Roberto Baldazzini – Erotica_Mente
Il segno di Baldazzini è deciso, netto, senza ripensamenti, esiste il colore ma è il bianco nero a dare asilo alle proiezioni più veritiere, ai desideri più compiuti dell’autore, atmosfere black & white condite di profondità grazie a un uso sapiente del retino, strumento nato per snellire i tempi di lavorazione, che Baldazzini sfrutta come un filtro in mano a un direttore della fotografia.
Comunicato stampa
A cura di Michele Ulisse Lipparini
con la collaborazione di Pietro Alligo
Baldazzini, figlio della terra emiliana. Non poteva essere diversamente, terra epicurea, dove il senso della classicità e il desiderio d’innovazione, da sempre, generano innesti meticci, dai musicisti rock con nomi ellenici, Ellade, Ares e via elencando, agli illustratori che declinano un Oriente a metà fra futuro e passato, o lo scenario di un Tex epocale, nella rigogliosa natura dell’Appenino del Santerno, Magnus docet. E tralasceremo il rombo del motore del Cavallino e mille altre opzioni. Così, Baldazzini ha disegnato e disegnato sin dalla giovane età per raggiungere un segno che lo soddisfacesse, ed ecco, di fronte ai nostri occhi, prendere corpo nei primi anni ottanta, una rivisitazione pop della Ligne claire, soffusa dell’immaginario classico hollywoodiano.
E di corpo è appropriato parlare. Dopo un esordio nel solco del canone, con due diversi detective per protagonisti, Ronnie Fumoso e Alan Hassad, e Daniele Brolli ai testi, sulle pagine di quella splendida rivista che era Orient Express, figlia del compianto Luigi Bernardi, si arriva a Stella Noris, sui testi di Lorena Canossa, riflesso in celluosa di una diva della celluloide, Jeanne Crain. In un delicato gioco di specchi, Stella è una stella del cinema a fumetti, ispirata a una star in carne e ossa, che si cala nei panni delle dive che interpreta. È sensuale, non ancora voluttuosa, ma è la traccia che lascia immaginare un possibile futuro, un erotico tempo verbale.
Il segno di Baldazzini è deciso, netto, senza ripensamenti, esiste il colore ma è il bianco nero a dare asilo alle proiezioni più veritiere, ai desideri più compiuti dell’autore, atmosfere black & white condite di profondità grazie a un uso sapiente del retino, strumento nato per snellire i tempi di lavorazione, che Baldazzini sfrutta come un filtro in mano a un direttore della fotografia. Corre i suoi rischi, l’equilibrio di queste tre cromie è fragilissimo, potrebbe portare all’appiattimento, ma nel problema ecco la soluzione. Un paio d’anni dopo l’epilogo di Stella Noris, e una parentesi biografica, con Pino Cacucci ai testi, entrambi al servizio di Jim Morrison, il percorso si fa audace, indagine dell’immaginario erotico, senza lesinare coi dettagli, penetrando nei generi, bondage, fem-dom, omaggi a Betty Page, corpi pneumatici e narrazione ad alto voltaggio, in un cui la figura femminile la fa da padrona, ma è proprio quel gioco di cromie a separare nettamente il suo lavoro, una polaroid dei sensi, malizioso ma non ammiccante, esplicito ma non volgare, dalla poco appetibile deriva porneggiante che invece ha contagiato altri autori italiani. Baldazzini c’è, non ci fa.
Interessante notare come lo stesso segno abbia portato a sviscerare istanze del tutto diverse, il coevo Prof. Bad Trip è incredibilmente vicino all’autore emiliano ma è figlio della psichedelia e della cultura underground americana, non a caso illustrerà Il pasto nudo di William Burroughs, quel segno, portato alle estreme conseguenze, si rivela efficacissimo nella resa del romanzo cyberpunk. Oppure, basti scorrere le pagine di Black hole di Charles Burns, già colonna estera del gruppo Valvoline di cui erano parte integrante anche Brolli e Igort, da sempre amici di Baldazzini, al cui tratto sono contigui gli stilemi di Burns, funzionali però, in quel volume, all’esplorazione di una sessualità ben diversa: viaggio metaforico alla scoperta del corpo in epoca adolescenziale, sullo sfondo di un’epidemia dai risultati drammatici. Un segno per tre grafie, la cui plasticità è la qualità prima e il limite potenziale, perché dietro l’angolo è in agguato una possibile fissità espressiva, ma dosando elementi di grafica, di fotografia e di design, Roberto Baldazzini ha sparigliato le carte, e ha fatto di quel tratto la coerente cifra stilistica, flessibile il giusto, di una carriera trentennale. Capace di adeguarsi a nuovi soggetti, come nel caso di L’inverno di Diego, per i tipi della The Box, etichetta di Coconino – Fandango, primo capitolo di una vicenda sulla Resistenza, dove si torna a un protagonista maschile per la prima volta dopo molti anni, si parla di partigiani, si approfondisce un rapporto conflittuale fra padre e figlio, s’illustra il territorio, co-protagonista assoluto. La natura è una tematica nuova ma non troppo per l’autore, che da alcuni anni, infatti, sta producendo tele il cui soggetto è l’essere forse più longevo, l’albero. Oltre a una serie di figure femminili, più caste ma decisamente sensuali, Sofia Loren ritorna più volte e poi alcune fate, misteriose e suggestive.
Ed ecco la sorpresa, se il segno così riconoscibile ha una forza consolidata, le matite svelano una grazia inattesa, la pulizia rimane immutata, ma la delicatezza, evidente anche nei dettagli di certi abiti, nei riflessi delle labbra, nell’umidità di una spugna, nella trasparenza di un vetro, coglie di sorpresa. Matite, matite, matite ma non solo, anche tele, in esposizione e vendita a Spazio Tadini, per la terza mostra della serie Pocket Exhibit.
E sabato 15 marzo, Roberto Baldazzini sarà presente a Spazio Tadini per un live painting act, a incontrare gli appassionati e a dare un esempio dinamico del processo con cui il segno si fa corpo.
Michele Ulisse Lipparini