Matteo Nasini – Sleepy Night
The Gallery Apart ospita un progetto di Ermes che presenta la mostra di Matteo Nasini.
Comunicato stampa
Sentire come sente lui
Testo di Michele D'Aurizio
È molto triste pensare che l'opera d'arte possa essere un precipitato. Eppure accade frequentemente che lo spettatore si trovi di fronte a un oggetto che raffigura l'esito di un processo, sia esso intellettuale o fisico, un gesto come una riflessione: essenzialmente un manufatto pregno della vanagloria di essere la freccia che ha centrato il bersaglio; e prontamente un oggetto esauritosi, muto e macho. L'artista rilascia l'opera perché lo spettatore la contempli amorevolmente; e gode a vedere quello agitarsi mentre rincorre una transustanziazione del muto e macho oggetto in portato culturale: storicamente determinato, fondamentale perché terzi comprendano lo snodo esistenziale di un'intera comunità di individui, metafora di assoluta deontologia artistica, ecc. Di fronte all'opera, lo spettatore è lentamente inghiottito dalle sabbie mobili della retorica; mentre l'altro, l'artista, ha stampato in faccia il ghigno del vincitore.
"Non so quale sia più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore; ma una cosa so certamente, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori." Curzio Malaparte concludeva un suo romanzo, La pelle, affermando la natura vergognosa della vittoria. Avrebbe rafforzato poi la sua chiusa manifestando una cristiana affezione per i vinti: "In questi ultimi anni, ho viaggiato, spesso, e a lungo, nei paesi dei vincitori e in quelli dei vinti, ma dove mi trovo meglio è tra i vinti. Non perché mi piaccia assistere allo spettacolo della miseria altrui, e dell'umiliazione, ma perché l'uomo è tollerabile, accettabile, soltanto nella miseria e nell'umiliazione. L'uomo nella fortuna, l'uomo seduto sul trono del suo orgoglio, della sua potenza, della sua felicità, l'uomo vestito dei suoi orpelli e della sua insolenza di vincitore, è uno spettacolo ripugnante."
Chi scrive immagina l'opera d'arte come lo scafo del transatlantico tranciato dall'iceberg; un prop ovvero, che faciliti lo spettatore a prendere coscienza di un'esistenza se non tragica, o al contrario farsesca, certamente epica. Connaturata alla manipolazione del materiale, come all'esplorazione del mezzo artistico, o alla codifica di un linguaggio estetico, sarebbe così la sfida alla formalizzazione di un sentimento; che non partorisca la riproduzione dell'eco di una risata, o il surgelamento di una lacrima; ma una forma paragonabile al calco dell'horror vacui che due corpi esperiscono dopo l'atto sessuale; o un'immagine icastica come la formella che rappresenta una stazione della Via Crucis. È ugualmente triste pensare che l'opera d'arte possa essere il precipitato di un'emozione… Qui tuttavia essa ritrova la sua natura indicale come compromessa: diventa l'impronta di un moto intangibile, il fossile di un'esperienza interiore, l'ombra di un fantasma.
L'artista Matteo Nasini è forse un vinto. E in molti interpreterebbero quest'affermazione alla lettera: un artista emergente, classe 1976, nato e basato in Italia, non è un aitante purosangue su cui i mercanti scommetterebbero, né la next big thing che alimenterebbe il cicaleccio nel sistema dell'arte… La produzione artistica di Nasini è infatti emersa in un passato relativamente recente, quando l'artista vantava un'esperienza decennale come contrabbassista, professione abbandonata per nutrire sensibilità che più si confacevano all'ambito delle arti visive. E forse una prima chiave di lettura di quella produzione risiede nel fatto che Nasini non ha studiato l'arte ma la musica, che è una lingua sempre sincera, mai imputabile di arroganza, e che anzi stimola empatia tra i propri fruitori… Tali sono le opere di Nasini: misere e umili solo nell'accezione in cui fanno impiego di materiali poveri e ricorrono a tecnologie antiche; naïf non perché mancano di virtuosismo, ma perché esplorano forme ed immaginari di sogno o restituiscono un quotidiano magico; romantiche come pagine di un diario sentimentale – fossili di esperienze interiori appunto, nati per esorcizzare il dolore o denudare la gioia.
Due sono i mezzi che fondano la ricerca di Matteo Nasini: il suono e il disegno. Come accade per artisti complessi, che tuttavia possiedono una maturità tale da strutturare la propria produzione nella maniera in cui questa cresca su fronti tipologici e tematici distinti, suono e disegno raramente convivono nella stessa opera, e piuttosto determinano output di natura diversa: prevalentemente sculture musicali, installazioni sonore e performance, il primo; arazzi, il secondo. Un ruolo obliquo e laterale assume invece la fotografia, coltivata quotidianamente con intento documentaristico, ma sempre pronta ad assurgere ad arte nel momento in cui un determinato scatto si impone sugli altri attraverso uno scarto di senso.
Opere sonore, arazzi, e immagini fotografiche – insieme a tutte le loro declinazioni – non sono quindi rilasciate perché lo spettatore possa rintracciare sprazzi del proprio vissuto in quello dell'artista… Allo spettatore si chiede piuttosto di esercitare tutta la propria capacità retorica; e finalmente assistere alla resa di ogni strumento interpretativo di fronte alla realtà di opere che non intendono essere metafore di moti dell'animo, quanto cagliare un'attitudine che quei moti hanno contribuito a esplicitare. Le opere di Nasini, per esempio, vantano timidezza: l'esecuzione di un'improvvisazione musicale è demandata al vento (risonatori della serie "Sculture eoliche", 2008 – in corso); i disegni sono licenziati solo dopo una mimetizzazione della loro natura (arazzi come Piango rosa, 2010, o Le cose non crescono al buio, 2012); la riproduzione di un tema musicale solenne è arrischiata nella cacofonia (la performance Stan, 2012). I temi artistici tradizionali che qui ricorrono – decorazione, paesaggismo, dialettica tra cultura alta e bassa, ecc. – sono come l'armatura che protegge il corpo fragile; denudarlo richiede solo gesti estremi come un sopruso o la costruzione di un'intimità esclusiva.
Chi scrive invita lo spettatore a sentire come sente Matteo. Specialmente nell'occasione che questo testo accompagna: la prima mostra personale dell'artista, allestita nell'ambito del progetto Ermes, a Roma. La mostra presenta un gruppo di opere che indagano le qualità espressive della lana; a cui si affiancano fotografie che suggeriscono un contorno semantico delle opere principali, e servono come fade in e fade out alla presentazione. Non ci sono suoni ad abitare lo spazio; e quell'ambito della produzione di Nasini è demandato alla fotografia di un risonatore eolico sfasciato (Land, 2014). È questa del resto una mostra fatta di sole immagini, più o meno palpabili, più o meno decifrabili, come appunto è la memoria dei sogni al risveglio.
L'opera che dà il titolo alla mostra (Sleepy Night, 2014) è un arazzo dalla spiccata conformazione scultorea. Rappresenta un cielo stellato che crolla su una montagna e ne ammanta la forma. È un'immagine che pare appartenere a una fiaba ancestrale, un mito apocalittico e di ribaltamento dell'universo, e che tuttavia nasce dalla pura immaginazione dell'artista – ennesimo output frutto dell'esigenza di dissipare uno stato d'animo malinconico e, attraverso una prestazione certosina, femminile e arcaica, restituirne l'ingrediente della delicatezza come fattore di criticità.
Delicati, fragili, cedevoli, sono tutti gli oggetti presentati nella mostra – i cui rimandi iconografici oscillano tra figurazione brut e proto-astrattismo. Laddove opere come Le cose non crescono al buio suggeriscono infatti la maniera dei pittori naïf, altre come quelle della serie "Line" (2014) ricordano quei tentativi avanguardisti di astrarre il paesaggio in immagini sintetiche, costruite assecondando una percezione spiritualista della natura, piuttosto che parametri visuali… Analogamente, le opere della serie "Movimento" (2014) nascono da gesti minimi che, lungi da vantare una drammatica istintualità, perseguono l'organicità di una coreografia – a guardarle dall'alto, appaiono come fotografie satellitari della superficie terrestre, o fossili, ancora, rappresentazioni per le quali la distanza, spaziale o temporale, conferisce grazia a un soggetto che invece abita l'ignoto. Line e Movimento sono astrazioni povere: miseri e umili sono tanto i materiali impiegati, quando le scelte che hanno portato alla loro creazione. Al giorno d'oggi infatti, solo un artista che è un vinto rinuncerebbe a un approfondimento del medium pittorico nella pianificazione della propria produzione… Matteo Nasini è tale, non-pittore, ma artista che come racconta i crucci del proprio animo, suggerisce un'attitudine all'arte nutrita da un profondo umanesimo.
Ermes è un progetto d'arte itinerante, che presenta un programma di artisti italiani e internazionali, seguendo un approccio intuitivo senza una selezione strettamente curatoriale. La mostra di Matteo Nasini "Sleepy Night" sarà ospitata nello spazio di The Gallery Apart, a Roma. Ermes presenterà altri due appuntamenti in questo spazio, a dicembre 2014 e marzo 2015.
Ermes ringrazia: Lorenza Cadelli, Michele D'Aurizio, Luca Lo Pinto, The Gallery Apart.
Un ringraziamento speciale a Damiana Leoni e Nicola Pecoraro.
Ermes is pleased to present
Matteo Nasini
Sleepy Night
Opening Reception: 22.05.2014, 6.30pm
23.05.2014 – 28.06.2014
Ermes at The Gallery Apart
Via Francesco Negri 43, Rome
Feeling the way he feels
Text by Michele D'Aurizio
It is very sad to think that a work of art can be a precipitate. Nevertheless, it frequently happens that the viewer is in front of an object that represents the outcome of a process, whether it be intellectual or physical, a gesture that is like a reflection: basically an artifact full of that complacency for being the arrow that hit the target; and promptly a petered out object, dumb and macho. The artist releases his work so that the viewers can lovingly admire it; and he enjoys looking at them as they chase after the transubstantiation of the dumb and macho object in cultural portato: historically determined, fundamental so that others will understand the existential turning point of an entire community of individuals, metaphor of absolute artistic deontology, and so forth. In front of the work of art, the beholder is slowly sucked into the quagmire of rhetoric; whereas, the other, the artist, puts on the grin of winner on his face.
"I do not know what is more difficult, whether being the defeated or the winner; however I know one thing for sure, that the human value of the defeated is superior to that of the winners’.” Italian writer Curzio Malaparte concluded one of his books, The Skin, by declaring the shameful nature of victory. He would then strengthen his conclusion showing a Christian affection towards the defeated: “Over the last few years, I have travelled, often, and for a long time, in the countries of the defeated and of the winners’, yet the place where I feel better is among the defeated. This is not because I enjoy watching other people’s misery, and humiliation, but because man becomes tolerable, acceptable, only in misery and in humiliation. The man living in fortune, the man sitting on the throne of his pride, of his power, of his happiness, the man robed in frills and his winner’s insolence, is a repulsive show.”
I personally imagine the work of art as the ocean liner’s hull that was sheared off by the iceberg; a prop that helps the viewer become aware of an existence, which though not tragic, or farcical, is certainly epic. Inborn to the manipulation of the material, as well as to the exploration of the artistic medium, or to the codification of an aesthetic language, this is how the challenge to the formalization of a feeling would be; one that does not give birth to the reproduction of the echo of a laughter, or the freezing of a tear; but a form comparable to the cast of the horror vacui that two bodies experience after the sexual intercourse; or an icastic image like the ceramic tile representing a station of the Way of the Cross. It is likewise sad to think that the work of art can be the precipitate of a feeling…. However, here it finds its compromised indexical nature: it becomes the sign of an intangible motion, the fossil of an inner experience, the shadow of a ghost.
Italian artist Matteo Nasini is perhaps a defeated. Now, a lot of people would interpret such statement literally: an emerging artist, born in 1976, brought up and based in Italy, is neither a sturdy thoroughbred on whom traders would bet, nor the next big thing that would fuel the yakety-yak across the art system… Nasini’s artistic production has in fact emerged in a relatively recent past, when the artist boasted a ten years’ experience as a double bassist, a profession he abandoned to nourish sensitivities more consistent with the field of the visual arts. A key to interpret Nasini’s pro
duction maybe lies in the fact that the artist did not study art, but music, which has always been a sincere language, never guilty of arrogance, and which on the contrary stimulates empathy among its lovers… Such are the works by Nasini: paltry and humble as they use poor materials and resort to old techniques; naïve not because they lack virtuosity, but because they explore forms and oneiric imageries or deliver an everyday magic; romantic like the pages of a sentimental diary – fossils of inner experiences, created to dispel the pain or to unveil the joy.
Matteo Nasini’s research is based on two artistic media: sound and drawing. As it often happens with complex artists, who however possess the maturity to structure their own production in order to develop it on distinct typological and thematic fronts, sound and drawing rarely coexist in the same work, as they generate different outputs: the first brings forth musical sculptures, sound installations and performances; whereas the second produces tapestries. On the other hand, photography plays a transversal and peripheral role, as it is cultivated daily for documentary intent, but always ready to elevate to art when a certain shot prevails over the others because of a shift in meaning.
Sound artworks, tapestries, and photographs – in their widely varied forms - are not therefore released so that the viewers can discover flashes of their life experiences in the artist’s own past. The audience is instead invited to employ all his rhetorical skills; and to finally witness the surrender of any interpretative tools in front of those artworks that do not aim to be metaphors of the most inner feelings, but to quell an attitude that those feelings contributed to express. Nasini’s artworks, for example, boast bashfulness: the performance of a musical improvisation is left to the wind (the resonators of the series "Sculture eoliche", 2008 – currently on view); the drawings are released only after a camouflage of their nature (tapestries such as Piango rosa, 2010, or Le cose non crescono al buio, 2012); the performance of a solemn musical theme ventures cacophony (the Stan performance , 2012). The traditional artistic themes that recur here – decoration, landscape art, debate between high and low culture, etc. – are like the armour that protects the frail body; to undress it requires only extreme acts such as an abuse of power or the creation of an exclusive intimacy.
I invite the audience to feel like Matteo feels. Especially on the event that this essay introduces: the artist’s first solo show held as part of the Ermes project in Rome (Italy). The exhibition presents a selection of art works which explore the expressive qualities of the wool, accompanied by some photographs that suggest a semantic frame of the main works, as they are used to fade in and fade out the presentation. There are no sounds in the space; and that field of Nasini’s production is left to the photograph of a broken aeolian resonator (Land, 2014). This is in fact an exhibition which features only images, rather palpable, rather fathomable, as is the memory of our dreams as we awake.
The piece from which the show takes its name (Sleepy Night, 2014) is a tapestry that stands out for its strong sculptural structure. It represents a starry sky falling down on a mountain and shrouding its shape. It is an image that seems to belong to an ancestral fairy tale, an apocalyptic myth about the disarray of the world, and which nevertheless originates from the pure imagination of the artist – another output generated by the need to dissipate a melancholic layer of the soul and, through an accurate, feminine and archaic performance, to reestablish the ingredient of delicacy as a critical factor.
The objects presented in the show are delicate, fragile, weak – whose ichnographic references oscillate between art brut and proto-abstract art. If, on the one hand, artworks such as Le cose non crescono al buio evoke the painters working in the style of naïve art, other artworks such as Line (2014) evoke those avant-garde attempts to abstract the landscape into synthetic images, built by following a spiritualist perception of nature, rather than visual parameters … Likewise, the artworks from the series "Movimento" (2014) originate from small gestures that, far from boasting a dramatic instinctiveness, pursue the organized structure of a choreography – if we look at them from above, they appear like satellite imagery of the Earth, or fossils, again, representations for which the distance, either spatial or temporal, provides grace to a subject that dwells in the unknown. Line and Movimento #1, #2, and #3 are poor abstractions: the materials employed are as paltry and humble as the choices that have led to their creations. Today, in fact, only an artist who is a defeated would refuse an in-depth analysis of the painting medium in the planning of his own production… Matteo Nasini is, as such, a non-painter but an artist who, by the way he portrays the distress of his own soul, suggests an attitude towards art nourished by a profound humanism.
Ermes is an art project founded in 2014, presenting work by young Italian and international artists. Ermes doesn’t have its own space, but each project will be hosted by a different venue: galleries, project spaces, museums or others. Ermes is an itinerant project, based on an intuitive approach rather than a strictly curated selection.The first project will be a solo show by Matteo Nasini, it will be hosted in the space of The Gallery Apart in Rome. Ermes will present three appointments in this venue, the next one will open in December 2014 and the third one in 2015.
Ermes would like to thank: Lorenza Cadelli, Michele D'Aurizio, Luca Lo Pinto, The Gallery Apart.
A very special thanks to Damiana Leoni and Nicola Pecoraro.