Tutte le esperienze virtuali e immersive durante la Mostra del Cinema di Venezia 2025
Sull’isola del Lazzaretto Vecchio prende vita “Venice Immersive”: realtà virtuale, mondi digitali e opere che cambiano il nostro modo di guardare. Ecco 5 esperienze da provare tra poesia, prospettive aliene e viaggi nello spazio
Non basta più guardare, oggi il cinema si attraversa. A confermarlo è Venice Immersive, la sezione dell’82esima Mostra del Cinema dedicata alla realtà estesa, virtuale e aumentata, che dal 27 agosto al 6 settembre 2025 trasforma l’isola del Lazzaretto Vecchio in un laboratorio di mondi digitali e immaginari sensoriali. Per undici giorni, a pochi minuti di vaporetto dal Lido, uno degli spazi più affascinanti e ricchi di storia della laguna diventa una sorta di porta d’accesso al futuro. Il programma è imponente: 69 progetti da 27 Paesi, con 30 opere in concorso, 34 selezionate come “Best of” e 5 sviluppate all’interno del Biennale College XR, fucina di talenti emergenti. Non si tratta solo di nuove tecnologie applicate allo spettacolo, ma di una vera e propria trasformazione del linguaggio audiovisivo: qui l’immagine smette di essere bidimensionale, qualcosa da osservare passivamente, e si fa esperienza da vivere, capace di avvolgere e coinvolgere lo spettatore fino a renderlo parte integrante del racconto. Abbiamo selezionato 5 esperienze da non perdere.

“Asteroid”, quando lo spazio è a portata di visore
Tra i titoli più attesi del Venice Immersive c’è senza dubbio Asteroid, firmato dal regista hollywoodiano Doug Liman, già autore di blockbuster come The Bourne Identity e Edge of Tomorrow. Con questa nuova avventura, Liman abbandona lo schermo tradizionale per condurre il pubblico direttamente nello spazio, trasformando lo spettatore in protagonista. L’opera è infatti sia un film immersivo a 180° sia un’estensione interattiva della storia, realizzata per il lancio della nuova piattaforma Android XR di Google. Ci si ritrova a bordo di una vecchia navicella Soyuz, insieme a un gruppo di astronauti improvvisati in cerca di ricchezze su un asteroide carico di metalli preziosi. Ma l’avventura non si esaurisce nel viaggio: dopo la proiezione, lo spettatore riceve un SOS da uno dei personaggi, interpretato dall’NFL player DK Metcalf, e diventa parte attiva della missione di salvataggio. È qui che cinema, videogioco e realtà virtuale si fondono: l’azione non arriva più da un montaggio serrato o da effetti spettacolari, ma dalla sensazione fisica di trovarsi nello spazio, immersi in una corsa contro il tempo.

“Blur”, o la poesia dell’indistinto
Se Asteroid punta sull’adrenalina, Blur – firmato da Craig Quintero e Phoebe Greenberg – sceglie un approccio più poetico e introspettivo. L’opera è una sorta di sogno in cui i confini tra reale e immaginario si fanno liquidi, e lo spettatore viene guidato in un paesaggio visivo ed emotivo fatto di apparizioni, dissolvenze e ricordi che emergono e svaniscono. Il tema centrale è quello dei nuovi orizzonti aperti dalla scienza: clonazione, bioingegneria, resurrezione biologica. In un mondo in cui la linea che separa vita e morte, naturale e artificiale, è sempre più incerta, Blur trasforma questi interrogativi in un’esperienza sensoriale. Grazie a VR, AR e tecniche di motion capture, lo spettatore si muove in un flusso in cui l’indistinto diventa valore estetico ed etico. Non ci sono soluzioni o verità da scoprire, ma un invito ad abbandonarsi alla fragilità dell’umano e alla potenza dell’immaginazione. È un’opera che non cerca di stupire con effetti speciali, ma con domande universali, lasciando il segno come una poesia immersiva.

“Collective Body”, un’installazione per danzare dentro sé stessi
Con Collective Body, la regista Sarah Silverblatt-Buser porta l’esperienza immersiva sul terreno del corpo e del movimento. Ambientata nel bel mezzo di una tempesta nel New Mexico, questa opera VR interattiva accompagna lo spettatore in un percorso di riscoperta dei gesti più elementari e primordiali, quelli che ciascuno di noi compie quando comincia a relazionarsi con il mondo. Attraverso una raffinata tecnologia algoritmica, i movimenti del partecipante vengono analizzati e trasformati in un avatar personalizzato, generato a partire da una delle sedici possibili incarnazioni, ciascuna associata a un elemento naturale e a un tema musicale. A quel punto inizia la seconda fase: l’incontro con gli altri. I corpi-avatar si riconoscono, si sfiorano, danzano insieme fino a creare un finale corale di movimento e scoperta condivisa. È un’opera che riflette sull’identità, sul rapporto tra individuale e collettivo, e sulla possibilità di comunicare senza parole, solo attraverso i gesti. Un invito a esplorare la memoria fisica che ognuno di noi porta con sé e a condividerla in un rito digitale che diventa universale.

“Alien Perspective”: si può vedere con gli occhi degli altri?
Con Alien Perspective, firmato da Jung Ah Suh e Cristina Rambaldi, l’immersione diventa esercizio di empatia. L’opera non porta lo spettatore in mondi lontani o fantascientifici, ma gli offre la possibilità di vedere la realtà da un punto di vista radicalmente diverso, “alieno”, inteso come altro da sé. È un lavoro che dialoga direttamente con l’eredità visionaria di Carlo Rambaldi, maestro degli effetti speciali che ha dato vita a creature leggendarie come E.T., Alien e i mondi di Dune. In occasione del centenario della sua nascita, l’opera riattiva il suo immaginario trasformandolo in un ambiente interattivo, dove pittura e scultura diventano spazi navigabili. Non è solo un omaggio al passato, ma un manifesto per il futuro: l’arte non più come oggetto da contemplare, ma come universo da attraversare, in cui ciascuno può entrare, esplorare e interpretare. In un’epoca di conflitti e polarizzazioni, Alien Perspective diventa un invito a riconoscere e valorizzare ciò che è diverso da noi.

L’esperienza di “The Clouds Are Two Thousand Meters Up”
Chiude la nostra selezione The Clouds Are Two Thousand Meters Up, diretto da Singing Chen e tratto da un racconto dello scrittore taiwanese Wu Ming-Yi. Si tratta di un viaggio intimo e toccante che intreccia mito, letteratura e memoria personale. Dopo la morte improvvisa della moglie, il protagonista Guan scopre il suo romanzo incompiuto: una storia che mescola la figura del raro leopardo nebuloso con le leggende del popolo Rukai, per il quale l’animale rappresenta un antenato sacro. Da lì prende avvio un percorso che non è solo narrativo, ma anche psicologico e spirituale: il dolore del lutto si trasforma in un viaggio onirico attraverso foreste avvolte dalla nebbia, radici antiche e paesaggi simbolici che rimandano al subconscio. Grazie alla possibilità di muoversi liberamente nello spazio VR, lo spettatore attraversa questa geografia emotiva come se stesse sfogliando pagine sospese tra sogno e memoria. È un’opera che dimostra come la realtà virtuale possa fondere letteratura e immaginazione in una riflessione profonda sull’amore, la perdita e la necessità universale di ritrovare un senso.
Laura Cocciolillo
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