We used to be lovers
Nell’ambito della stagione Arte Transitiva 2013 diretta da Stalker Teatro, alle Officine CAOS di piazza Montale va in scena We used to be lovers – studio primo, performance multimediale del gruppo Volvon con le coreografie di Francesca Cola e Giulia Ceolin.
Comunicato stampa
Progetto e drammaturgia: Volvon; Coreografia e studio del movimento: Francesca Cola; Giulia Ceolin; Performer: Francesca Cola, Giulia Ceolin, Giorgio Bevilacqua, Alessandro Salvatore, Sara Capossele, Michela Cotterchio, Annalisa Spurio Fascì, Luca Rigoni, Tommaso Serratore, Davide Tagliavini, Michela Fattorin, Bianca Barucchieri, Salvo Montaldo, Maruska Ronchi, Emanuela d'Agostino; Sound designer: Claudio Tortorici; Composizione e installazione sonora: Davide Tomat; Light designer: Marco Massa; Ricerca semiotica: Silvia Albanese; Produzione: Volvon; con il sostegno di Superbudda Studio; In collaborazione con: Stalker Teatro | officine CAOS.
Sabato 16 febbraio, nell’ambito della stagione Arte Transitiva 2013 diretta da Stalker Teatro, alle Officine CAOS di piazza Montale va in scena We used to be lovers – studio primo, performance multimediale del gruppo Volvon con le coreografie di Francesca Cola e Giulia Ceolin.
We Used To Be Lovers è una composizione per un folto e mutante gruppo di danzatori e attori, un sistema generatore di suono distribuito nello spazio e un contrabbasso. È un lavoro compreso tra una radicale indagine coreografica sul gesto e il movimento, lo studio del corpo immerso nel paesaggio (urbano e non urbano), la ricerca drammaturgica non necessariamente narrativa e la spazializzazione del suono. L’ambizioso e affascinante progetto di Volvon parte da un training fisico costruito secondo i dettami dell’anatomia esperienziale, a cui si aggiunge un’articolata ricerca sonora che spazia dal field recording (campionatura di suoni “rubati” all’ambiente e alla quotidianità) al cantautorato italiano (Tenco, Ciampi, Modugno), fino alla manipolazione di tracce e melodie realizzata in tempo reale. Il tutto sostenuto da un attento studio della luce che, ispirandosi al Roland Barthes de “La camera chiara”, mira a “rivelare l’immagine” attraverso l’azione delle fonti luminose, trasformate in vere e proprie coprotagoniste sulla scena.
Un “rivelarsi” che non è soltanto pratico e performativo, ma anche simbolico ed emotivo, come il mostrarsi graduale allo sguardo dell’altro. Centrale è, infatti, il concetto di relazione, evocato sin dal titolo e declinato – seguendo le suggestione letterarie di Perec (“Un uomo che dorme”) e Berger (“Da A a X”) - in tutte le sue forme: fisiche, spaziali, psicologiche e simboliche.
Danzatori, attori, light designer e musicisti, dunque, si muovono e interagiscono (fra loro e con il pubblico) delineando sulla scena quella dialettica di pieni e vuoti che è, in definitiva, la modalità con cui ognuno di noi si rapporta a se stesso, agli altri, allo spazio, al mondo.