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Informazioni Evento

Luogo
CORE GALLERY
Via dei Fienaroli 31 , Roma, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

dal martedì al sabato 16 -20

Vernissage
25/09/2015

ore 19

Artisti
Yo Akao, Gabriels, Cristiano Petrucci, Zerocalcare, Esteban Villalta Marzi
Curatori
Giancarlo Carpi
Generi
arte contemporanea, inaugurazione, collettiva

La prima mostra di CORE espone opere edite e inedite degli artisti visivi Gabriels, Elio Varuna, Esteban Villalta Marzi, Yo Akao e Cristiano Petrucci insieme a oggetti estranei alle fine art: una vignetta dell’autore di graphic novel Zerocalcare e il romanzo tratto dal celebre cartone animato e fumetto giapponese Candy Candy, tradotto in italiano nel 2014 (Keiko Nagita, Candy Candy, Kappalab 2014).

Comunicato stampa

CORE è un nuovo spazio espositivo polifunzionale di 140 metri quadri sito in via dei Fienaroli 31 a Roma.
Ospiterà le attività di operatori culturali attivi nel settore delle arti visive e dell’editoria, lo Studio Soligo e la casa editrice Lantana Editore, che avrà qui la sua nuova sede, proponendo presentazioni di libri e mostre d’arte contemporanea.
La programmazione espositiva sarà incentrata sulle espressioni artistiche contemporanee legate all’estetica del Cute e al Neo-Pop, principalmente di ambito italiano e europeo, ponendosi in continuità con le mostre e le pubblicazioni prodotte negli ultimi sette anni, in Italia e all’estero, da Giancarlo Carpi – co-fondatore con Alessandra Gambetti e Fabrizio Ruggirello di Lantana Editore – e Raffaele Soligo, in stretta collaborazione con alcuni artisti visuali tra i quali Gabriels (Paolo Gabrielli) e Elio Varuna.
Sul tema della Cuteness, categoria estetica diffusa in tutto il mondo nelle arti visive, nella letteratura, nel design, nel merchandising e nella pubblicità, l’attività dello spazio espositivo e della casa editrice ambisce a una innovativa dimensione critica e produttiva. L’obiettivo è superare le troppo semplicistiche categorie (pop surrealismo, street art, ad esempio) utilizzate perlopiù acriticamente, specie in Italia, per circoscrivere questa estetica.
Secondo la sua natura ibrida (rivolta alle arti visive e all’editoria) l’attività e la produzione stessa di CORE intendono mettere in mostra ed esaltare gli sconfinamenti anche conflittuali di un linguaggio nell’altro, intrecciando il tema del superamento dei confini mediali e quello della relazione conflittuale tra arti basse e arti alte.

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a cura di Giancarlo Carpi
Inaugurazione 25 settembre h 19.00
Durata mostra 26 settembre – 10 novembre 2015
Opere di: Yo Akao, Gabriels, Cristiano Petrucci, Elio Varuna, Esteban Villalta Marzi, inoltre una vignetta di Zerocalcare
La prima mostra di CORE espone opere edite e inedite degli artisti visivi Gabriels, Elio Varuna, Esteban Villalta Marzi, Yo Akao e Cristiano Petrucci insieme a oggetti estranei alle fine art: una vignetta dell’autore di graphic novel Zerocalcare e il romanzo tratto dal celebre cartone animato e fumetto giapponese Candy Candy, tradotto in italiano nel 2014 (Keiko Nagita, Candy Candy, Kappalab 2014). Lo sconfinamento di prodotti che appartengono alle commercial arts nel linguaggio verbale, il fumetto Candy Candy e la graphic novel Dimentica il mio nome (Bao Publishing 2014), quest’ultimo legittimato dalla candidatura al premio Strega 2015, viene fatto corrispondere con la consapevole riduzione della propria opera a una merce da parte degli artisti visivi, e alla loro consapevole identificazione con essa attraverso uno stereotipo formale: il Kindschenschema (la morfologia infantile). Nel regno delle arti visive come in quello della letteratura la popolarità o la potenzialità commerciale del soggetto o dello schema stereotipico (nel caso degli artisti) sono più importanti per gli autori del prestigio tradizionale dei linguaggi alti: la pittura e la scrittura. Proprio mentre – il caso eclatante della candidatura di una graphic novel al premio Strega – l’idea che il valore di un’opera creativa dipenda dal linguaggio in cui è espressa è messa in crisi o indebolita. In questo desiderio di un’arte post-mediale alligna una sottomissione – a volte consapevole – della creatività personale e della propria identità allo stereotipo commerciale, alla sua riconoscibilità che sembra essere diventata più potente e spendibile della riconoscibilità e del prestigio dei singoli linguaggi.