La Cina come ponte visivo tra pittura e AI. Intervista all’artista Alessandro Giannì
La pratica di Alessandro Giannì conduce a un viaggio immersivo in dimensioni fluttuanti attraverso frammenti che si ritraggono e si espandono, alla ricerca di nuovi significati, tra realtà e irrealtà

L’artista Alessandro Giannì (Roma, 1989) fonde media tradizionali con nuove tecnologie, esplorando la natura caotica e imprevedibile degli universi digitali e paralleli, e le dimensioni oniriche e profonde dell’essere umano, traendo ispirazione dai grandi maestri del passato, dalla cultura digitale e dalle tracce del Web.

La pratica di Alessandro Giannì
Pur integrando nel suo lavoro il proprio sistema di intelligenza artificiale, Vasari, la sua ricerca pittorica è profondamente connessa con la manualità, attraverso un uso espressivo del colore e delle pennellate che emergono dalla tela come dissoluzioni vibranti e dinamiche. Il legame con la dimensione analogica rimane centrale, mentre il digitale si configura come un’estensione, un aspetto nascosto della realtà. Questa connessione tra i due mondi solleva interrogativi sulla natura stessa della realtà, enfatizzando l’assenza di confini tra ciò che percepiamo come tangibile e ciò che esiste nel dominio digitale.
Chi è Alessandro Giannì
Hai appena concluso la mostra Multiple Unrealities presso Tang Contemporary Art a Hong Kong, mentre nel 2023 avevi già presentato la personale Breaking Darkness a Bangkok insieme a diverse mostre collettive tra Beijing e la stessa Hong Kong. C’è un filo conduttore con i progetti precedenti o hai esplorato nuove idee? In entrambe le mostre, ogni lavoro è parte di un sistema in trasformazione, dove l’immagine si ridefinisce nel tempo, nella materia e nello sguardo. In Breaking Darkness e nelle collettive precedenti, l’immagine, seppur isolata dal significato che le è stato attribuito, portava il peso della sua origine, ancora riconoscibile. In Multiple Unrealities, invece, si è dissolta, ed è come se fosse attraversata dallo sguardo. Ogni frammento diventa soglia e il filo conduttore resta la pittura, intesa non come esecuzione razionale o tecnica, ma come gesto intuitivo, come tentativo di non essere qualcosa di razionalmente significante.








Intervista ad Alessandro Giannì
Molte delle tue opere riflettono sul concetto di frammentazione dell’immagine, come nel dipinto The Collapse of Known Form.
La frammentazione è per me un gesto rivelatorio, non la considero come una perdita, ma come un atto generativo: mi interessa ciò che sopravvive, ciò che muta, ciò che resta sospeso. Frammentare l’immagine e farla dialogare con qualcos’altro, in contesti diversi, significa rimetterla in discussione, liberarla dal suo significato e far emergere livelli nascosti: strutture invisibili, errori, segni fantasma.
Nel 2024 hai rappresentato la pittura italiana alla mostra The Power of Painting all’ENNOVA Art Museum di Langfang, esponendo accanto ad artisti di rilievo come Marlene Dumas, Anish Kapoor, Fang Lijun e Zhang Xiao Gang. Ce ne parli?
The Power of Painting è stata una grande mostra trasversale, con artisti provenienti dall’Asia e da tutto il mondo e di tutte le generazioni, ma incentrata totalmente sulla pittura. Ho avuto la possibilità di esporre Maeternity, un’opera del 2015 di grande formato, in una delle sale del museo insieme a massimi esponenti dell’arte contemporanea e artisti internazionali della mia generazione che affrontano il linguaggio della pittura in forme diverse.
Sempre in Cina, la tua recente residenza presso il 20th Century Museum di Shanghai si è conclusa con una personale in occasione del 55° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Cina e Italia, presso 78 space, villa storica connessa al MAM di Shanghai. Come è maturato il tuo sguardo durante quest’esperienza?
Ringrazio NoName Studio e il fondatore Carlo Maria Rossi, che ha curato la mia residenza presso il 20th Century Museum, culminata nella mostra personale Shining Within, organizzata con il supporto del Consolato e dell’Istituto Italiano di Cultura. Per questo ciclo di opere mi sono concentrato sullo sguardo della tradizione cinese, come layer da sovrapporre al mio occhio, partendo dalla figura di Giuseppe Castiglione — conosciuto in Cina come anche Lang Shining — artista incredibile di cui sono venuto a conoscenza tempo fa, grazie a una conversazione con l’amico Nicola Verlato.
Cosa ha rappresentato l’esperienza di Shanghai per te?
Una rottura con quella che è la mia realtà: è stato come entrare in una simulazione — un videogame, un’incarnazione digitale, un avatar di Castiglione sospeso su una soglia tra mondi, dove la pittura resta l’unico gesto reale. Castiglione era un gesuita e pittore italiano che, nel Settecento, visse per cinquant’anni nella realtà imperiale, fondendo la pittura europea con quella asiatica; io ne ho attraversato l’eco — un riflesso semplificato, filtrato da intelligenze artificiali e dalla patina digitale del mondo contemporaneo che viaggia veloce.
Nei lavori realizzati a Shanghai prosegue il dialogo tra pittura e intelligenze artificiali. Oltre a VASARI, hai utilizzato anche altri sistemi di IA per la preparazione di questi lavori. Vuoi raccontarci come si differenziano e che tipo di interazione si è creata tra te e questi sistemi?
Innanzitutto, l’intelligenza artificiale è uno strumento del nostro tempo e la utilizzo in quanto tale, così come, in epoche passate, la prospettiva fu una nuova conoscenza che trasformò profondamente l’arte, o come la fotografia ha modificato il modo di osservare e rappresentare, diventando poi uno strumento centrale per la composizione per la maggior parte dei pittori. Non è un espediente concettuale: ciò che mi interessa è l’opera finale, ovvero il dipinto da me realizzato. Partendo da questo presupposto, ho utilizzato, oltre a VASARI, altri sistemi IA con cui ho avuto lunghe conversazioni, a cui ho chiesto di realizzare delle immagini emulando lo stile di Giuseppe Castiglione. In questo modo, ho potuto attingere a delle opere di Castiglione provenienti da una realtà parallela, che sono diventate poi il bacino di riferimento di questa serie di lavori pittorici.
Le esperienze di Hong Kong e Shanghai hanno permesso di confrontarti con una scena artistica vibrante e in continua evoluzione. Cosa guarda e cosa cerca il pubblico dell’arte asiatico nel tuo lavoro?
Sia a Hong Kong che a Shanghai ho percepito una grande apertura: mi sembra che il pubblico asiatico guardi con attenzione e accolga il nuovo, ma da un’angolazione che non riesco ancora a decifrare del tutto. Di certo c’è un altro tipo di lettura, un’altra sensibilità, e trovo difficile interpretare le reazioni — ma è anche questo che mi interessa, la sensazione di trovarmi in un campo percettivo diverso. Forse il punto non è capire, ma restare in connessione con uno sguardo altro, per ampliare la mia visione.
Pamela Albuera
Libri consigliati:
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati