Premio per la poesia Toti Scialoja

Informazioni Evento

Nell’ambito delle iniziative culturali promosse dalla Fondazione Toti Scialoja sono stati istituiti (con cadenza biennale) un Premio per la poesia ed un Premio per i linguaggi artistici, volendo così rievocare i due “volti” del grande artista recentemente scomparso e la sua imprescindibile presenza nella vita e nel panorama artistico-culturale del nostro paese nel corso di molti decenni del secolo appena archiviato.

Comunicato stampa

Fondazione Toti Scialoja
“Premio per la poesia Toti Scialoja”
Seconda Edizione 2012
Roma, Accademia di San Luca, 18 dicembre, ore 17,30

Nell’ambito delle iniziative culturali promosse dalla Fondazione Toti Scialoja, costituita il 19 maggio 2000 per volontà testamentaria di Gabriella Drudi e in ottemperanza dei desideri di Toti Scialoja (Roma, 1914 – 1998) sono stati istituiti (con cadenza biennale) un Premio per la poesia ed un Premio per i linguaggi artistici, volendo così rievocare i due “volti” del grande artista recentemente scomparso e la sua imprescindibile presenza nella vita e nel panorama artistico-culturale del nostro paese nel corso di molti decenni del secolo appena archiviato. Per la seconda edizione del Premio per la poesia il Consiglio di Amministrazione della Fondazione, su indicazione di Paolo Mauri, ha assegnato all’unanimità il premio al poeta Filippo Strumia per Pozzanghere, edito da Einaudi. Il premio verrà consegnato martedì 18 dicembre alle ore 17,30 all’Accademia di San Luca a Roma (Piazza dell’Accademia di San Luca, 77); nel corso della manifestazione, dopo una lettura dei propri versi da parte del poeta premiato, Paolo Mauri illustrerà il valore poetico del volume di Strumia e le motivazioni che hanno determinato l’assegnazione del riconoscimento.
Psichiatra e psicoanalista di orientamento junghiano, Strumia è nato a Roma nel 1962; autore anche del romanzo Flumen pubblicato nella collana Scatti delle Elliot Edizioni, con questa sua prima raccolta sorprende il lettore con una invenzione linguistica “spericolata” che sembra portare in superficie i fantasmi di una vita ctonia spesso incarnati in figure animali. “Le pozzanghere riflettono le luci dell’universo”, recita l’incipit del risvolto di copertina e meglio non si poteva dire per inquadrare una ricerca che mette l’io in rapporto con l’idea di tutto: “Siamo atomi migranti,/ siamo istanti, frantumati/ nelle bocche dei giganti”, oppure “quello che capita | a volte un po' di luna | e le ombre dei randagi casuali”. Sono un simbolo forte del panteismo eccentrico di Strumia, dove i meccanismi cosmici si manifestano, con un po’ di mistero e molto understatement, nelle forme di esistenza minime e meno appariscenti. Per questo l’uomo trova uno specchio straniante ma anche profondamente veritiero negli insetti o addirittura nei batteri, in un fossile o in un grumo di resina.
“Siamo atomi migranti”: sembra la sintesi poetica del famoso racconto di Primo Levi sul carbonio. Quella di Strumia è una visione scientifico-materialista del mondo, ma non per questo meno segreta, piena di simboli indecifrabili. La sua poesia è lontana dalla tradizione lirica: l’io che viene rappresentato è frantumato e attraversato da forze conosciute e sconosciute, e viene sempre descritto da punti di vista dislocati apparentemente altrove, anche se proprio questi altrove sono l’unica possibile forma di identità. In questa direzione vanno la continua invenzione linguistica, la sfrenata fantasia delle immagini e delle associazioni, i cambi di ritmo, le sonorità incalzanti. Una brillantezza mai gratuita, che è tutt’uno con il lavorio del pensiero e le sue brucianti accensioni in presa diretta.
L’esordio nella poesia di Strumia è stato bene accolto dalla critica; di lui ha scritto Alberto Asor Rosa che il poeta, “utilizza con inaspettata sapienza la sua esperienza di psicanalista junghiano per rappresentare un mondo frantumato e animalizzato”; mentre per Enzo Golino quella di Pozzanghere è “una ricerca di identità che oscilla fra alati pensieri e le più trascurabili forme di vita”; in questo percorso poetico – aggiunge Golino – “accostamenti insoliti di fatti, oggetti, fenomeni naturali, specie animali, stasi e azioni, durezze impoetiche e suadenti flessibilità espressive movimentano un linguaggio in bilico tra enigma e artificio, corporalità e astrattezza, lampi ricorrenti di nichilismo e un’ironia scolpita in versi contro se stesso: tu mi fingi forse un dio / io mi so mezza cartuccia. Oppure in un incipit quasi epigrammatico: la mia vita è un abuso edilizio”. Penetrante anche il commento di Maria Grazia Calandrone: “Il libro di Strumia non è consolatorio: la consolazione sta nella forza esclusivamente umana di sopravvivere alla coscienza della fine restando come in volo, felici mentre siamo macchiati di morte, macchiati a morte, felici in una sospensione di fiato, accettando di essere non più durevoli di quel millesimo temporale tra lo scatto della lingua del ramarro e l’ingoiamento della mosca”.