Soglie del controllo

La Galleria Simóndi è lieta di ospitare la terza edizione di Post Scriptum, format con il quale ogni settembre inaugura la propria stagione espositiva.
Comunicato stampa
La Galleria Simóndi è lieta di ospitare la terza edizione di Post Scriptum, format con il quale ogni settembre inaugura la propria stagione espositiva. La mostra collettiva Soglie del controllo, curata dalla galleria in collaborazione con Eva Frapiccini, offre un’indagine urgente e stratificata sull'epoca della tecnocrazia, in cui il potere si struttura attraverso algoritmi, sistemi di controllo e narrazioni automatizzate. In un contesto dominato dall'opacità delle tecnologie e dalla delega della responsabilità alle intelligenze artificiali, le opere presentate aprono spazi di riflessione critica, mettendo in discussione le modalità con cui sogni, corpi, memorie e desideri vengono raccolti, archiviati, manipolati e disciplinati.
Eva Frapiccini, Rana Hamadeh e Pınar Öğrenci evocano un'atmosfera sospesa, mettendo in scena una critica sottile ma decisa alla razionalità tecnocratica che permea il nostro tempo, e al contempo una riflessione sulle disuguaglianze che attraversano la società contemporanea, dove lo spazio per i sogni e i desideri non è equamente accessibile a tutti e assume pesi e proporzioni differenti a seconda del contesto sociale in cui si cresce e si vive. Frapiccini, Hamadeh e Öğrenci rifiutano la logica del controllo tecnofeudale, in cui soggettività e desideri sono strumentalmente funzionali a un progetto di dominio e profitto. Nelle loro opere l'astrazione creativa apre alla complessità, strappandola alla presa dei regimi automatizzati di semplificazione e sfruttamento. Soglie del controllo è un atto di resistenza: contro l’archivio totalizzante, contro l’ideologia della norma. In un’epoca in cui la tecnocrazia si maschera da neutralità, questa mostra invita a ritrovare il valore del dubbio, della devianza e del sogno.
L’installazione sonora Dreamscape è il risultato della ricerca iniziata da Eva Frapiccini con il progetto partecipativo Dreams' Time Capsule (2011-2022), che ha raccolto più di duemila registrazioni di sogni da diverse parti del mondo come intime confessioni di desideri, paure e memorie. In mostra i due speaker interattivi di Dreamscape (2023) dimostrano come il sogno nelle voci di chi lo racconta diviene anche un atto di resistenza alla colonizzazione dei dati. Nella società tecnocratica, dove ogni aspetto della vita viene quantificato e ridotto a pattern analizzabili per fini commerciali, Frapiccini afferma il valore dell’insondabile e del soggettivo come valore unico.
Oltre ad aver creato un archivio di sogni, l’artista ricrea ambienti immersivi e poetici, dove lo spettatore si connette sia con la propria sfera spirituale sia con quella degli altri, verso un racconto collettivo dove ciascuno si può riconoscere. In questo senso, Dreamscape funziona come un contro-archivio nell’era digitale, uno spazio di opacità che si sottrae alla trasparenza forzata della governance digitale.
Standard Deviation I (2021) di Rana Hamadeh si presenta come una composizione multimediale che fonde testi, immagini e suoni in un complesso sistema di significati stratificati. Si tratta di un’animazione 3D monocanale, che trae ispirazione dall’estetica dei videogiochi 3D e 2D degli anni ’80. L’opera propone una rilettura della tragedia sofoclea Edipo Re e riflette su cosa possa costituire, oggi, una teorizzazione contemporanea della tragedia. Gli atti dell’opera si dispiegano in ambientazioni inquietanti, oniriche e incalzanti, tracciando una mappatura surreale delle intensità emotive e dei percorsi di dolore del dramma originario: i suoi crescendo e diminuendo di tensioni e ansie, la sua forza drammatica, la caratterizzazione dei personaggi, gli intrecci temporali e psicologici. Il video indaga i meccanismi interni della tragedia come una macchina, una sorta di “tecnologia della resistenza”.
Rana Hamadeh non suggerisce solo il concetto di deviazione dalla norma, ma la necessità del sabotaggio delle infrastrutture che pretendono di definirla. La tecnocrazia, qui, è messa a nudo nei suoi dispositivi disciplinari, ma anche smontata e riscritta attraverso un’estetica barocca che ne sovverte le logiche.
Pinar Öğrenci esplora la stratificazione storica e materiale dell’oppressione, concentrandosi sui movimenti migratori, la guerra e le memorie collettive del trauma. Attraverso uno studio multidisciplinare, la sua ricerca mette in relazione storie quotidiane e collettive segnate da violenza statale, movimenti sociali e trasformazioni urbane e industriali.
Un Peso (2018) è la storia dei bambini di Acapulco, in Messico, che si tuffano in mare per recuperare le monete lanciate dai turisti. Il ricordo sbiadito dello splendore della città negli anni ‘50 e ‘60 è ormai oscurato dalla situazione attuale, segnata dalla presenza dei cartelli della droga della regione di Guerrero, le cronache di violenza e le storie di giovani e donne scomparse o uccise. I bambini filmati dall’artista sono figli di pescatori migrati dalla Costa Chica, per vivere delle monete raccolte dal mare di Acapulco, si immergono nella profondità delle acque e riemergono, disegnando una danza ipnotica che sembra allontanare la violenza diffusa e le disuguaglianze economiche della città.
Un Peso – il cui titolo gioca sul duplice significato della parola, sia come “peso” sia come valuta locale messicana – è al tempo stesso una metafora fisica e politica: denuncia l’automatismo disumanizzante denuncia l’automatismo disumanizzante con cui le vite vengono classificate, respinte, eliminate dai sistemi biometrici e dalle politiche algoritmiche dei confini. A questa logica Öğrenci oppone una poetica della materia e della testimonianza in cui il peso, non misurabile ma sentito, si fa profondamente umano.