Quel lontano mar quei monti azzurri. Il paesaggio di Osvaldo Licini e Tullio Pericoli

Informazioni Evento

Luogo
CASA MUSEO OSVALDO LICINI
Piazza Osvaldo Licini, 9 63856, Monte Vidon Corrado, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
19/07/2025

ore 21

Curatori
Daniela Simoni, Nunzio Giustozzi
Generi
doppia personale, arte contemporanea

“Quel lontano mar, quei monti azzurri” Il paesaggio di Osvaldo Licini e Tullio Pericoli è il titolo di un’esposizione che vede in dialogo paesaggi degli anni Venti e opere del figurativismo fantastico di Licini con paesaggi dipinti da Pericoli dal 2000 ad oggi, per lo più inediti.

Comunicato stampa

Osvaldo Licini (Monte Vidon Corrado FM, 1894-1958) accoglie Tullio Pericoli (Colli del Tronto AP,
1936) in quelli che sono stati i suoi spazi esistenziali e creativi a Monte Vidon Corrado e il tema
dell’ideale dialogo tra i due non poteva che essere quel paesaggio della Marca meridionale che
appartiene a entrambi. Un tappeto ondulato di appezzamenti, retaggio dell’antica centuriazione
romana e della più recente mezzadria, percorso dagli esili tracciati sinuosi di strade solitarie,
punteggiato di alberi e case coloniche. Un paesaggio tatuato da una geometria scomposta
dominata da linee sghembe che guidano lo sguardo dal fondo dei fossi, su, verso il profilo dei
leopardiani “monti azzurri”, depositari di leggende e miti e insieme immaginario confine della
realtà oltre il quale “fingere” nel pensiero “arcani mondi”.
La mostra è organizzata dal Comune di Monte Vidon Corrado in collaborazione con il Centro
Studi Osvaldo Licini, con il contributo della Regione Marche e della Fondazione Cassa di
Risparmio di Fermo. Nelle sale del Centro Studi e nella cantina della Casa Museo, i paesaggi
realizzati da Pericoli nel nuovo millennio incontrano quelli dipinti da Licini negli anni Venti, ma
anche la produzione del figurativismo fantastico degli anni Quaranta e Cinquanta, a dimostrare
come quel paesaggio natio sia tanto radicato e interiorizzato, da essere – in primo piano o in
filigrana – assiduamente presente nelle opere dei due artisti, divenendo una cifra identitaria.
Il paesaggio è tema dominante nell’arte di Osvaldo Licini fin dagli esordi: rappresenta per lui
l’aspetto della realtà che più innesca il processo creativo, una sorta di diaframma tra visione
ed elaborazione interiore su cui proiettare riflessioni, fascinazioni, evocazioni artistiche,
suggestioni letterarie, intuizioni filosofiche. L’arte di Licini si sostanzia della suggestione
del suo paesaggio, così simile a quello leopardiano.
Nei dipinti degli anni Venti il paesaggio è uno dei generi più frequenti: le sinuose colline fermane,
le pezzature agricole sovrastate dall’azzurro del cielo, la pura geometria delle case coloniche
sono rese attraverso un’elaborazione interiore e una resa pittorica influenzata della lezione di
Cézanne, Van Gogh, Matisse. Negli anni Trenta la levità che già era emersa nei paesaggi del
decennio precedente, la linea obliqua delle colline, l’essenzialità cromatica vengono sublimate
in forme geometriche astratte, nate dal sentimento, liriche.
Le enigmatiche creature che viaggiano nei cieli dei dipinti liciniani del figurativismo fantastico,
elaborate negli anni Quaranta e Cinquanta, campeggiano tutte sopra l’orizzonte notturno
tracciato dai Sibillini, così come lo si vede da Monte Vidon Corrado. I Personaggi, gli Olandesi
Volanti, le Amalassunte, gli Angeli Ribelli, i Missili Lunari e gli ultimi Angeli Aquilone nascono
dalla visionarietà poetica di Licini ispirata dalla suggestione del paesaggio natio.
a cura di
Nunzio Giustozzi
e Daniela Simoni
Il tema del paesaggio, che Tullio Pericoli ha affrontato fin dagli esordi, è tornato da alcuni anni al
centro della sua opera, restituendo nuova vita al rapporto – mai interrotto – con il paese natale,
in creazioni poetiche, sempre in bilico tra la sensazione del sogno e il sapore della terra. Che si
tratti di colline morbide, di borghi visti dall’alto, di vallate e boschi carichi di pathos, al centro
della riflessione c’è sempre il paesaggio, metafora dell’intera ricerca espressiva del pittore.
Sono le “parti senza un tutto” del territorio marchigiano a dar forma alla sua pittura, in continua
evoluzione, soggetta a imprevedibili variazioni. Come ha scritto Salvatore Settis, “costruiti
mutando il punto di vista ma non lo spirito sperimentale, questi dipinti, se presi tutti insieme,
acquistano, anche senza volerlo, un marcato carattere inventariale. Sono il repertorio, il registro,
il lessico di un linguaggio: la lingua madre di Tullio Pericoli, delle sue Marche. E, per sineddoche,
della nostra Italia”.
L’itinerario della mostra contempla una rigorosa selezione di dipinti che l’artista ha dedicato dal
2000 ad oggi al suo paesaggio, atta a istruire un dialogo efficace con le tele e le carte liciniane
provenienti prevalentemente da collezioni private. In questi lavori si avverte l’esplorazione di
nuove morfologie paesaggistiche: dopo aver rappresentato lo scenario dei colli marchigiani,
Pericoli va progressivamente indagando i dettagli della natura, i segni e i solchi delle terre.
L’esposizione documenta in modo più ampio e articolato la stagione recente (2022-2025) in cui
Tullio Pericoli dal suo buen retiro estivo di Rosara, in su la cima delle verdi colline ascolane,
“sedendo e mirando” i Sibillini, ha individuato nuove profondità del paesaggio, con continui
rinnovamenti dell’esperienza pittorica. Alcuni paesaggi più attuali rendono il senso della
drammatica contemporaneità: la terra reca i segni della fragilità derivata dalle ferite infertele
dall’umanità. Guerre, inquinamento, distruzioni inquietano l’animo dell’artista e sconvolgono
la superficie del pianeta: fratture, capovolgimenti, voragini si aprono attraverso linee spezzate,
zone di colore evocano la combustione, toni accesi squarciano l’armonia del dipinto. Sono
vedute sempre più interiorizzate che esprimono tela dopo tela una sorta di diario interiore
dominato da disagio, amarezza, dolore. Eppure tutta la drammaticità della sua riflessione e
l’amarezza del giudizio morale su quello che la società è stata o non è stata capace di fare negli
spazi naturali che la accolgono sono tradotte in poesia attraverso un linguaggio pittorico lieve,
a tratti ancora giocoso, reso con una freschezza creativa che ha qualcosa di infantile nel senso
più alto del termine. Sovvengono così gli estremi Angeli Aquilone di Licini, vicini all’Angelus
Novus di Klee, nume tutelare per entrambi.