Pourquoi l’art?

Informazioni Evento

Luogo
SPAZIO SAN CELSO – BASILICA DI SAN CELSO
Corso Italia 41, Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Da martedì a sabato

dalle 9.00 alle 19.00

Domenica

10.00 - 12.00 | 15.30 - 19.00

Vernissage
28/04/2023
Biglietti

ingresso libero

Curatori
Angela Madesani
Generi
arte contemporanea, collettiva

Una mostra che propone una parte della collezione di Marco Orler, che sta aprendo la sua galleria itinerante, dopo essersi occupato per circa trent’anni di mercato dell’arte con altri ruoli.

Comunicato stampa

Pourquoi l’art? di Angela Madesani

Pourquoi l’art? Perché l’arte?

Perché fare arte, occuparsene, lavorare con essa? Perché studiarla? Scriverne?

È il titolo di un’opera di Ben Vautier, che abbiamo utilizzato per intitolare la mostra che questo testo accompagna. Una mostra che propone una parte della collezione di Marco Orler, che sta aprendo la sua galleria itinerante, dopo essersi occupato per circa trent’anni di mercato dell’arte con altri ruoli.

Ci troviamo di fronte a un cammino sintetico quanto complesso nella storia dell’arte dalla fine del XX secolo, sino ai giorni nostri. Fondamentale è il rapporto che si viene a creare tra le opere e lo spazio che le ospita, la Basilica di San Celso, un luogo che ha una lunga storia che ha le sue radici nel mondo romanico-lombardo, antecedente l’anno 1000, abbattuta e quindi ricostruita, con una facciata arretrata rispetto all’originale, di Luigi Canonica. La basilica ospita molteplici dettagli della primigenia costruzione, così i capitelli istoriati, alcuni affreschi e la sovracassa di marmo che ha contenuto per secoli il sarcofago con le reliquie del santo a cui è dedicata, che oggi si trovano nel confinante Santuario dei Miracoli. La sovracassa fa da altare alla basilica, anche se la stessa non è più luogo per funzioni sacre, nonostante rimanga consacrata.

In un luogo così straordinario, carico di spiritualità, di sacralità, perché l’arte contemporanea? Perché è assai interessante cercare di creare un dialogo tra la contemporaneità e un antico luogo di fede, è come se riuscissimo a cogliere dei fili rossi, che ci conducono tra momenti diversi della storia. La lettura dei lavori non è univoca, lo spettatore è partecipe di quanto vede, dell’atmosfera che si viene a creare.

Di fronte alla grande tela di Hermann Nitsch, il cui intento primigenio era di natura sociale- politica ma anche esistenziale, con chiari riferimenti alle tragedie austriache dell’Anschluss prima, della guerra e della Shoah poi, emerge il senso drammatico dell’opera, da intendersi nell’accezione greca del termine. Il legame è con la storia, con la memoria, pare di percepire un richiamo a certi scritti del grande Thomas Bernhard.

Del resto affermava il filosofo Theodor W.Adorno nel 1949: «Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto barbarico». E fare arte? Perché farla, continuare a farla? Perché in essa si trova una risposta, talvolta ambigua, talvolta potente, così con Hermann Nitsch.

E quindi l’arte di luce e movimento, come per il belga Walter Leblanc, che ha fatto parte del tedesco Gruppo Zero e che ha scritto: «Ora, il bianco è il colore più astratto, quello che

tra tutti riflette meglio di qualunque altro le modulazioni della luce. Da questo ne consegue che la matericità dei fili di cotone ritorti e tesi scompare a favore di una vibrazione che agisce bene tanto nella luce naturale che in quella artificiale, mobile o immobile».

Il legame con la luce che filtra all’interno della basilica con modalità diverse, a seconda dei momenti del giorno è evidente, la luce che diviene qui veicolo di conoscenza.

Vicino al tedesco gruppo Zero e all’Azimuth italiano è anche Paolo Scheggi in cui la sovrapposizione tra vuoti e pieni dà vita alle intersuperfici. In mostra ce n’è una bianca degli anni Sessanta, in cui la luce si rifrange tra i diversi livelli spaziali.

Luce è anche quella che emana dalla grande tela di Stanley Boxer, che manipola lo spazio attraverso il colore e la gestualità manuale. Guardando la sua tela di canapa il mio pensiero corre a Monet, ai suoi stagni, alle sue ninfee.

Lo spazio nella sua potenza costruttiva, che ha radici nella pittura di Joseph Albers ma anche di Frank Stella, è al centro dell’operare di Peter Halley, con la sua fissità geometrica. Il rapporto fra l’uomo e il suo circostante e dunque sull’essenza dell’arte sono il fulcro della ricerca di Imi Knobel. Qui il quesito iniziale trova a maggior ragione un senso, Pourquoi l’art? Perché l’arte porta al senso stesso dell’esistenza.

Lo spazio pulito, perfettamente organizzato da un punto di vista architettonico di San Celso, porta alla vacuità del tutto, una vacuità che troviamo nella pittura di Sam Francis, in cui il vuoto è contenuto nel margine dipinto della tela, come una sorta di témenos, di recinto sacro.

Pourquoi l’art? Perché l’arte tocca, entra, colpisce il profondo, che tuttavia fuoriesce attraverso il colore, il colore scuro e drammatico dell’opera di Günther Forg.

Colore che sgorga spontaneo nel dipinto di uno dei protagonisti del gruppo CoBrA, Corneille, ma che è portante nelle opere informali di Emilio Vedova, di Hans Hartung e nelle raffinate cangianze di Clement Rosenthal

La forza del colore steso con campiture piatte dal richiamo Pop è forte nella pittura figurativa di Valerio Adami e delicato nelle linee che formano un semplice volto dello Jung British Artist Julian Opie, con la sua libertà visiva che lo conduce al mondo lontano dell’infanzia.

Pennellate variopinte sono nella carta di Sol Lewitt, protagonista del Minimalismo e dell’Arte Concettuale. Quella delle opere direttamente realizzate da lui e non da suoi collaboratori è una dimensione di natura strettamente progettuale. Il colore diviene soggetto e oggetto al tempo stesso dell’opera in mostra in cui è evidente la volontà di dare vita a un pensiero di richiamo spaziale.

Pittura-scrittura-scultura sono il nucleo di riflessione a cui si è dedicato lungamente Gianfranco Baruchello, recentemente scomparso. Come nell’opera qui esposta, sulle sue tele sono piccoli disegni, racconti della mente in cui ci si trova di fronte a una dimensione surreale con implicazioni metaforiche, culturali, psicanalitiche, di cui il colore distribuito in piccole zone diviene materia e linguaggio imprescindibile.

Spazi e luoghi sono protagonisti della ricerca Land Art di Christo. Qui è un lavoro sul fiume Arkansas, in cui l’artista interviene direttamente sul paesaggio, lo fa, come al solito, in maniera reversibile, rispettando la dimensione di sacralità della natura, che non sempre l’uomo riesce a comprendere in tutta la sua mistica pienezza.