The other other familiar other – Luca Staccioli

Informazioni Evento

Luogo
RIOT STUDIO
Via San Biagio Dei Librai 39, Napoli, Italia
Date
Dal al
Vernissage
26/01/2018

ore 18

Artisti
Luca Staccioli
Curatori
Bite The Saurus
Generi
arte contemporanea, personale
Loading…

Con The other, other, familiar other, Bite The Saurus dà il via ad una serie di progetti che rifletteranno sulla possibilità di generare un confronto attivo all’interno della scena artistica napoletana, nel tentativo di produrre una effettiva alternativa ad un sistema sclerotizzatosi attorno alle sue istituzioni.

Comunicato stampa

Con The other, other, familiar other, Bite The Saurus dà il via ad una serie di progetti che rifletteranno sulla possibilità di generare un confronto attivo all’interno della scena artistica napoletana, nel tentativo di produrre una effettiva alternativa ad un sistema sclerotizzatosi attorno alle sue istituzioni. Senza nessuna volontà di distaccarsi completamente da tale campo, Bite si colloca nella migliore delle ipotesi in prossimità dei limiti stabiliti dall’ambiente culturale partenopeo, sempre all’interno di quel sistema di legittimazione, in quella che viene individuata come la “posizione” ideale per aprire una breccia.
Innestando una protesi, un elemento estraneo a tale sistema, si vuole far germogliare la possibilità di un’alternativa, partendo dalla stessa ridefinizione dell’approccio a ciò che è altro, alla cosiddetta alterità.
L’esperienza è quella del vero Exota, definito da Segalen come l’unico a percepire l’irreducibile distinzione degli esseri, colui che più di altri deve impegnarsi affinché lo scarto, ovvero la differenza, fra il soggetto e l’oggetto della conoscenza non sia mai colmato.
Strutturata in due fasi, tale esperienza prevede una preliminare e parziale identificazione dell’altro alla quale deve inevitabilmente seguire l’esplosione della differenza, abbandonando qualsiasi presunzione di comprendere e controllare in toto l’alterità, ciò che resta è la percezione di una incomprensibilità eterna, l’accettazione finale di una porzione di inconoscibilità.

In quest’ottica, Was it me? Screen memories può definirsi il punto di partenza del progetto pensato da Luca Staccioli e Bite The Saurus

schermo nero, dai rumori indistinti di fondo si percepisce un tintinnio di chiavi, qualcuno le poggia su di un tavolo, un telefono vibra, un uomo si schiarisce la voce, il telefono vibra di nuovo, nessuno parla. Partono le immagini.

Il protagonista invisibile del video, lo stesso artista, calato in quello che percepiamo essere un ambiente domestico, muove la sua ricerca attraverso una miriade di documenti, immagini trovate su internet, video amatoriali ed ufficiali che spaziano dalla documentazione di epoca coloniale a progetti tecnologici innovativi, fino alla pornografia.
Rifilmata attraverso lo schermo, questa molteplicità di immagini, genera una narrazione frammentata senza un filo temporale e tematico lineare, che non nasconde l’intervento dell’artista.
Non ponendosi in maniera passiva dall’altra parte dello schermo, Luca Staccioli accelera, rallenta, rivede e cambia le scene in continuazione, nel mezzo della velocità delle immagini, ricerca, da estraneo, un senso differente. Sfruttando le potenzialità del medium tecnologico, il computer, manipola a proprio piacimento le distanze, in un gioco di prossemica, mischia e confonde tempi e luoghi lontani. Un ulteriore atto di “sfondamento”, si percepisce quando, inserendo “la propria mano”, l’artista cerca di forzare un nuovo contatto fra gli oggetti attraverso la sovrapposizione di souvenir raccolti durante i suoi viaggi. Annotandoci sopra un appunto o una frase, il gesto assume lo stesso significato del ricamo di Inabiting Atlas: il segno del tentativo di comprensione, l’effettivo processo di appropriazione dell’oggetto.
Attraversato il confine dello schermo e abbandonata la percezione di esso come barriera, quello che ne scaturisce è la dipanazione di uno spazio dove tutti gli elementi vengono messi in relazione fra loro, non spogliati della propria identità, s’intersecano a vicenda, approcciandosi ad un “luogo” dove provare a ridefinire la propria individualità, la propria posizione e l’intero contesto.

Al Riot Studio ciò che viene tentata è una rappresentazione fisica e non più virtuale di questo spazio. Gli ambienti di Palazzo Marigliano, storicamente connotati da una forte
sperimentazione teatrale, diventano il palcoscenico su cui mettere in scena l’apertura dell’opera dalla quale tutti gli elementi fuoriescono e, senza nessuna forma di gerarchia, strutturano i diversi atti di una narrazione fluida.
Le mani che reggono i souvenir diventano foto a sè stanti, non più sovrapposte alle immagini rifilmate dallo schermo, presentano gli oggetti nudi e crudi, adagiati su diversi green screen sono pronti per essere messi in relazione con le altre opere presenti: dagli oggetti raccolti per le strade di Genova, Marrakech, Tunisi ecc., sui quali è apposto il segno dell’attraversamento dell’ago, il ricamo delle incrostazioni del vetro asportato dallo studio dell’artista, a vari testi colmi di appunti che compongono un quotidiano.
Aprendosi in tal modo, i lavori danno vita ad uno spazio concettuale in divenire che non trascura lo spazio estetico. Il divenire che performato ogni volta, distrugge il confenzionamento dell’oggetto chiuso e in un certo senso monogamo. L’orizzonte si amplia, lo spazio diviene il luogo ove gli oggetti subiscono una pratica di ridefinizione di significati e valori, generando un nuovo campo semantico, diventano un ecosistema rizomatico.

Valicando la soglia del Riot, lo spettatore verrà abbandonato in questa dimensione altra, sopraffatto da oggetti ed immagini di cui conosce le funzioni e con i quali è già venuto in contatto nell’arco della sua esistenza, ma non potrà non percepirne allo stesso tempo la distanza.
Non più dall’altra parte, davanti all’opera, passando attraverso il velluto rosso, il pubblico verrà introdotto nel merito del processo di creazione e gli verranno consegnati gli strumenti per una rimessa in discussione del rapporto tra l’alterità e lo spazio della propria soggettività.

Statement dell’artista

Luca Staccioli (Imperia, 1988) artista visivo e ricercatore, ha studiato musica, filosofia all’Università Cattolica di Milano, pittura all’Accademia Ligustica di Genova, Arti Visive e Studi Curatoriali presso NABA, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano. Tra le sue mostre recenti: 2017 – Studio Visit a cura di Pietro Gaglianò, Museo Masaccio-Giovanni Mannozzi, San Giovanni Valdarno; The Great Learning, a cura di Marco Scotini, Palazzo della Triennale, Milano; 2016 – NESXT, Kalki Club, Current project, Q35, Torino; 2016 – Accomplices Plot III: The Great Bubble of Important Nothings, Hole of Fame, Projektraum, Dresda, Germania. Ha preso parte a varie residenze, workshop e premi tra cui: 2016 – Salzamt International Residency Program, Atelierhaus, Linz, Austria; 2014 – workshop Memory in Pocket, con Luca Vitone, Museo di Arte Contemporanea di Villa Croce, Genova; 2017 – secondo premio, Talent Video Awards, Careof, FIDMarseille, Mibact.