Silvia Camporesi – Genius Loci
C’è un tempo per ogni cosa. E ogni cosa ha il suo tempo. Che si tratti di oggetti, di luoghi, di persone o di ricordi, il tempo la-scia su di essi il segno del suo trascorrere inesorabile.
Comunicato stampa
C’è un tempo per ogni cosa. E ogni cosa ha il suo tempo. Che si tratti di oggetti, di luoghi, di persone o di ricordi, il tempo la-scia su di essi il segno del suo trascorrere inesorabile. Talvolta si manifesta con un atto fisico, materiale, come un crollo, una lesione o un logoramento; altre volte, in-vece, rimane latente, come fosse un’im-percettibile suggestione, un presentimen-to, che solo un occhio sensibile riesce a in-tercettare e fissare in un’immagine. E pro-prio questo è quanto sa cogliere l’obiettivo di Silvia Camporesi [Forlì, 1973] che nel suo percorso espressivo si è sempre con-centrata sulla ricerca dell’identità – per-duta o ritrovata – dei luoghi visitati, per riportarne alla luce lo spirito più essenzia-le.
Il progetto Genius Loci racconta, attra-verso una ricca selezione di fotografie tratte dalle serie Atlas Italiae (2015) e Mi-rabilia (2017), la lunga storia di luoghi abbandonati e di spazi curiosi, dispersi lungo tutta la penisola italiana. L’artista ha viaggiato per diversi anni per l’Italia, in lungo e in largo, chiedendo alle persone informazioni che l’aiutassero a scovare lo-calità e meraviglie nascoste, e spesso sco-nosciute, per poi poterle fotografare inter-pretandone il profondo significato esi-stenziale.
Eco, forse, dei suoi studi di filosofia, l’ap-proccio di Silvia Camporesi all’archite-ttura e all’ambiente è quello tipico della fenomenologia che indaga le interazioni tra luogo e identità. Genius Loci non è una semplice ricognizione di luoghi, è piuttosto la summa per immagini di un intreccio di caratteri sociali e antropolo-gici, di stili architettonici e forme natura-li, di cultura materiale e immateriale, di usi, costumi e abitudini che hanno carat-terizzato questi luoghi. Negli scatti in mo-stra l’umanità c’è, ma non si vede: la sua presenza si avverte nella funzione degli spazi, nei manufatti ancora in opera e nei reperti del passato, negli affioramenti del-la memoria e nelle spie sull’attualità. L’irruzione improvvisa dell’artista riporta la vitalità dell’umanità in questi spazi or-mai chiusi in prospettive rigide e alienan-ti: sono il carcere di massima sicurezza e la scuola dell’Isola di Pianosa, una fabbri-ca abbandonata a Ficarolo in Veneto, a Predappio o nella Val Nerina nei dintorni di Terni.
Attualmente Silvia Camporesi è impegna-ta in un nuovo lungo viaggio in Italia alla ricerca di costruzioni bizzarre, musei in-soliti e meraviglie naturalistiche, per sve-lare un patrimonio sommerso attraverso il proprio sguardo. In mostra si ricono-scono la Biblioteca Malatestiana di Cese-na, il Teatro all’Antica di Sabbioneta, la Rocchetta Mattei a Grizzana Morandi, l’Abbazia di San Galgano a Chiusdino e il Teatro di Villa Mazzacorati a Bologna.
Proprio come fa il tempo, anche l’artista lascia il segno del suo passaggio su alcune fotografie, intervenendo direttamente per colorarne la superficie. Al tempo si som-ma altro tempo, in un divenire continuo e composito di identità