Soichiro Shimizu – Destruction for Creation
Un titolo che nacque dopo i terremoti di agosto e ottobre 2016 in Umbria, quando il progetto di Soichiro Shimizu stava maturando nei suoi atelier di Bangkok e Tokyo.
Comunicato stampa
RESIDENCE COLLICOLA è un format di residenza per giovani artisti stranieri, chiamati alla prima avventura espositiva presso un’istituzione italiana. Palazzo Collicola Arti Visive propone così un nuovo modello operativo a cadenza dilatata: da una parte la mostra personale, culmine filologico del Residence Collicola; dall’altra le opere realizzate durante il periodo di permanenza, le collaborazioni che il museo crea tra l’artista residente e altri autori, l’ingresso nelle collezioni del Palazzo, gli interventi che l’artista realizzerà in occasioni successive ma sinergicamente fuse al progetto complessivo.
DESTRUCTION FOR CREATION è un titolo che nacque dopo i terremoti di agosto e ottobre 2016 in Umbria, quando il progetto di Soichiro Shimizu stava maturando nei suoi atelier di Bangkok e Tokyo. La forma/contenuto delle opere evidenzia un legame con la natura minerale, la visione aerea del Pianeta, la conformazione delle cortecce, gli spessori del terreno, i disegni delle foglie, le rughe paesaggistiche, i canali di lava solidificata, le linee sinuose dei torrenti, le superfici rugose della pietra… e poi non bisogna dimenticare che l’artista viene da un Paese, il Giappone, che sulla cultura antisismica ha costruito un pilastro etico (e architettonico) della propria civiltà. Da qui l’idea che ogni distruzione sia lo spunto per una creazione, per assorbire gli errori in una crescita condivisa, dando al passo falso di ieri il passo abile del domani, instillando nell’opera il valore dell’esperienza e il segno di una rinascita olistica.
La storia dell’umanità è piena di fratture, dissesti, spaccature, sommovimenti, pressioni, spinte… la biologia stessa del Pianeta è un immane battaglia tra forze contrastanti, un gigantesco e rumoroso caos che fonde vita e morte in un equilibrio persistente e fragilissimo… Umbria e Giappone sono luoghi lontani sul mappamondo ma simili per conformazione geologica interna, per dinamismo sotterraneo, per ampiezza del silenzio ambientale, per un misticismo meditativo che proprio nelle montagne trova la sua camera delle umane meraviglie…
SOICHIRO SHIMIZU è un artista giapponese che sta varcando un ideale ponte linguistico tra valori europei e cultura asiatica. Nato e cresciuto in Giappone, da alcuni anni trascorre parte del tempo a Bangkok, dove svolge i passaggi più indicativi delle sue ricerche. Questo a Spoleto è un esordio italiano che arriva dopo diversi viaggi sul territorio umbro, dopo una graduale conoscenza della nostra flora territoriale, della conformazione geologica, dei simbolismi religiosi, del tema architettonico, del patrimonio artistico e librario… Shimizu ha compreso la fragilità dei nostri territori, dell’architettura religiosa e civile, dell’archeologia millenaria, delle bellezze amene che si consumano come corpi dai muscoli resistenti e dalle ossa ormai fragili. Al contempo, il suo occhio reattivo sta metabolizzando i valori spirituali delle culture asiatiche, i profili dei paesaggi amati, la centralità degli alberi come canali divinatori. Le due dimensioni geografiche diventano realtà interiori che si fondono come placche sovrapposte e dialoganti: ed ecco che sguardi, lingue, abitudini e azioni seguono lo stesso rumore bianco del cielo, calpestano lo stesso verde a terra, carezzano lo stesso marrone dei tronchi… l’opera stessa, frutto di una battaglia tra distruzione e resistenza, termina con un ristabilito ordine armonico, come ali di farfalla che dipingono il corpo (e l’aria) con la perfezione del giusto ritmo universale.
Lo sguardo di Shimizu agisce sul confine tra Uomo e Natura, evocando il valore espressivo della potenza geologica, la qualità figurativa dei materiali che si trasformano (da liquido a solido, da liquido a gassoso, da solido a liquido…) per definire l’impronta finale di una biologia iconografica. Le tecniche esecutive sono la controprova di questa fusione tra Uomo e Natura: l’artista, per prima cosa, stratifica le terre naturali con un meccanismo lungo e metodico, agendo sulle gamme tonali, sugli spessori, sulle adiacenze; poi inizia un lavoro d’incisione, altrettanto lungo e metodico, che tatua le strutture con decise onde segniche; a completare il processo arrivano il fuoco e altri elementi che consumano e deteriorano, portando la “distruzione” apparente in una “creazione” sostanziale, sciamanica, fortemente geologica. I pattern dei quadri, collegabili ai loro “gemelli” disegnati su carta, mostrano una ramificazione proliferante, simile ai sistemi circolatori e nervosi del corpo umano, alle reti neuronali, alle strutture di certi batteri, agli anelli di accrescimento degli alberi, alle ragnatele, alla calotta delle tartarughe, alle squamature dei rettili, ai sistemi geometrici delle galassie… somiglianze che non sono mai uguaglianze, energie in azione che sul quadro producono pattern autonomi, ibridi ma conclusi, maestosi su quel fatidico confine che unisce Uomo e Natura.
Gianluca Marziani: L’esperienza con Shimizu coinvolge i nostri sensi in una vertigine biologica… sembra di sentire il rumore del vento nelle foreste sotto il Monte Fuji, l’umidità collosa che sale dalle foreste thailandesi, il caldo della lava che scorre dai crateri indonesiani, l’odore del legno consumato dal tempo orizzontale… si percepisce un silente ma utile legame con un maestro, Giuseppe Penone, che sembra l’amico elettivo di Soichiro, un saggio dei boschi che ha mostrato al giapponese la via di una creazione dopo la distruzione…