Veronese e Padova

Informazioni Evento

Luogo
MUSEI CIVICI AGLI EREMITANI
Piazza Eremitani 8, Padova, Italia
Date
Dal al

da martedì a domenica, 09-19, chiuso tutti i lunedì non festivi

Vernissage
07/09/2014

su invito

Biglietti

Biglietti: intero € 10,00; ridotto € 8,00; ridotto speciale € 6,00 convenzionati; ridotto scuole € 5,00; gratuito per bambini fino a cinque anni, possessori biglietto intero Cappella degli Scrovegni, Padovacard, Cartafamiglia, Musei Tutto l’anno.

Patrocini

Promotori:
Comune di Padova-Assessorato alla Cultura e dai Musei Civici e Biblioteche di Padova –
con Mibact-Soprintendenza per i Beni storici,artistici ed etnoantropologici per le Province di
Venezia, Belluno, Padova e Treviso, Ministero dell'Interno Fondo Edifici di Culto e Regione del
Veneto, con la collaborazione della Fondazione Antonveneta e il sostegno di Fischer Italia,
Cassa di Risparmio del Veneto, Gruppo ICAT e SKIRA capofila ATI

Editori
SKIRA
Artisti
Paolo Veronese
Uffici stampa
STUDIO LUCIA CRESPI, VILLAGGIO GLOBALE
Generi
arte antica
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Dai capolavori patavini di Veronese, alla rivisitazione barocca delle sue scenografiche
invenzioni: l’eredità di un grande artista in mostra a Padova.

Comunicato stampa

Dai capolavori patavini di Veronese, alla rivisitazione barocca delle sue scenografiche
invenzioni: l’eredità di un grande artista in mostra a Padova.

Esposta anche l’“Ascensione di Cristo” dalla Chiesa di San Francesco, oggetto alla fine del Cinquecento del furto clamoroso della parte inferiore.

Il cromatismo limpido e armonioso, gli audaci impianti architettonici, la forza scenografica delle composizioni, perfino l’intensa drammaticità nei soggetti sacri dell’ultimo periodo:
quella di Paolo Veronese è stata una pittura potente e di straordinaria forza comunicativa, capace di influire sulla produzione
artistica di tanti contemporanei e d’intere generazioni d’artisti, ovunque egli sia stato chiamato ad operare.

Fu così anche a Padova, città con la quale Veronese ebbe intensi rapporti a partire dal 1556 - soprattutto grazie all’illuminata committenza dei benedettini – apportando nuova linfa alla
civiltà figurativa locale. Da allora non fu più possibile prescindere dall’esperienza veronesiana che diverrà termine fondamentale di confronto per i nuovi protagonisti della scena locale.

La mostra, promossa per ricordare l’arte del grande maestro dal Comune di Padova, Assessorato alla Cultura-Musei Civici e Biblioteche di Padova – con Mibact-Soprintendenza per i Beni
storici, artistici ed etnoantropologici per le Province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, Ministero dell'Interno Fondo Edifici di Culto, Regione del Veneto, la collaborazione della
Fondazione Antonveneta e il sostegno di Fischer Italia, Cassa di Risparmio del Veneto, Gruppo ICAT e SKIRA capofila ATI -
prenderà dunque le mosse proprio dai capolavori di Paolo Veronese conservati a Padova, riuniti per l’occasione nelle sale dei Musei Civici agli Eremitani,
dal 7 settembre 2014 all’11 gennaio 2015, con la sola eccezione dell’inamovibile Pala di Santa Giustina.

Una sorprendente riflessione sul lascito di uno dei maggiori artisti del Cinquecento, che prosegue in un denso excursus tra eredi, emuli e interpreti dello spirito e delle invenzioni
veronesiane nel contesto patavino tra il XVI e il XVII secolo: dal fratello Benedetto Caliari e i figli Carletto e Gabriele – gli Heredes Pauli operosi anche a Santa Gustina –
a Giovanni Battista Zelotti, Dario Varotari, Lodovico Pozzoserrato e Giovanni Battista Bissoni.

In risposta alla pittura d’ispirazione tizianesca del Padovanino, Pietro Damini lavora in termini veronesiani, mentre, con l’avanzare del Seicento, Girolamo Pellegrini – punto d’incontro tra la
tradizione romana cortonesca accolta dal Liberi e quella veneta – il pittore fiammingo Valentin Lèfevre, Giovanni Antonio Fumiani e Sebastiano Ricci individuano l’opera di Veronese
quale elemento fondante per la nascita del Rococò nel Veneto e la sua diffusione su scala europea.

Nell’insieme circa cinquanta dipinti e una quarantina di stampe tratte dai lavori del pittore, per raccontare “Veronese e Padova. L’artista, la committenza e la sua fortuna”
a cura di Davide Banzato, Giovanna Baldissin Molli ed Elisabetta Gastaldi.

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Una storia intensa, che prende avvio verso la metà degli anni ’50 quando Paolo viene chiamato dal Vescovo di Padova Francesco Pisani a realizzare la “Trasfigurazione” (1556) per
l’altare del duomo di Montagnana ove il prelato aveva una villa, e in seguito dalla famiglia Contarini, che secondo le fonti possedeva, in una delle residenze padovane, opere di Veronese.

Siamo agli inizi della prima maturità dell’artista che, seppur proveniente dalla terraferma, aveva già raggiunto fama e successo nella Serenissima, dove si era stabilito con la bottega tra il
1554 e il 1555, e aveva già avviato i primi importanti lavori in laguna: a Palazzo Ducale, nella Chiesa di San Sebastiano e per la Libreria marciana.
Verona d’altra parte era uno dei centri d’elaborazione artistica cui Padova si rivolgeva da tempo, con una “trama di rapporti” che coinvolgevano già il vecchio Antonio Badile,
maestro e, a partire proprio dal fatidico 1556, suocero di Veronese.

Allo stesso anno i più recenti studi riconducono anche il bellissimo “Martirio di Santa Giustina”, opera dai colori smaglianti e preziosi che Pallucchini definì “uno dei dipinti più
significativi dell’adesione giovanile di Paolo alla cultura del Manierismo” e che deve considerarsi il prototipo di altre tele di analogo soggetto.
Collocato forse originariamente nella cappella del padre abate e poi passato nella Galleria abbaziale di Santa Giustina, il dipinto - con
cui si apre l’importante esposizione agli Eremitani - segna l’avvio del fecondo e continuativo rapporto del pittore con i benedettini del padovano.
Pochi anni dopo nel 1562, l’abate Placido II da Marostica commissiona al Veronese, per l’Abbazia di Praglia, la Gloria d’Angeli e poco dopo Il Martirio dei SS Primo e Feliciano,
due grandi tele centinate poste negli altari ai lati dell’altare maggiore. In quello stesso periodo l’artista stava realizzando le pale del monastero benedettino di Polirone, a San
Benedetto Po, appartenente alla medesima congregazione e aveva da poco ultimato gli affreschi di Villa Barbaro a Maser che si possono opportunamente mettere a raffronto con le due opere:
l’una di grande efficacia luministica, l’altra – il Martirio - squisitamente teatrale e dal cromatismo limpido e armonioso, connotata da un impianto architettonico audace e da una
composizione ardita, con un gruppo simmetrico di persone in ombra cui si contrappone la candida infilata architettonica e il cavaliere fuoricampo.

La mostra vanta anche due assolute rarità nel corpus veronesiano, entrambe di proprietà dei Musei Civici, come la Crocefissione unica opera nota su lavagna di Paolo Veronese - dipinta
per i benedettini all’inizio degli anni Ottanta – e la Maddalena e l’angelo (1582 c.), un incompiuto, un pensiero steso velocemente sulla tela, d’estremo interesse per comprendere la
tecnica seguita da Caliari negli ultimi anni e che evidenzia come l’artista realizzasse “con grandissima sicurezza, nella stessa fase, ombre e luci – come nota Davide Banzato - in vista di
un punto d’arrivo che dentro di se aveva ben individuato”, affidando al colore “una funzione creativa nel progressivo procedere della definizione del dipinto”.
Interessante è l’autoritratto che Paolo Veronese inserisce nell’Ultima Cena, opera tarda realizzata insieme alla bottega e probabilmente destinata al refettorio del convento dei
Cappuccini: una tela dall’atmosfera cupa e difforme che l’artista trae forse dalla coeva pittura di Tintoretto.
Eccezionale è infine la presenza nel percorso della mostra dell’Ascensione di Cristo, databile 1575, proveniente dalla Chiesa di San Francesco a Padova. Si tratta di un’opera
chiave per l’impianto protobarocco, che avrà un notevole seguito negli esiti successivi di Paolo e della bottega
e che fu al centro poco dopo di una singolare vicenda di furti ed esportazioni illecite.

La parte bassa dell’opera - identificata negli Undici Apostoli ora nell’Arcidiocesi di Olomouc in Repubblica Ceca - venne infatti “da un rapace umano dal mezzo in giù tagliata”,
secondo la colorita ricostruzione del Ridolfi rubata l’importante porzione di tela, sarà affidato a Pietro Damini nel 1625 il compito di reintegrare il dipinto,
essendo egli, allora, il più qualificato interprete dello stile veronesiano.
All’onda lunga dell’attività della bottega e degli eredi, seguita alla morte di Paolo, alla traduzione dello stile del maestro nelle decorazioni d’interni condotta soprattutto dal veronese
Giovanni Battista Zelotti (si pensi agli affreschi del Catajo ma anche alle decorazioni per l’Abbazia di Praglia da cui giungono in mostra Salomone e la regina di Saba e Gesù tra i
dottori), alle realizzazioni - infine - di Dario Varotari in chiave più domestica e provinciale, era già succeduta una nuova fase: quella dei copisti, degli emuli e di quanti s’ispiravano
all’arte del Veronese, alla sua ricchezza di immagini e alla brillantezza di colori.

Per Damini in particolare, si deve parlare di un consapevole utilizzo degli spunti veronesiani nella nuova ottica controriformista - l’uso dei cangiantismi, la ricchezza dei costumi, gli
elementi decorativi – fino al raggiungimento di un’adesione “personale” ai modi di Paolo, come nella bella Adorazione dei Magi, raffinata e decorativa nella rappresentazione
di personaggi eleganti ma nel contempo di grande semplicità compositiva.

Il Caliari fu anche la personalità guida per quanti nel Veneto, dalla metà del settimo decennio del Seicento, cercarono di impostare un nuovo linguaggio, basato sulle strutture coloristiche e
formali: da Girolamo Pellegrini – che lavorando a Maser ebbe modo di confrontarsi con uno dei massimi capolavori di Paolo - a Valentin Lèfevre,
famoso soprattutto per i suoi piccoli quadri di soggetto biblico o storico-mitologico dove eroi da melodramma sono inseriti in scene dalle strutture formali e architettoniche veronesiane
e che in molte sue realizzazioni si confronta direttamente con le opere di Paolo.

Al culmine del revival veronesiano seicentesco si pone Sebastiano Ricci, vero protagonista della svolta rococò della cultura figurativa nel Veneto, veicolo della pittura chiara e luminosa di
Caliari in Europa. La presentazione al tempio proposta in mostra, di collezione privata, per quanto successiva di almeno un decennio all'attività padovana – avvenuta anch'essa nel contesto
straordinario di Santa Giustina - è rappresentativa della sua operazione d’aggiornamento settecentesco di uno spunto tratto dalle portelle dell'organo di San Sebastiano così come la tela
del Perazzoli con il Convito di Erode mostra l'immediato accoglimento nel Veneto di questo gusto.

L'eredità lasciata da Paolo Veronese, il seme gettato con le sue scenografiche creazioni continuava a dare i suoi frutti.

D’altra parte la fortuna veronesiana è testimoniata in mostra anche da un nucleo notevolissimo di stampe tratte dalle sue opere, selezionate nella collezione dei musei civici patavini e
rappresentative di buona parte della tematiche del pittore veneto. Preziosi fogli, che portano la firma di grandi incisori italiani e stranieri dal Cinquecento all’Ottocento, come Carracci,
Lefèvre, Cochin, Wagner, Zanetti, Jackson, Monaco, Zancon e altri; importanti strumenti filologici e critici e, talvolta, unica testimonianza iconografica esistente per lavori dispersi o distrutti.
Accompagnato da un ricco catalogo edito da Skira, il grande evento espositivo di Padova è arricchito da un Itinerario di approfondimento,
che includerà la basilica di S. Giustina e la Sala della Carità a Padova, il convento di Praglia, Villa Roberti a Brugine, e il Castello del Catajo,
evidenziando la diffusione dell'arte veronesiana nella decorazione d’interni.