Cultureless growth?

Può esserci crescita senza cultura? La provocazione non è casuale e l’espressione Cultureless Growth nasce nell’alveo di quel trend economico postmoderno in cui si assiste a una crescita senza creazione di posti di lavoro (Jobless Growth), in larga parte generata dal fenomeno clouding. In effetti, viviamo in un’epoca paradossale.

Sul mercato finanziario e speculativo globale crescono con costanza e stabilità i rendimenti dei fondi d’arte: hanno fatto notizia le performance dei violini dei maestri liutai cremonesi, considerati dagli investitori “beni rifugio”, dotati al contempo di materialità e della sacra aura intangibile. Il Fine Violins Fund, fondo lanciato nel 2008 da Florian Leonhard, tra i principali investitori londinesi in arte, ha già raccolto 50 milioni di euro.
Sul mercato locale, intanto, sembra non interessare lo sviluppo di una soft economy nell’ambito dei beni culturali. L’attenzione è prevalentemente alla tutela o, come spesso si usa dire, alla salvaguardia, quasi a indicare lo stato di emergenza in cui versa il patrimonio culturale, e alla valorizzazione, che rimangono le basi delle politiche culturali. La cura dell’artefatto dovrebbe piuttosto andare di pari passo con un investimento nei linguaggi contemporanei, che sono fondamentali per cambiare i mores e costruire un sistema basato su relazioni e identità dinamiche, oltre che sulla qualità. Chi avesse inteso la soft economy come sola offerta di mostre ed eventi ha compreso male: meno circenses, più produzione culturale, connessioni “glocreal” (globale, creativo, locale) e innovazione gestionale.

Un violino di Giuseppe Guarneri del Gesù

Un violino di Giuseppe Guarneri del Gesù

Forse vale la pena ribadire il concetto, visto che ci troviamo in una rubrica che si intitola Gestionalia: senza l’insieme dei comportamenti con cui un’impresa culturale si esprime, nell’esistente e nelle sue prospettive (la gestione, appunto) non si darebbero né tutela né valorizzazione. Da questo punto di vista, combinando fatica e intuizione, possiamo ancora innovare, “non essendo il miglior giocatore, ma ideando nuovi giochi”. E quando si utilizzerà la parola management, come del resto accade trattando della gestione delle risorse, non dimentichiamo che l’accezione del verbo ‘to manage’ (da manus: opera, azione, impresa) riguarda anche la gestione della conoscenza: “Non esistono risorse senza conoscenza. È strategico il come orientare e usare la nostra acquisizione di conoscenza”. La finanza (letteralmente tutto ciò che ha un fine) ha sbagliato molto di recente, ma alcune scelte, come il Fine Violins Fund, insegnano molto e ci raccontano una storia (altrettanto recente) di investimenti che coniugano artefatto (materiale) e conoscenza (intangibles) nel nome di Amati, Guarneri del Gesù, Stradivari. A ribadire che non ci sono crescita né rendita senza cultura.

Irene Sanesi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #12

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Irene Sanesi

Irene Sanesi

Dottore commercialista e revisore legale. Socio fondatore e partner di BBS-pro Ballerini Sanesi professionisti associati e di BBS-Lombard con sedi a Prato e Milano. Opera in particolare nell’ambito dell’economia gestione e fiscalità del Terzo Settore con particolare riferimento alla cultura,…

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