
Negli ultimi due anni, il settore della moda è sembrato una partita a scacchi: i direttori creativi si spostano da un brand all’altro in una continua rotazione. Abbiamo contato oltre 17 nuove nomine a ruoli di direzione creativa, di cui solo 4 relativi a donne. Per esempio, se fino a poco tempo fa Chanel, Dior e Versace erano guidati da figure femminili, oggi non è più così.
Il falso mito della “moda fatta solo per le donne”
E d’altronde, nell’immaginario collettivo, la moda è spesso vista come un mondo “al femminile”. Ma questa percezione non ha sempre rispecchiato la realtà. A partire dall’Alto Medioevo, infatti, il mestiere del sarto era appannaggio maschile, mentre alle donne erano riservati gli spazi domestici e la cura della famiglia. La svolta avviene nel Seicento, quando in Francia alcune donne iniziano a unirsi in piccole gilde artigianali, dando vita nel 1645 alla prima associazione femminile di sarte, attiva fino ai primi dell’Ottocento. È l’inizio di un lento ma costante ingresso delle donne nella vita pubblica e nel mondo del lavoro. Poi, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, nasce la prima ondata femminista: le suffragette lottano per il diritto di voto, e parallelamente emergono le prime stiliste. Le donne iniziano a volersi rappresentare come realmente si sentono, e così nascono le maison di Jeanne Lanvin, Coco Chanel e Madeleine Vionnet. Con il passare del tempo, ci saranno anche Elsa Schiaparelli, Mary Quant, Sonia Rykiel e Vivienne Westwood a definire la professione e l’identità della donna fashion designer.
Le disuguaglianze nella moda 2025
Nonostante l’apparente legame con il mondo femminile, la moda attuale non lascia molto spazio alle donne nei ruoli di leadership. Eppure, queste rappresentano la clientela principale e sono spesso al centro della strategia di vendita dei brand. Perché allora non vengono messe alla guida del settore? Nel 2025 le multinazionali mostrano una triste tendenza: da LVMH l’unica donna ad essere direttrice creativa è Sarah Burton in Givenchy, da Kering brilla l’eccezione di Louise Trotter a capo di Bottega Veneta. Mentre OTB Group (che comprende Marni, Diesel, Maison Margiela e Jil Sander) a inizio luglio ha annunciato che Meryll Rogge avrebbe preso la posizione di direttrice creativa in Marni. La situazione migliore è da Richemont: Chemena Kamali per Chloé, Phoebe Philo con l’omonimo brand londinese e Clare Waight da Uniqlo. Tuttavia, il trend rimane quello di una scarsa presenza femminile ai vertici creativi.
I dati sulle disparità di genere nella moda
Nel 2024, una statistica promossa dall’Ufficio Studi di PwC Italia in collaborazione con Il Foglio della Moda, ha presentato i seguenti fatti: nel 2023, le donne hanno occupato in Italia meno di una posizione apicale su tre nei Consigli di Amministrazione (30,9%). La stessa posizione in Francia è intorno al 47%, negli USA al 40% e nel Regno Unito si aggira intorno al 34%. Spesso, nei grandi gruppi, le posizioni da CEO sono ricoperte da donne, che quindi teoricamente avrebbero il potere di scegliere direttori creativi. Ma questo non si traduce in una maggiore presenza femminile al vertice creativo: anche in Kering, dove ci sono più donne CEO che uomini, solo Trotter ricopre un ruolo creativo di rilievo. Mentre in Italia, solo il 17,3% dei dirigenti d’azienda nel settore moda è donna, contro l’82,7% di uomini. Un dato interessante emerge però dal mondo delle piccole manifatture artigianali, dove 6 CEO su 10 sono donne – tenendo ben a mente che nel nostro Paese il settore del tessile e abbigliamento occupa il 59,1% delle donne.
Le designer direttrici creative
Il numero più basso di brand guidati da donne si registra alla London Fashion Week. Il numero più alto alla Paris Fashion Week con Miuccia Prada e Miu Miu, Victoria Beckham, Stella McCartney, Chemena Kamali e Sarah Burton, che da due anni dirige le collezioni di Givenchy dopo aver lasciato Alexander McQueen nel 2023. La disuguaglianza di genere nella moda resta marcata, ed è strettamente legata al fenomeno del glass ceiling, il “soffitto di cristallo” che impedisce a donne, minoranze e persone con disabilità di raggiungere posizioni di leadership nonostante le competenze. Questo concetto, ampiamente analizzato nei Gender Studies negli Anni 80, è ancora molto diffuso nel mondo della moda, impedendo alle donne di accedere alle posizioni più alte, anche se – come dimostrano i dati – la maggior parte della forza lavoro è composta da donne, così come lo è circa l’80% dei laureati in discipline collegate al settore.
Direttrici creative nella moda, la speranza è l’ultima a morire
Le dinamiche di genere nella moda continuino a riflettere e riprodurre tensioni di potere sociale riservato per lo più alla figura maschile. È il paradosso di un’industria percepita come “femminile”, ancora fortemente gestita da uomini ai vertici. Questa realtà crudele spinge moltissime fashion designer a lanciare un proprio marchio, per costruire uno spazio libero e che appartenga a sé stesse. Di fatto, nel corso degli ultimi anni sono nati molti brand come Hodakova, vincitrice del LVMH Prize 2024, Magda Butrym, amata dai top influencer mondiali, Paula Canovas del Vas, con la sua favolosa realtà, e Cecilie Bahnsen, nota per la migliore sartoria francese unita insieme allo stile scandinavo. Come anche più di 100 anni fa, la lotta continua.
Vova Motrychuk
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