La Riforma della scuola di Giovanni Gentile fa 100 anni. Perché ricordarla?

Classista, antifemminista, di concezione aristocratica, funzionale all’ideologia del fascismo, fu Giovanni Gentile a stilarla. Ma un merito lo ha avuto: riuscire a far studiare la storia della filosofia a scuola. Ecco perché la sua riforma non merita la damnatio memoriae

Che faccio signò, lascio?” chiede il salumaio con la consueta faccia tosta. E io, amici che debbo fare, lascio anche io? No che non lascio. Lo so, sparate pure a zero, invocate fin che vi pare il reato di apologia del fascismo, ma io – lo stesso – non lascio. Cioè. Non me la sento di lasciare che nel 2023 passi nel silenzio più assoluto il centenario della Riforma della scuola voluta da uno dei nostri più grandi filosofi, Giovanni Gentile, perché, dopo aver insegnato per trent’anni filosofia, mi parrebbe un tradimento.

Anacronismi e meriti della Riforma Gentile

Lo so, la Riforma gentiliana stilla una concezione aristocratica fin nel midollo, classista per definizione, pacchianamente antifemminista, per non parlare dello sfacciato sessismo e, ovviamente, della sua natura strutturale all’ideologia fascista. Ma con tutto questo, Gentile è riuscito nell’impresa di far studiare ai nostri ragazzi adolescenti un po’ di storia della filosofia e, per chi ha visto come vanno le cose nel resto dei licei europei – anche in quelli di Paesi, come la Francia, che presumono di possedere la classe intellettuale più miracolosa del mondo (che è tutto da dimostrare, vedi il caso Simondo) –, la Riforma Gentile resta un motivo di vanto culturale che solo un Paese afflitto da un perenne complesso di inferiorità può sottovalutare così platealmente.
Slavoj Žižek ha dato una simpatica valutazione dei caratteri di Francia, Germania e Regno Unito – i tre principali Paesi europei – in base alla forma delle loro toilette: “In un bagno tedesco, il buco nel quale sparisce la merda dopo che scarichiamo, è posto davanti. Nel tipico bagno francese, invece, il buco è dietro. Perciò la merda dovrebbe scomparire il prima possibile. Infine, il bagno anglosassone rappresenta una sintesi. La tazza si riempie di acqua così che la merda ci galleggia sopra […]. È chiaro che ognuna di queste versioni comprende una certa percezione ideologica di come il soggetto si relaziona all’escremento. Hegel fu tra i primi a vedere la triade di Germania, Francia e Inghilterra come una espressione di tre diverse mentalità esistenziali: accuratezza riflessiva (tedeschi), impetuosità rivoluzionaria (francesi), pragmatismo utilitario (inglesi). In termini politici, questa triade può essere letta come conservatorismo tedesco, radicalismo rivoluzionario francese e liberalismo inglese” (L’epidemia dell’immaginario, Meltemi 2004).

Giovanni Gentile, La riforma dell'educazione
Giovanni Gentile, La riforma dell’educazione

La vocazione dialettica dell’Italia

Ora, nel joke di Žižek c’è però un enorme assente: l’Italia. Ma noi siamo esattamente il Paese che grazie al genio del più filosofo dei suoi artisti, Piero Manzoni, ha trasformato l’escremento in opera d’arte: Merda d’artista è un’affermazione di sublime coincidentia oppositorum tra pulizia formale (la scatoletta) e (potenziale) disgustoso contenuto.
La nostra originalità, dunque, non sta tanto nel disporre – stando a certe statistiche – di oltre il 70% di tutti i beni culturali mondiali: quelli non sono che il morto guscio di conchiglia generato da una instancabile attività produttiva del germe che abita quel guscio. E questo germe si chiama nientemeno che Spirito, come sapeva proprio Manzoni, ammiratore di Croce e studente di filosofi idealisti come Ugo Spirito e Pietro Prini.
Sì. Lasciate che gli altri siano rivoluzionari, romantici o empiristi (se poi lo sono ancora, e ho i miei dubbi) ma noi, noi siamo la Terra dello Spirito, la patria della metafisica, l’unico paese europeo dove i ragazzi studiano a scuola Filosofia, e la nostra vocazione dialettica – che a volte prende toni drammatici, a volte ironici, a volte ci fa discutere per decenni apparentemente sul niente – è la nostra segreta identità, di cui dovremmo invece andare fieri.

Marco Senaldi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #73
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Marco Senaldi

Marco Senaldi

Marco Senaldi, PhD, filosofo, curatore e teorico d’arte contemporanea, ha insegnato in varie istituzioni accademiche tra cui Università di Milano Bicocca, IULM di Milano, FMAV di Modena. È docente di Teoria e metodo dei Media presso Accademia di Brera, Milano…

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