Valore atteso
Ciascuno necessita di una distanza. Dal tempo, dai luoghi o da se stessi. È la distanza (che genera assenza) a proteggerci dalla presenza illimitata delle pulsioni. Ancora, è la distanza a consentire il progetto e l’aspettativa di senso che ne deriva. Nella pausa, nello scarto tra il presente ed il futuro atteso l’artista – soprattutto l’artista – inventa la possibilità, induce l’ambiente, evoca speranza: L’assenza non è né tempo né strada – scrive Hikmet, e nei suoi versi s’intuisce un’attesa fiduciosa – l’assenza è un ponte tra noi.
Comunicato stampa
Ciascuno necessita di una distanza. Dal tempo, dai luoghi o da se stessi. È la distanza (che genera assenza) a proteggerci dalla presenza illimitata delle pulsioni. Ancora, è la distanza a consentire il progetto e l’aspettativa di senso che ne deriva. Nella pausa, nello scarto tra il presente ed il futuro atteso l’artista – soprattutto l’artista – inventa la possibilità, induce l’ambiente, evoca speranza: L’assenza non è né tempo né strada – scrive Hikmet, e nei suoi versi s’intuisce un’attesa fiduciosa – l’assenza è un ponte tra noi.
Di questo ponte, che è comunicazione di un valore, di un rapporto dinamico e contraddittorio, i lavori su tela di Françoise e Laetitia Calcagno sono testimonianza piena. Diversissime sul piano formale – dalle vaste ed accese campiture cromatiche di Françoise ai personaggi surreali ed enigmatici di Laetitia – le opere esposte ricavano dal confronto un colloquio proficuo, uno spazio d’interrogazione che non si lascia ridurre a teoria, ma è innanzitutto esperienza che torna alla tela e nella tela ritrova la propria apertura. Un’interrogazione inquieta e trepida, quella delle due artiste: mai del tutto sicura di se stessa e del mondo, ma portatrice di un sapere progettuale che c’incanta. Certo, il dialogo non esclude una vibrante forza polemica, nel contrappunto delle voci, e laddove Françoise occupa lo spazio con la grana raffinata della sua tinta ( lontanissima, s’intenda, da ogni facile resa estetica), Laetitia divora i primi piani di domande, di sguardi talvolta angosciosi o dolcissimi nella gamma fredda che supporta la splendida grafia.
Il contraddittorio non prevede la semplice capacità del durare, né sottintende connotazioni comparative. C’è qualcosa d’altro a reggere il sottile gioco tra gli estremi: ciò che è vivo, ciò che è stato fatto – intuiamo – è un tutto in potenza. Non essenza metafisica, ma realtà che accoglie gli opposti nella distanza, nello spazio della possibilità. Qui, nella pausa, sta il valore atteso che si scopre nell’andare, nel gettare quel ponte tra noi.
La forma e il suo procedere ci appaiono come rapporto ineludibile tra elementi eterogenei, ma non estranei alla vita. È l’esperienza reale a farsi misura trascendente, in questo progetto: un presentimento del linguaggio, in Françoise e Laetitia, come equilibrio e compimento. Intuizione della sua possibile venuta, anticipazione del cuore, traccia luminosa del ricordo.
Francesca Brandes