

Il continuo cambiamento di materiali e di stile, l’indagine inesausta su due e tre dimensioni, sono centrali nella pratica di Kristian Sturi (Gorizia, 1983). L’artista ama mescolare approcci e processi del tutto eterogenei in una modalità spiazzante, volutamente incoerente, al punto da risultare non immediato il riconoscimento della paternità della sua opera. Quella di Sturi è una felice e ludica anarchia in cui classici lavori su tela possono essere innervati da objet trouvé o da preziosi supporti dorati che ne trasformano/manipolano il senso. Similmente ceramiche dalla forma fallica diventano allo stesso tempo, nell’immaginazione dell’osservatore, colorati ed attraenti strumenti di eros ed elementi che possono essere di offesa.
Come scrive Marco Tagliafierro nel testo sull’autore, “Sturi costruisce sistemi linguistici che si fondano su agglomerati metaforici in costante movimento e sull'ossimoro, che consentono di mantenere compresenti le contraddizioni, senza che esse si vadano a elidere le une con le altre”.

Il lavoro di Michele Tajariol (Pordenone, 1985) nasce da una ricerca empatica verso gli spazi, gli oggetti e gli scarti, di cui l’artista si riappropria imprimendo sul proprio corpo le loro forme e la loro storia, e sviluppando con essi delle architetture o delle tipologie di maschere fortemente plastiche. Il peso, la fisicità, la morbidezza, il colore, sono le proprietà cui egli fa ricorso in un’azione irrazionale di libera ricombinazione e di successivo smantellamento. L’opera è così un manufatto in cui si stratificano, senza alcun limite, le caratteristiche di ciascun elemento e l’atto psichico di manipolazione, caratterizzato dalla dedizione, dalla necessità di prendersi cura di forma, ingombro e materia.
Come scrive Alice Ginaldi nel testo in catalogo, quelli di Tajariol sono spazi di protezione, “architetture mai chiuse del tutto, un po' guardinghe nei confronti del mondo esterno. Una carica d'affezione pietosa e commovente”.