Paolo Canevari

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA CHRISTIAN STEIN
corso Monforte 23 20122 , Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Dal Lunedì al Venerdì: 10 – 19 I Sabato: 10 – 13 / 15 – 19

Vernissage
29/10/2025

ore 18

Artisti
Paolo Canevari
Generi
arte contemporanea, personale

Legato alla galleria da un rapporto consolidato dal 2002, l’artista torna ora negli spazi di Corso Monforte 23 a Milano con un’esposizione che riunisce opere inedite e lavori già noti, restituendo con chiarezza la profondità della sua ricerca.

Comunicato stampa

La Galleria Christian Stein è lieta di annunciare la mostra personale di Paolo Canevari (Roma, 1963), una delle voci più incisive e provocatorie tra gli artisti della sua generazione. Legato alla galleria da un rapporto consolidato dal 2002, l’artista torna ora negli spazi di Corso Monforte 23 a Milano con un’esposizione che riunisce opere inedite e lavori già noti, restituendo con chiarezza la profondità della sua ricerca.
Fin dagli esordi, Canevari indaga il rapporto tra identità storica e tempo presente, sviluppando un linguaggio che unisce la crudezza dei materiali di scarto con una tensione poetica e concettuale. Olio di motore combusto, gomma di pneumatici e residui industriali sono simboli di un mondo lacerato da conflitti e inquinato da crisi ideologiche ed ecologiche. La scelta di tali materiali, immagini della modernità e del suo utopico progresso, rivela l’urgenza di riscatto dal declino del nostro tempo. Il nero dell’olio e delle gomme, cifra ricorrente nella poetica di Canevari, non si limita a evocare la dimensione della crisi, ma nella sua assolutezza diventa spazio meditativo.
L’artista romano concentra la riflessione sul rapporto tra storia e tempo presente nel ciclo Monuments of the Memory, avviato nel 2011 e del quale fanno parte i Paesaggi e i Golden Works in mostra. In questo ciclo Canevari rinuncia alla figurazione per esplorare il potere evocativo dell’assenza, accostando materiali e riferimenti differenti – dal legno alla foglia d’oro, dalle pale d’altare ai simboli del capitalismo – per interrogare la contemporaneità e tracciarne una memoria collettiva. In assonanza al vuoto figurativo dei Golden Works (2019) realizzati con foglia d’oro su tavole lignee, i Paesaggi (2018-2022) riprendono questa ricerca attraverso fogli di carta bianchi, intrisi di olio motore e presentati in cornici antiche in foglia d’oro. Completa quest’ultimo nucleo un grande Paesaggio (2025) privo di cornice che, occupando un’intera parete della sala, amplifica il fascino che connota tutta la serie.
Infine, al centro della sala si trova l’emblematica Sfera (2005), realizzata stratificando la gomma di pneumatico su un supporto di legno. La forma, nella sua perfezione geometrica, contrasta con la ruvida imperfezione del materiale, residuo del consumo di massa.
Pneumatici e olio motore sembrerebbero delineare un’estetica brutalista. Tuttavia, questa durezza materica viene destabilizzata dall’inserimento di elementi poetici e classicheggianti, come le cornici barocche o le linee sinuose che profilano i paesaggi. Ne deriva così un accostamento spiazzante ma coinvolgente.
Con questa mostra, la Galleria Christian Stein rinnova il proprio impegno a valorizzare artisti capaci di ridefinire il linguaggio contemporaneo. L’opera di Paolo Canevari, in questa prospettiva, si conferma un potente strumento di lettura critica della nostra epoca, affrontando temi urgenti come la memoria storica e il valore dello scarto nelle società consumistiche.

Paesaggio e memoria
di Paolo Canevari

Il paesaggio accompagna da sempre la storia dell’uomo. È entrato nella nostra visione estetica attraverso la pittura, passando da semplice sfondo a soggetto centrale e fondante del quadro. La natura, riferimento imprescindibile per l’arte, trova la sua glorificazione nel paesaggio. Il tema, affrontato da innumerevoli artisti, è alla base dello sguardo umano: rappresenta il nostro orizzonte, ciò che è davanti a noi, il mistero della vita, le sue difficoltà — a volte alte come montagne — e insieme la speranza di superarle.
Penso, ad esempio, all’enigmatica natura della Tempesta di Giorgione, o alla malinconia luminosa dei paesaggi di Caspar David Friedrich, dove la figura umana si confronta con l’immensità dell’infinito; o ancora alla sospensione metafisica delle città dipinte da Giorgio De Chirico, dove il tempo sembra essersi fermato in una dimensione di silenzio e attesa. Nel quadro, il tempo non è mai lineare: coesistono tempi diversi, stratificati. In contrapposizione, nella fotografia il tempo è fermato nell’istante brevissimo dell’apertura del diaframma. La fotografia rende eterno un battito di ciglia; la pittura, ponderata e controllata, sovrappone il tempo, lo restituisce nei suoi diversi aspetti e così, magicamente, lo annulla. In entrambi i casi, il paesaggio è il teatro dell’anima: lo spazio in cui lo sguardo si fa viaggio e dove la memoria, come la natura, continua a trasformarsi e a rivelare nuovi significati nel tempo.
Cerco, come artista, di lasciare una traccia nella mente di chi osserva, di spingerlo a uno stato di pensiero attivo, in contrasto con la passività indotta dalla maggior parte delle immagini che oggi ci assediano. Il mio lavoro nasce dal desiderio di evocare sentimenti, sensazioni personali e uniche che ognuno di noi conserva nella propria memoria. Cerco di restituire all’arte il suo potere originario di far pensare, di risvegliare un’attenzione profonda e non distratta, lontana dalla spettacolarità e dalle forme di intrattenimento. Credo nell’arte come atto critico: un modo per resistere al conformismo visivo e mentale del nostro tempo.
La ricerca del silenzio come spazio interiore da ritrovare nell’opera è per me una scelta consapevole e politica. Viviamo immersi in un rumore continuo, in una sovrapproduzione di immagini, parole, opinioni. Il silenzio diventa una forma di resistenza: un luogo di ascolto, un tempo necessario per il pensiero; per ritrovare una dimensione umana del fare, priva di tecnicismi e di artificio, che possa riflettere una tensione verso l’essenziale. Ho sempre sostenuto un’etica fondata sulla semplicità dei mezzi, sulla possibilità di creare con poco. La mia è una pratica che rifiuta l’eccesso e il monumentalismo. Non credo nelle produzioni ricche o nelle opere che rappresentano un’economia forte. L’arte deve poter esistere senza il potere.
Il ciclo dei miei Paesaggi nasce da questa visione. Il significato di queste opere si fonda sull’incontro tra due materiali: la carta e l’olio esausto di automobile. La carta, materia antica e umile, è alle radici della creatività umana: supporto della parola, del disegno, della memoria. L’olio esausto, residuo della civiltà industriale, rappresenta invece la nostra condizione contemporanea: la testimonianza di un mondo inquinato non solo nel corpo, ma anche nella mente. Imbevendo di olio motore la carta, lascio che la materia reagisca, si trasformi, assorba e muti forma per osmosi. Così nascono profili e sfumature che evocano paesaggi naturali.
La materia, nell’arte, diventa immagine, e l’immagine memoria. Il paesaggio, nella mia visione, è un luogo della coscienza, un’eco della pittura. La pittura, per me, rimane una presenza costante. Anche nei miei video, nei disegni, nelle installazioni e nelle performance permane un’impostazione pittorica. Mi sono formato come pittore e credo che il quadro rappresenti un’idea bellissima, affascinante e sorprendentemente contemporanea. I miei lavori sono, in fondo, altri modi di dipingere, dove la pittura accademica e tradizionale è assente ma continua a esistere nella sua eredità. Dipingere con l’olio esausto su carta è per me un modo di riflettere sulla pittura come linguaggio, sulla sua capacità di trasformarsi e sopravvivere al tempo e ai suoi mezzi. In fondo, si definisce spesso la tecnica come “olio su tela”: nel mio caso, l’atto del dipingere rimane, ma cambia la lettura attraverso il materiale. Il quadro non è realizzato con l’olio da pittura, bensì con olio esausto, un rifiuto industriale e altamente inquinante, che diventa metafora di una bellezza possibile anche nella degradazione, di una rinascita poetica dentro i resti della civiltà contemporanea. Il nero è materia oscura in cui il gesto poetico dell’arte porta luce.
Viviamo in una cultura fortemente inquinata. Le nostre memorie sono saturate di immagini, riferimenti, citazioni. È un patrimonio che ci definisce ma che rischia anche di paralizzarci. L’artista deve confrontarsi con questa eredità, non per rinnegarla ma per rileggerla e rinnovarla. Il mio lavoro è un continuo ripensare la memoria: una riflessione su ciò che è stato e su come esso si trasforma. Ogni opera è una forma di resistenza, un tentativo di dare una forma visiva alla memoria collettiva e personale. In questo senso, l’uso di materiali poveri e industriali, come le camere d’aria o l’olio esausto, non è mai una scelta puramente estetica, ma etica. Sono materiali che portano con sé una storia, un uso, una memoria. Mi interessa ristabilire attraverso di essi una possibilità poetica.
Credo che l’arte oggi debba assumere la responsabilità di una testimonianza critica. Viviamo in una società dominata dal consumo e dall’intrattenimento, in cui la voce degli artisti e dei liberi pensatori è spesso ridotta o strumentalizzata. L’artista non è un produttore di consenso, ma un testimone dissonante. Il suo compito è quello di rivelare le contraddizioni, le zone d’ombra della società. È per questo che continuo a credere in un’arte lontana dalle leggi di mercato, possibilmente libera da compromessi, capace di restituire una misura più umana e spirituale all’esistenza.
Il paesaggio, allora, diventa metafora di questo equilibrio precario tra memoria e presenza. Attraverso i miei Paesaggi cerco di rappresentare questa tensione: la fragilità del nostro rapporto con il mondo e, insieme, la possibilità di un rinnovamento poetico.
L’arte, per me, è questo: una forma di conoscenza che passa attraverso la materia, il gesto e la visione. Un atto fragile e necessario, un tentativo di dare forma a ciò che non può essere detto, ma solo evocato.

Biografia
Fin dalla prima personale nel 1991, Paolo Canevari (Roma, 1963) elabora un linguaggio che trasforma oggetti quotidiani in strumenti di memoria e riflessione, sperimentando media differenti - dal disegno al video, dalla performance alle grandi installazioni.
Nel 2002 Canevari tiene la sua prima mostra personale alla Galleria Christian Stein di Milano, Colosso. Partecipa a numerose rassegne internazionali: Biennale di Liverpool (2004); Biennale di Whitney (2006); Biennale di Venezia (2007). Tra le mostre personali: Black Stone (2005) e ThANKS (2009) presso la Galleria Christian Stein; Nothing from Nothing a cura di Danilo Eccher al MACRO di Roma (2007); Nobody knows a cura di Germano Celant al Centro Luigi Pecci di Prato (2010); Decalogo a cura di Antonella Renzitti alla Calcografia di Roma (2008) e successivamente, a cura di Brett Littman, presso The Drawing Center di New York (2011); Monuments of the Memory (2013) e una grande retrospettiva nel 2019 alla Galleria Stein; Materia Oscura (2020) a cura di Marco Tonelli e Lorenzo Fiorucci al Palazzo Collicola di Spoleto; Good year (2024) presso i Musei Nazionali di Perugia.
Tra i progetti più significativi si segnalano: l’installazione di Souvenir (2015), opera permanente installata nello spazio dell’Olnick Spanu Art Program a Garrison (NY) e accompagnata da una pubblicazione con testi di Brett Littman e Robert Storr; la partecipazione alla collettiva Challenging Beauty – Insights of Italian Contemporary Art (2015) al Parkview Green Contemporary Art Museum di Pechino e alla Biennale di Bangkok (2018) con Monuments of the Memory, the Golden Room.
Le sue opere sono state presentate in prestigiose istituzioni come la Galleria Nazionale, il MAXXI e il MACRO di Roma, il MART di Rovereto, il Museion di Bolzano, la Fondation Louis Vuitton di Parigi, il Drawing Center e il MoMA di New York, l’IMMA di Dublino, il KW di Berlino.