Martino Cusano – I numeri per dirlo

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA RILIEVI
Via Della Reginella 1a, Roma, Italia
Date
Dal al

martedì – domenica 14.00-19.00 o su appuntamento

Vernissage
10/12/2011

ore 18.30

Artisti
Martino Cusano
Generi
fotografia, personale
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L’autore ha voluto fare di ogni foto la tessera di un mosaico, contrassegnando i soggetti come si fa con i pezzi unici dei mosaici e delle opere artistiche da restaurare.

Comunicato stampa

Martino Cusano: “I numeri per dirlo”

La moltitudine dei numeri unici
La 00105 ha la bocca ben chiusa in una compostezza araba. La 00181 guarda con uno sguardo chiaro vivido da normanna. Lo 00123 sorride anche con la barba. E’ triste o forse solo stanco del suo lungo cammino, lo 00174. Invece, 00205 ha l’aria seria e nuova dei bravi bambini.
Malgrado l’inquadratura costante e la posa comune – “mi ha chiesto il lato sinistro…pazienza non è il mio migliore” – e la luce morbida - “con questa luminosità soffusa tutte le nostre nonne parevano belle e anche noi nipoti per fortuna!” – i 287 volti fotografati sono unici per forma. E dunque per contenuto? Per Georg Simmel il volto umano ha un ruolo incomparabile nella cerchia degli interessi delle arti figurative perché nella forma del volto l'anima si esprime nel modo più chiaro. Ma è proprio veritiero questo “specchio dell’anima” chiamato volto? Forse no e la società dell’immagine sbaglia. Ma di certo c’è che ogni volto è unico.
E l’unicità dei 287 catturati da Martino Cusano è numerata. L’autore ha voluto fare di ogni foto la tessera di un mosaico, contrassegnando i soggetti come si fa con i pezzi unici dei mosaici e delle opere artistiche da restaurare. Non c’è niente di seriale in questo. Anzi, i numeri sono necessari per non sbagliare a sistemare i pezzi che essendo unici non possono sostituirsi l’uno all’altro impunemente. Solo quel che è uguale non richiede un segno distintivo: si può mettere ovunque, è “fungibile”.
Qui poi i numeri che indicano le persone sono umanizzati, infarinati da quel rassicurante “doppio zero” e poi scritti a mano, a carboncino. Sul collo. I numerati portano il ghirigoro come un ornamento, un tatuaggio, un gioco infantile, una piccola cicatrice, una ciocca uscita dalla treccia. Altri, facce da attori, sembrano lì per un provino che sarà poi esaminato, chissà se sarò scelto. O è un improvviso “ciac si gira” senza mezzi che ciacca su quel che c’è, la pelle del collo?
I numeri ci sembrano anche note a piè di pagina nel racconto delle vite, insieme alle poche parole scritte che appuntano i ritratti sui fogli del libro.
Sorridenti o intenti, in ogni caso consenzienti e affettuosamente illuminati, i 287 ci ricordano per contrasto – ripasso storico - tragici gemellaggi fra volti e numeri che hanno sfregiato la storia. Non tanto la fantasiosa puntura impressa da Dracula sul collo delle vittime, ma episodi reali di disumanizzazione. I tatuaggi dei prigionieri nei lager. Le targhette sulle porte delle celle o sulle divise dei detenuti a vita. Il posto dei rematori schiavi nelle galere. I lunghi numeri da non sbagliare sulla busta, quando scrivi a un condannato nel braccio della morte in Texas. Le crude foto dei ricercati, anche, con i dollari della taglia scritti in tutta evidenza?
Niente di tutto ciò, ma è bene non dimenticare. La disumanità non è finita. E’ ben attuale, espressa anche da altri numeri, quelli nascosti nei codici a barre della società dei consumi totali.
Ma il ghirigoro a mano sul collo è tutt’altro. Cerchiamo, come ci è concesso nei ritratti, di essere interpreti della nostra vita. Niente codice a barre ma numeri unici svolazzati a mano. Niente incisione di tatuaggi ma disegno di carboncino morbido come la luce calma di un fotoritratto.
Karima Isd