Marina Apollonio – Uroboro

La prima mostra del programma espositivo di BAC Bellano Arte Cultura che mette in dialogo l’eredità del luogo con i linguaggi del contemporaneo
Comunicato stampa
Con la mostra Uroboro di Marina Apollonio (1940), esponente di primo piano dell’arte optical e cinetica internazionale, BAC Bellano Arte Cultura apre il programma di mostre ideate per indagare i linguaggi del contemporaneo in relazione all’identità del luogo, del paesaggio e della sua memoria.
A cura di Chiara Gatti, la mostra presenta due installazioni site-specific di Marina Apollonio distribuite tra il Museo Giancarlo Vitali, dove dialoga con la collezione permanente, e lo spazio al piano terra di San Nicolao Arte Contemporanea.
Reduce dall’importante retrospettiva allestita alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia, conclusasi lo scorso marzo, Apollonio approda a Bellano con un progetto inedito, destinato a modificare la percezione degli ambienti che accolgono le sue opere di ampie dimensioni, una Dinamica circolare, di 4 metri e mezzo di diametro, e una Elisse prospettica, di quasi due metri di altezza.
Uroboro: simbolo del cosmo e dell’eterno
Il titolo della mostra, Uroboro, è un riferimento esplicito alla circolarità dei lavori dell’artista, che si legano idealmente all’iconografia sacra che riecheggia in sottotraccia alla storia secolare di San Nicolao, ai suoi affreschi trecenteschi e alle tracce liturgiche dell’originario convento degli Umiliati.
Simbolo del cosmo e dell’eterno sin dalla tradizione egizia, l’uroboro era il serpente che, mordendosi la coda, disegnava un anello magico, allegoria dell’infinito rigenerarsi della vita. Una nuova leggenda dalle forme astratte abita ora la chiesa e coinvolge il pubblico in un viaggio sensoriale, in una interazione fisica con l’immagine che inganna i sensi e, allo stesso tempo, li attiva.
Riflettendo sempre sulla forma primaria del cerchio, Marina Apollonio ne ha esplorato negli anni ogni variazione strutturale, al fine di innescare un moto interno, foriero di relazioni dinamiche fra opera e ambiente. In un’epoca in cui le neuroscienze, studiando gli organi di senso, analizzano a fondo la capacità del cervello di interpretare i segnali che lo raggiungono, l’opera d’arte optical – così come fu concepita e teorizzata negli anni Sessanta – torna di straordinaria attualità per la sua inclinazione a mettere alla prova il sistema nervoso, invitandolo a orientarsi fra verità e percezione.