Esattamente cento anni fa. Il Natale del 1914 fu un Natale di conflitti e di stenti, di cadaveri ed esplosioni, in trincea e fra i civili. Era l’inizio di un incubo passato alla storia come “Prima Guerra Mondiale”. Ricordato quest’anno con una serie di celebrazioni, in memoria di quei morti e di quelle ragioni belliche, che la ragione oggi rinnega e prova a silenziare.
Eppure, se il rito del Natale ha un senso, se una festa religiosa può essere, davvero, occasione di una pausa di rispetto e resistenza, è proprio un fatto avvenuto in quei giorni di terrore a raccontare il perché.
Il Natale del 1914 fu più forte di una resa, di un editto di pace, di un bandiera bianca o di un accordo di non belligeranza. Fu la fine temporanea e non ufficiale degli spari. E il ritorno al volto umano delle cose, per una notte sola. La tregua, nel nome della legge di Dio, per una volta più forte di quella degli eserciti e dei governi.
Si fermarono nei campi di battaglia delle Fiandre, le truppe inglesi e tedesche. Una terra neutrale, in cui dimenticarsi, per una volta almeno, della loro tragica missione. E dimenticarono le armi, le divise, le lingue differenti e le bandiere. I nomi dei rispttivi Stati e quelli di comandanti e generali. Si fermarono, nei gelidi Flanders Fields, e si misero cantare, a giocare a calcio, a scambiarsi auguri, doni e strette di mano. Ipocrisia, prima di riaprire il fuoco? Forse. O forse solo la disperazione, nel bisogno di un miracolo breve. Quei due giorni segnati in rosso sul calendario divennero l’occasione, la speranza, la possibilità di un tradimento sano. E di una riconciliazione.

Oggi, a distanza di cento anni, VisitFlanders, l’agenzia del turismo per le Fiandre e Bruxelles, ha scelto di ricordare quella tregua attraverso l’arte. Commissionando due opere di street art per Londra, in zona Shoreditch, e Berlino, a Potsdamer Platz. Ci hanno lavorato insieme gli artisti britannici Zadok e Ninth Seal e il tedesco Sokar. Il risultato sono due grandi murales, tutti giocati sui toni del bianco, del nero e del rosso, in cui la morsa soffocante della guerra, il rigore e la paura, si srotolano in una lunga sequenza, intrecciandosi alle insolite scene di pace e di sospensione, di gioco e di liberazione.
Intanto Sainsbury’s, la terza catena di supermercati del Regno Unito, a questa storia ha dedicato uno short film, proprio in occasione del Natale: una suggestiva narrazione cinematografica, ricordando quei giorni in una terra di nessuno, tra i papaveri dei Flanders Fields, dove gruppi di militari tiravano calci a un pallone, regalandosi l’illusione della pace, per 48 ore appena.
Sarebbero dovuti passare quattro lunghi anni, perché quell’armistizio divenisse la tregua finale. Quattro anni ancora, 9 milioni di caduti in battaglia e 7 milioni di vittime civili.
Nel maggio del 1915 il Tenente Colonnello John McCrae, medico, poeta e soldato, dedicò a quei campi una poesia straziante e lieve, che iniziava così: “In Flanders fields the poppies blow / Between the crosses, row on row, / That mark our place; and in the sky / The larks, still bravely singing, fly / Scarce heard amid the guns below” (Sui campi delle Fiandre spuntano i papaveri / tra le croci, fila dopo fila, / che segnano il nostro posto; e nel cielo / le allodole, cantando ancora con coraggio, volano / appena udite tra i cannoni quaggiù).
Ancora oggi, nel mondo anglosassone, il giorno dei caduti della Prima Guerra Mondiale viene chiamato “Poppy day”. In memoria di quei versi, di quei campi e di quei papaveri, sbocciati in mezzo alle croci.
Helga Marsala