Tre artiste quattro

Informazioni Evento

Luogo
ROCCA DI UMBERTIDE
Piazza Fortebraccio, 06019, Umbertide, Italia
Date
Dal al

da Martedì a Giovedì, 10.30 / 12.30 - 16,30 / 17.30; da Venerdì a Domenica 10.30 / 12.30 - 16,30 / 18.30
Lunedì chiuso

Vernissage
07/05/2022

ore 17

Curatori
Giorgio Bonomi
Generi
arte contemporanea, collettiva
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La mostra continua la serie di esposizioni con artiste di genere femminile, iniziata nel 2016.

Comunicato stampa

La mostra continua la serie di esposizioni con artiste di genere femminile, iniziata nel 2016. Anche questa volta vengono proposte tre artiste che operano con diverse poetiche e differenti tecniche: Susanna Cati è fiberartista, Serafina Figliuzzi è fotografa, Ornella Rovera è scultrice. Con tre “personali” queste artiste, provenienti da varie parti d’Italia, offrono uno spettro ampio dell’arte contemporanea, dall’astrazione all’arte concettuale, dalla fotografia d’arte alla Fiber art.
Susanna Cati, è nata a Rieti nel 1961 e vive a Perugia. È una validissima rappresentante della Fiber art (Arte tessile) che oggi ha una larga diffusione fino ad essere quasi una moda, ma Cati sono molti anni che la pratica con una caratteristica ben precisa: presenta un lavoro che potrebbe sembrare artigianale – e lo è per la grande abilità manuale richiesta – ma in lei diventa opera d’arte. Pittura, scultura, disegno, installazioni vengono prodotti con le fibre, ora preziose ora di scarto riciclate, con tecniche tradizionali o sperimentali. Tappeti, arazzi, “costruzioni” tessili sono realizzati con un intenso senso del colore e della luce, le immagini ora sono astratto/geometriche ora più informali; accanto all’opera di superficie, da muro o da terra, crea raffinate “scatole”, di legno e di vetro, che racchiudono frammenti, materialmente costituiti da ritagli di stoffe, da pezzetti di plastica e da altro, simbolicamente invece sono “momenti”, attimi di tempo (vissuto), di ricordi, di sensazioni. A testimonianza di quanto l’autrice sia dentro i territori dell’arte contemporanea, basti osservare come si lega, nei colori e nelle immagini, a tutta l’arte astratta ed anche espressionista, non dimentica del concettualismo che, come fecero, ad esempio, i primi cubisti, comporta anche l’uso del codice verbale (le lettere dell’alfabeto, le parole) sulla superficie dipinta.
Serafina Figliuzzi nasce in Calabria nel 1974 e vive a Venezia. Opera con la fotografia e si serve, come materia delle sue riprese, del proprio corpo. Non si tratta, anche se lo sono, di “autoritratti” né, tanto meno, di “narcisismo”. Il suo corpo nudo si erge ad elemento universale che comprende il sé dell’artista e il sé di tutta l’umanità. Figliuzzi “aggroviglia” il suo corpo, accrescendo con gli scatti multipli l’accartocciamento delle sue membra, creando masse “informi”, come se “destrutturasse”, “sezionasse” il suo corpo in parti per poi ricomporlo in forme multiple. Naturalmente queste “contorsioni” fisiche sono simboliche, rappresentando i grovigli della mente e dell’anima, le lotte interiori dei pensieri, delle emozioni, dei dolori personali: insomma, come afferma l’artista stessa, vuole mostrare il/i mostro/i che si nasconde/ono in lei affinché l’osservatore possa cogliere quello/i che è/sono dentro di lui, cioè vuole provocare una presa di coscienza e una catarsi. Dal punto di vista formale, Figliuzzi predilige usare il bianco e nero, anche se talvolta si esercita, con eguale maestria, nel colore. Gli è che il bianco e nero, forse, si presta di più a rendere l’aspetto perturbante e severo dei suoi contenuti. Va sottolineato come la “poesia” che talora accompagna l’immagine non sia modalità pleonastica bensì complementare che, in tal modo, ben rende la complessità del messaggio che la fotografia comunica.
Ornella Rovera (Torino 1961) pratica la scultura e la fotografia in modo tale da avere una sorta di sinergia tra le due modalità per cui le sue opere si potrebbero definire “fotosculture”. La dialettica tra fotografia e scultura si ritrova nelle singole opere le quali si presentano tanto “libere”, “aperte”, quanto “strutturate”, “chiuse”, “delimitate”. Infatti all’artista piace inserire, ad esempio, delle fotoceramiche all’interno di una scatola, ottenendo un’opera che ha “spessore” e, allo stesso tempo, è “superficie”, oppure la “struttura” chiusa si presenta con un lato “aperto” che indica la possibilità di movimento e di continuità. Altre volte abbiamo dei lavori costituiti da un supporto a muro da cui fuoriescono fili di ferro, un po’ confusi, senza un ordine definito: si tratta delle “trappole” – in tal modo vengono titolate – e come tali rimandano alle ragnatele che, appunto, “intrappolano” gli insetti che lì capitano. Queste ultime opere hanno anche un’altra qualità, quella di creare un affascinante gioco di ombre e di rimandi tra gli elementi reali e i segni immateriali costituiti dalle loro ombre sulla parete la quale, a sua volta, diviene “supporto” proprio dell’“opera” creata dalle ombre.