Renato Meneghetti

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIE BENUCCI
Via del Babuino 150 C , Roma, Italia
Date
Dal al
Vernissage
22/03/2012

ore 19.30

Artisti
Renato Meneghetti
Curatori
Francesco Buranelli
Uffici stampa
EQUA
Generi
arte contemporanea, personale
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In mostra 40 opere del ciclo “Grandi Maestri”.

Comunicato stampa

RENATO MENEGHETTI “GRANDI MAESTRI” ALLA GALLERIA BENUCCI
Questa mostra era stata suggerita da Achille Bonito Oliva già nel 2006, ma allora, né l’artista né il gallerista avevano dato seguito all’idea, che oggi prende vita in contemporanea con l’evento “Guardare dentro per Vedere oltre – Il Cristo morto del Mantegna in x-rays” nella basilica di Santa Maria in Montesanto - Chiesa degli artisti - Piazza del Popolo, Roma che si inaugura il giorno 22 marzo. La Galleria d’Arte Benucci in via del Babuino a Roma dedica a Renato Meneghetti questa personale (22 marzo – 14 aprile) con 40 opere del ciclo “Grandi Maestri” a cura del prof. Francesco Buranelli che è anche il curatore dell’evento in Basilica. Il prof. Buranelli ha assunto la duplice veste di curatore per entrambe le esposizioni perché anche “Il Cristo morto del Mantegna in x-rays” appartiene al ciclo “Grandi Maestri” ed è l’opera con la quale l’artista raggiunge l’apice di questa ricerca, considerandola l’opera conclusiva dell’intero ciclo.
Scrive di questa mostra il curatore:
[…] Dal 1978, il maestro ha elaborato un suo linguaggio artistico attraverso la “finzione” della tecnica della radiografia fino ad applicarla ai soggetti pittorici dei “grandi maestri” del passato. I numerosi critici che fino ad oggi si sono interessati all’opera di Renato Meneghetti hanno tutti messo l’accento sulla sua incessante ricerca dell’origine stessa della creatività andando a recuperare la struttura della composizione oltre l’aspetto puramente visivo dell’opera. Gillo Dorfles fu il primo ad attribuire alla ricerca di Renato Meneghetti e all’uso delle radiografie una rilevanza critica, fortemente innovativa, capace di aprire nuovi linguaggi per l’arte contemporanea in Italia. Tappe fondamentali di questo percorso artistico e della ricerca maturata con l’inizio del nuovo millennio sono state la grande e bella mostra allestita a Roma nel 2006 e la più piccola, ma forse più significativa, esposizione realizzata a Bassano del Grappa nel 2011 “Aldilà dell’occhio – I Bassano ai raggi x, segreti nei capolavori del museo” dove espose il ciclo “Grandi Maestri”. Achille Bonito Oliva ha evidenziato con grande efficacia le capacità di Meneghetti di ricostruire, di fatto distruggendo, l’oggetto dall’inconscio, arrivando ad affrontare l’origine dell’esistenza. Una ricerca maturata “guardando dentro” ad una infinità di capolavori pittorici di tutti i tempi da Caravaggio, a Giotto, da Perugino, a Michelangelo, a Leonardo da Vinci, fino a Van Gogh, Picasso e Magritte, non per un puro esercizio tecnico, ma per una ricerca senza sosta che lo porta ad affrontare le domande basilari della nostra realtà terrena. […]
Molti altri critici hanno studiato il ciclo e hanno scritto saggi di approfondimento, dei quali riportiamo qualche stralcio:
[…] per capire la sensazione che oggi si può provare guardando-sentendo le immagini di Meneghetti, bisogna distinguere alcune specifiche tappe in cui la tendenza dell’anatomista rinascimentale si compie nella spettacolare macelleria mediale del divertimento contemporaneo. Congiunzione tra rappresentazione e contrattazione. Meneghetti sta qui ritrattando i nomi dell’arte. […]
da “passaggi: sfatte-carni e morbide ossa” Alberto Abruzzese
[…] Meneghetti, fedele alla pittura, in questo ciclo ha coniugato l’antico, il moderno ed il contemporaneo portando la scienza nell’arte: egli è il traghettatore Caronte, il ponte tra la storia dell’arte ed il terzo millennio. Qui si aprono spiragli, per intelligenza o sensibilità. La “scossa” dell’arte contemporanea rianima con lo “splendor veri” le prevedibili e statiche figure del “simbolismo” dei Maestri. Scossa davvero.[…]
da “Renato Meneghetti: I Grandi Maestri” Francesco Gallo
[…]Meneghetti dimostrava già nel 1979 – in anticipo di oltre venti anni su strategie di comunicazione che oggi sono sotto gli occhi di tutti – che i raggi x, utilizzati primariamente per conoscere la struttura interna di un oggetto, possono rivelarne, aspetti cognitivi, estesici ed estetici impreveduti. Ritratti che si vedono di fronte, di profilo, di tre quarti, di scorcio o da altri punti di vista forzati e imprevedibili: questo girare intorno agli oggetti racconta lo sforzo di penetrazione dell’occhio e non fa meraviglia il parallelo tra analisi pittorica del corpo e l’ anatomia. Celato sotto il viso, dietro la varietà dei tratti somatici manifestati, c’è l’universale ritratto. Anche i raggi x tentano di penetrare al di la della pelle deperibile nelle cose e degli uomini ma, contro la consistenza scultorea dei corpi barocchi, ottengono un effetto singolare di de-materializzazione, un effetto di senso che è il rilevante contributo di Meneghetti alla pittura, ai suoi mezzi tecnici e alla sua qualità visiva. […]
da “La trans-visione del mondo” Paolo Fabbri
[…] La conoscenza della storia, in modo completo è concessa però solo a chi come Meneghetti riesce ad identificarsi con essa, non senza però rinunciare ad interpretarne gli eventi o i protagonisti. Una modalità riflessiva che avviene nella serie dedicata ai Grandi Maestri, dove Meneghetti “si appropria” di alcune fra le più note opere della storia dell’arte, per riproporle con una struttura visiva che non rappresenta semplicemente una copia del reale o un’interpretazione della stessa, ma un’immagine che appare come emblema culturale dell’analisi interiore non limitata al soggetto ritratto, ma che si addentra nella psiche del maestro stesso. Lo spazio si pervade di colore sterile, monocromo, il freddo si impossessa della scena, si espande in ogni dove, entra nelle ossa portandole in superficie fino a renderle visibili ad occhio nudo. Dai Grandi Maestri si irradia una luce perpetua, dovuta all’armonia tra tecnica e pensiero, per poi produrre un forza espressiva, che confonde e non permette di scindere il reale dalla sua percezione […]
da “Inside” Alberto Mattia Martini
[…]Vedere oltre”, dice Meneghetti presentando le opere del ciclo destinato ai “grandi maestri”. Vedere attraverso, ciò che appare dietro e dentro l’apparenza o illusione della materia, fosse anche simbolica. Ma dietro le illusioni ci sono altre illusioni, altre materie e apparenze e forme, e il bello è proprio questo, il “bello” di ciò che chiamiamo arte.[…]
[…]Renato Meneghetti ridefinisce e interroga il ritratto (l’identità) delle opere d’arte (i “grandi maestri”) facendo emergere in esse il volto del corpo, quei tratti tanto più intimi e unici quanto più universali e ordinari che sono il volto interiore del corpo; e lo fa investendo le opere più note e ricorrenti nell’immaginario culturale e nella didattica dell’arte – da Durer a Picasso, da Leonardo a Magritte, da Canova a Modigliani, ecc. […]
[…] Di cosa testimoniano i soggetti dei quadri di Meneghetti, dei “grandi maestri” o della loro ri-visitazione? Qual è il soggetto dell’opera? Dove comincia eventualmente il corpo, dove il ritratto (del fantasma del corpo), dove si arresta, e dove ha inizio la proiezione? Soprattutto, che cosa vediamo in essi, che cosa in essi ci guarda, cioè ci riguarda?[…]
[…]Mostrandoci l’oltre e il dentro del “corpo” dipinto dai “grandi maestri”, Meneghetti non persegue neppure il fantasma di un erotismo sotto pelle di Hans Bellmer, il disegnatore “dell’anatomia dell’immagine” e del desiderio; né la tradizione dell’emancipazione di forma e figura che, passando per gli Espressionisti, per L’écorché di Fautrier, arriva a Dubuffet o Bacon, e all’autoritratto di Jasper Johns. Meneghetti mostra il più ostinato e nudo dei fantasmi, fantasma del fantasma, lo scheletro, la “spina dorsale”espressione da tempo immemorabile già metaforica) dei corpi, di tutti i corpi, anche quello della mela di Magritte o del manichino di De Chirico. Inoltre Meneghetti non ricava più dei “quadri” dalle immagini dell’interno dei corpi (radiografie), ma rende “corpi” le immagini degli altri quadri. Degli “avatara” dei quadri dei “grandi maestri” inventa e realizza un museo. Nel corpus quindi di opere e corpi che vivono sulle tele dei “grandi maestri”, accomunati tra loro e allineati senza cura della storicità, delle diverse epoche ed estetiche - come in un concetto di antologia che sintetizza il post-moderno, e che è poi lo stesso insito da sempre in quei luoghi chiamati “musei” (come nel Musée imaginaire di André Malraux, o “museo dei musei” ). Sarebbe banale, per quanto del tutto vero, dire che il ciclo dei “grandi maestri” di Meneghetti dinamizzi il nostro sguardo e rapporto con le opere del passato, quasi le icone della storia dell’arte, del “museo immaginario” alla portata di tutti, mescolando tecniche e generi, pittura e raggi x, sovvertendo la presunta staticità delle opere del passato con l’uso del multimediale, accorciando infine la distanza tra l’arte e i suoi odierni fruitori.[…]
da “Irradiazioni” Beppe Sebaste

STRALCI DA ANTOLOGIA CRITICA
[…] Le radiografie di Meneghetti sono l’unico fatto nuovo intervenuto nell’arte italiana in questi ultimi vent’anni… […]
[…]…Oggi, che l’uso del medium radiografico è estremamente diffuso in molte situazioni pittoriche e in molto materiale pubblicitario, il tipo di tecnica usato da Meneghetti non desta più sorpresa o scandalo; bisogna per altro riconoscere che egli è stato indubbiamente tra i primi - e forse il primo in assoluto - a comprendere l’interesse estetico oltre che scientifico di questo mezzo; e soprattutto a individuare il significato profondo di tale impiego. […] Credo, pertanto, che in questo caso si debba riconoscere alla Rx un ruolo primario con una fase esistentivamente intensa e drammatica nella vita dell’autore. Una fase che è stata – involontariamente – la matrice di tutta una operazione di eccezionale intensità […]
da “Radiografie di un destino” di Gillo Dorfles
[…] L’artista è un errore biologico rispetto all’opera, perché l’artista vive come gli altri uomini e muore, l’opera invece talvolta resta: dietro questa speranza di immortalità, c’è il desiderio di una traccia resistente ed è questo che mi ha convinto del lavoro di Meneghetti. Quello che mi ha convinto, estremamente convinto, è il suo lavoro a partire dall’uso della radiografia. Meneghetti è il primo artista ad usare la radiografia capace di smaterializzare e inscheletrire l’apparenza, l’apparenza quale inganno o l’apparenza che inganna, e portare il corpo in uno stato essenziale. Meneghetti ha realizzato un gruppo di opere, oltre alle radiografie, che resteranno un lavoro, e qui lo dico ma non lo nego, importante. […]
[…] “…Le installazioni di Meneghetti, che potevano sembrare il lavoro più isolato rispetto alle altre arti praticate dall’artista, si sono rivelate il frutto di questo nomadismo creativo di Meneghetti che apre sempre nuove possibilità espressive che offrono la possibilità di una interattività, di una percorribilità, di una posizione attiva dello spettatore che viene stimolato da una multimedialità che è percorsa non da feticismo, non da un’esibizione tecnologica fine se stessa, ma da opere che contengono un fattore tecnologico di alta comunicazione. […]
[…] Lui parte dalla comunicazione e direi che è molto evidente la sua capacità di adoperare tutti i linguaggi, per andare all’osso delle cose, allo scheletro, tanto è vero che ha usato la radiografia, ma l’ha usata in un modo analitico, direi protoconcettuale e anche in anticipo rispetto ad altre persone che l’hanno poi usata, visto che i pubblicitari e gli artisti sono dei cleptomani. In questo caso il copyright gli spetta per l’uso anticipatore della radiografia, per aver portato “quest’uomo” all’essenza. Queste opere pittoriche, queste immagini, sono immagini per me liberatorie e mi piace chiudere così il discorso con queste opere che effettivamente dimostrano ancora una volta che quando c’è una forte e bella ricerca l’arte non è nè astratta nè figurativa, non vuole aggettivi. Io sono molto soddisfatto del lavoro di Meneghetti e lo dico con molta convinzione. […]
[…] la principale scoperta stilistica di Meneghetti, la radiografia, e cioè la messa a nudo dell’umanità, l’uomo riportato alla sua architettura primaria, allo scheletro. Questo scheletro, è uno scheletro che non è segnale di morte ma è uno scheletro portatore di conoscenza. […]
da un’intervista “Meneghetti a Roma” di Achille Bonito Oliva
[…] Se “Dio è morto”, tutto è permesso: da qui parte, come tanta avanguardia, anche l’artista veneto, ma egli sembra trovare la sua strada in quell’aldilà dell’occhio che la radiografia consente. Egli vuol vedere cosa c’è dentro il soggetto. Meneghetti cerca la struttura che regge le cose, del loro scheletro. La radiografia infatti insegue forme nascoste, sta alla fotografia come il noumeno sta al fenomeno. Le forme dei corpi rivelano la parentela originaria tra l’organismo umano e l’universo. Le lastre si offrono allora alla pura contemplazione e portano ad intuire non solo le forme prevedibili ma anche un mistero oltre le forme. Dunque l’arte di Meneghetti, svolta ormai per quasi mezzo secolo, non ha nulla di sperimentale ma è guidata da una necessità profonda, alla quale, come testimonia proprio la coerenza dei risultati, l’artista non si può sottrarre. Meneghetti cerca di cogliere l’essenza, come nella convinzione che nel segreto, nella ‘forma interna’, sia dispiegata la reale natura. Pesa sui suoi lavori l’impressione di un disastro imminente, di una tragedia che debba consumare l’umanità intera, come una deflagrazione atomica o un incubo immediatamente fatto materia. Questo sentimento della realtà come di una parvenza spettrale, uno specchio dello spirito, questo profumo di inferi che l’arte raccoglie come in quintessenza non è semplicemente una inclinazione o l’onda lunga del gusto del simbolismo, ma la ragione stessa dell’immagine, la sua capacità di evocare la morte in un modo non retorico o teatrale, come con la presunzione di una eternità terrifica e ultraterrena per gli uomini. Rimane dunque singolare testimonianza di una coerenza di visione il fatto che Meneghetti non abbia perduto il suo campo di immagine, il suo obiettivo, che è sempre quello di una forma sovrannaturale, come è di chi insegue l’anima. Meneghetti sconvolge gli strumenti e le metodologie della critica ma costringe a riflettere sulla necessità dell’espressione artistica, sulla sua continuità pur nella varietà dei mezzi assunti, ed è testimonianza di una profonda coerenza formale, anche più rigorosa e asettica di quella che appare, infatti, in Meneghetti è principio di un metodo costante che diventa una unità di visione, una visione posta a fuoco su ciò che gli occhi non possono cogliere, e invece lo strumento radio sì. È come se egli lo avesse adottato per vedere di più, per dipingere ciò che non si lascia scorgere: cioè non soltanto l’inconscio o l’emotività o il sentimento, come accade per esempio in Van Gogh, ma qualche cosa di fisicamente esistente, di non visibile ma consistente. La condizione psicologica di Meneghetti, che in termini meramente formali, è quella di una armonia compiuta che vuol essere particolarmente intransigente e non concedere nulla al dilettantismo. L’impresa di Meneghetti è importante perché risponde a una necessità vera e non a una ricerca sperimentale. Meneghetti è essenzialmente antiludico e anti-sensuale, perché non vuole, nonostante l’estetismo evidente, catturarti, sedurti, ma costringerti a sintonizzarti con la sua sensibilità, con il suo taglio di visione.[…]
da “aldilà dell’occhio” di Vittorio Sgarbi
[…] Renato Meneghetti è, prima di ogni altra cosa, un uomo del suo tempo. Ha saputo presentire l’imminenza del mutamento della nostra coscienza percettiva e dell’emergere di una dimensione globale della comunicazione. Questo territorio in espansione della comunicazione l’ha dapprima affrontato come pittore, con i suoi monotipi, i suoi collage, i suoi découpage e i suoi effetti materici cari all’Informale. Il destino dell’immagine diventa il suo stesso destino. Nel momento in cui la globalizzazione delle strutture d’informazione telematica muove i primi passi, Meneghetti comprende che, alle soglie del terzo millennio, il destino dell’immagine non è più condizionato dalla fedeltà ai suoi tradizionali supporti né al suo statuto di opera unica. Egli diviene allora l’uomo-orchestra della comunicazione in via di globalizzazione: si dedica alle sue prime esperienze simultanee di fotografia, musica, scultura, design e architettura. […]
[…] Nascono così le sue opere multimediali… Renato Meneghetti è un uomo del suo tempo: vive al giusto ritmo dell’evoluzione della nostra coscienza percettiva. Nel caos della nostra epoca, questo genere d’uomo è tanto raro quanto un clavicembalo ben temperato in un concerto “techno”, e la “techno”, per di più, a Meneghetti piace davvero: sono contento di condividere con lui qualcosa di familiare […]
da “Meneghetti e la comunicazione globale” di Pierre Restany
È diventata ormai prassi per Meneghetti esporre in più sedi in contemporanea, ecco dunque che, all’esposizione nella basilica di S.Maria in Montesanto affianca, presso la galleria d’arte “Benucci”, in via del Babuino, una mostra personale a cura di Francesco Buranelli: “Renato Meneghetti – 40 opere - Grandi Maestri” con la quale ripropone le opere esposte a Bassano del Grappa nel 2011 per il Museo civico, anche in quell’occasione in tre sedi, per la mostra “Aldilà dell’occhio - I Bassano ai raggi x” presentata dal Sovraintendente Claudio Strinati che anche per questa nuova esposizione romana introduce il catalogo.
Inoltre, per la prossima S. Pasqua l’artista veneto, su invito di S. E. Mons. Mario Russotto Vescovo di Caltanissetta, per il Biennio Biblico 2010 – 2012 ha realizzato la sua esegesi visiva de “Il Libro di Siracide” lavoro che sarà esposto nella basilica dell’Immacolata Concezione di San Cataldo per la Settimana Santa e poi verrà trasferito nella basilica di Caltanissetta.