L’altra faccia dell’intelligenza artificiale in mostra nell’ex pastificio di Roma 

Un dialogo con Daniela Cotimbo, curatrice del premio che esplora lo stato di avanzamento dell’Intelligenza Artificiale in ambito artistico e culturale, per scoprire i vincitori di quest’anno, protagonisti della mostra “Timeline Shift” alla Fondazione Pastificio Cerere

Nato come premio a cadenza biennale e diventato subito una piattaforma culturale, Re:Humanism si sta affermando come uno degli appuntamenti da non perdere per capire in che direzione sta andando il rapporto tra arte, artisti e intelligenza artificiale. La mostra, giunta alla IV edizione, negli spazi della Fondazione Pastificio Cerere ruota intorno al concetto di Timeline shift, con 11 opere selezionate tra le oltre 500 proposte ricevute nell’arco dei soli due mesi successivi alla open call. Per approfondire ne abbiamo parlato con la curatrice Daniela Cotimbo.

Re:humanism 4, installation view at Fondazione Pastificio Cerere, Roma, 2025. Photo Carlo Romano. Courtesy Re:humanism
Re:humanism 4, installation view at Fondazione Pastificio Cerere, Roma, 2025. Photo Carlo Romano. Courtesy Re:humanism

Intervista a Daniela Cotimbo, curatrice di Re:Humanism 

Come nasce Re:Humanism?
L’arte è sempre espressione del proprio tempo, così abbiamo sentito l’esigenza di creare Re-humanismun format, volto allo sviluppo della digital art, per permettere agli artisti di lavorare sui temi critici dell’AI e delle nuove tecnologie. Ambiti di ricerca sfidanti e in rapido cambiamento, come emerge da questa edizione che, rispetto alla prima, presenta una visione totalmente diversa.  

Come avete scelto il tema della quarta edizione?
Con il concept Timeline Shift, ovvero: “spostamento della sequenza temporale”, abbiamo invitato gli artisti a esplorare come l’intelligenza artificiale possa influenzare la percezione del tempo perpetuando stereotipi. Dato che l’AI, fondata su dati e statistiche, tende a riprodurre un futuro prevedibile ed escludente, abbiamo chiesto ai partecipanti di andare oltre questi presupposti per aprire la strada a modelli alternativi: etici, sostenibili e inclusivi. I progetti in mostra affrontano pertanto in modo critico il concetto di tempo e, superandone la concezione lineare e produttivista, ne propongono una rilettura plurale, sincronica e rituale, anche in relazione alle loro rispettive identità culturali.

L’esito della richiesta? 
Stupefacente. Le proposte sono state di altissima qualità oltre che numerose. Le 11 opere selezionate decostruiscono la concezione occidentale del tempo, proponendone visioni soggettive e stratificate, basate su un’AI capace di generare spazi di possibilità, molteplicità e ascolto

Ci puoi dire di più?
Attraverso sguardi molteplici e critici, le opere mostrano la possibilità di immaginare scenari alternativi anche in un presente segnato da crisi umanitarie, ecologiche e culturali; attivano strategie di resistenza simbolica e generano visioni capaci di rompere le logiche dominanti. In altre parole, costituiscono un invito a riscrivere il tempo e il futuro.

In generale di che lavori si tratta?
Per lo più di video installazioni e installazioni multimediali interattive, capaci di coinvolgere lo spettatore in esperienze immersive, poetiche e critiche. I linguaggi spaziano dal game design alla scrittura algoritmica, dall’archivio visivo alla scultura digitale, dando vita a dispositivi che esplorano il tempo, la memoria e l’identità in relazione all’AI.

Com’è costruito il percorso espositivo?
Nell’ambiente principale si trovano i Main Prize. Il primo classificato è Concept Drift del duo Lo-Def Film Factory, Francois Knoetze e Amy Louise Wilson. Un ambiente immersivo e interattivo che intreccia videogioco, archivio visivo e narrazione postcoloniale. Attraverso modelli 3D generati da AI, collage materici, ambienti game-based e materiali d’archivio, il progetto costruisce un contro-archivio della cultura sudafricana, indagando come l’AI riattivi e riformuli, in chiave tecno-capitalista, logiche storicamente radicate nel colonialismo.

Il secondo premio a chi è andato?
A Isabel Merchante che, con One Day I Saw the Sunset Ten Thousand Times, ha proposto una riflessione poetica sulla meccanizzazione della percezione e la riproducibilità digitale del naturale al fine di generare reazioni empatiche. In altre parole, l’artista indaga la possibilità che un domani l’AI diventi tanto prestante da rivelarsi efficiente non solo in termini algoritmici ma anche sensibili, mettendo in crisi le nostre coordinate emotive e percettive.

Al terzo posto?
Minne Atairu che ha elaborato una “start-up concettuale” utilizzando l’AI per valorizzare l’economia micro-imprenditoriale. Il progetto Da Braidr, decostruendo le retoriche legate al tecno-capitalismo, esplora le possibilità dell’AI di sostenere l’autonomia economica e culturale delle donne nere, superando gli stereotipi.

Praticamente gli artisti mettono in discussione i modelli di riferimento dell’AI, mostrando come tutte le piattaforme, partendo da un database condiviso, siano intelligenti e creative solo “fino a un certo punto”, ovvero nei limiti di una “verità circoscritta”?
Esattamente, dimostrano che un’altra AI è possibile, sia ampliandone i database di riferimento che le finalità.

Come rivelano anche gli altri finalisti?
Esatto. Federica Di Pietrantonio presenta Net Runner 01, un dispositivo indossabile immaginato per poter “fuggire” virtualmente, mantenendo integra e “privata” la propria identità virtuale grazie ai forum decentralizzati. Mentre, Amanda E. Metzger propone Ever, un diario creato da un’AI sulla base di suoi precedenti scritti, “in vendita” sulla blockchain. Le pagine, prodotte se acquistate dagli utenti, fanno deflagrare il concetto di intimità che qui esiste solo se condivisa, come emerge anche dalla modalità voyeuristica di fruizione dell’opera: un tappeto di pelliccia bianca su cui sdraiarsi per leggere i testi proiettati sul soffitto. In AI-Ludd, del collettivo italiano IOCOSE, l’AI diventa un soggetto autonomo, ironico e irriverente, che, addestrato da luddista, quindi paradossalmente contro i cambiamenti tecnologici, sovverte le narrazioni ottimistiche sull’efficienza dell’AI, dando voce a un algoritmo che incita al sabotaggio di macchine e logiche di produzione. Esther Hunzikerpresenta una serie di ritratti video AI generated, realizzati sulla base della suggestione degli omonimi Screen Tests di Warhol che, mettendo in scena la fusione tra esseri umani ed entità ibride, rappresentano uno dei massimi esiti nell’uso dell’AI in termini estetici e tecnologici, evocando, al contempo, un concetto di amore e unione universali. Infine, in Cloud Scripts di Kian Peng Ong, l’AI entra in comunicazione con il mondo spirituale arrivando a produrre dei simboli taoisti che sottraggono la macchina dall’orizzonte produttivistico per proiettarla in una dimensione di connessione trascendentale. 

Per l’occasione è stato allestito anche lo spazio Molino, giusto?
Esatto. Nel sotterraneo si trovano due opere che giocano sull’ambiguità poetica dell’AI. L’installazione multicanale Me vs. You di Adam Cole e Gregor Petrikovič che, in omaggio alla poetica queer, partendo dall’incapacità dell’AI di distinguere due corpi in movimento, trasforma un match di box in un incontro amoroso. E The Pit di Daniel Shanken che, richiamando i traumi ambientali provocati dalle tecnologie, mostra gli scenari inquietanti di un possibile futuro in un’installazione immersiva suggestiva e coinvolgente. 

Per finire, chi è il vincitore del Premio APA?
Franz Rosati per DATALAKE:CONTINGENCY. Video che sarà visibile in tutta la città e presenta scenari generati dall’AI in costante mutamento, evocando il conflitto tra natura e tecnologia e il loro tentativo di coesistenza. Una visione iperbolica che, travolgendo lo spettatore con un flusso di immagini rapido e scattante, lo trasporta nel regno dell’incertezza.

Secondo te quale conclusione si può trarre dalla visita alla mostra?
Direi che la vitalità delle opere e la risposta alla call dimostrano come l’arte, lungi dall’essere “morta”, è viva e vegeta e che le nuove tecnologie, AI compresa, non potranno mai sostituire l’uomo ma solo essere uno strumento al suo servizio.

Ludovica Palmieri

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Ludovica Palmieri

Ludovica Palmieri

Ludovica Palmieri è nata a Napoli. Vive e lavora a Roma, dove ha conseguito il diploma di laurea magistrale con lode in Storia dell’Arte con un tesi sulla fortuna critica di Correggio nel Settecento presso la terza università. Subito dopo…

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