Il nuovo direttore non ci piace, così occupiamo il museo. Trenta i manifestanti che a Budapest protestano per l’epurazione di Barnabas Bencsik, ex guida del Ludwig Museum: il suo sostituto imposto in modo arbitrario dal ministero

Sono una trentina. Risoluti, motivati e discretamente arrabbiati. Hanno occupato l’atrio del Ludwig Museum di Budapest, in segno di protesta contro quello che ritengono un deficit di democrazia nella gestione della cosa pubblica: si sono autobattezzati “United for Contemporary Art” gli attivisti che da un paio di settimane a questa parte alzano la voce nei […]

Sono una trentina. Risoluti, motivati e discretamente arrabbiati. Hanno occupato l’atrio del Ludwig Museum di Budapest, in segno di protesta contro quello che ritengono un deficit di democrazia nella gestione della cosa pubblica: si sono autobattezzati “United for Contemporary Art” gli attivisti che da un paio di settimane a questa parte alzano la voce nei confronti di un governo accusato di fare il bello e il cattivo tempo, determinando in modo ben poco trasparente le politiche culturali del Paese, selezionando per le posizioni chiave delle stanze dei bottoni figure professionali scelte in maniera arbitraria, senza partecipazione e condivisione. E assecondando, dicono i contestatori, logiche di partito che bypassano effettive competenze e peso dei curricula.
Tutto nasce proprio dal Ludwig, collezione d’arte contemporanea orfana dallo scorso mese di febbraio, causa regolare scadenza di contratto, del proprio direttore, Barnabas Bencsik; figura pare poco gradita dall’establishment del Fidesz, il partito conservatore e populista – anche peggio secondo diversi osservatori – che dal 2010 governa il Paese con pugno di ferro. Dura e pura la linea dettata dal Ministro alla partita, Zoltàn Balog, che nomina una commissione che elabori l’avvicinamento: peccato che quattro dei sei membri siano espressione dello stesso ministero, garantendo alla nomina di Julia Fabenyi, già direttrice della Müksarnok Kunsthalle, un sostegno granitico. I lavoratori dell’arte ungherese non ci stanno e passano all’occupy, alternando il presidio al museo ad altre manifestazioni di protesta; a volerci vedere chiaro è pure la Ludwig Foundation, che ha creato il museo nel 1988 e che ha donato alla collettività circa la metà delle oltre centosessanta opere che costituiscono la collezione. Il partner pubblico non può decidere in solitudine chi mettere a capo del museo, questo il succo del discorso: la telenovela ha inizio.

– Francesco Sala

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