John Henderson – A Reserve

  • T293

Informazioni Evento

Luogo
T293
via Ripense 6 , Roma, Italia
Date
Dal al
Vernissage
11/04/2014

ore 19

Artisti
John Henderson
Generi
arte contemporanea, personale
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La complessità dei dipinti ad olio di Henderson sta nella loro iper-riflessività, nella loro compulsiva autoconsapevolezza e nella loro de-antropomorfizzante omogeneità: le immagini clonano meticolosamente se stesse, il loro rispettivo rigore pittorico e sforzo artistico.

Comunicato stampa

Sull'altra faccia dell'espressione “qualcosa di riservato”, o forse lungo il suo confine, c'è l'espressione “senza restrizione”. Grazie alla loro oculatezza e rigore analitico, i dipinti ad olio di John Henderson si distinguono enfaticamente in quanto “pittura senza riserve”, soprattutto in relazione all’immagine digitale. Non vi è nessun impeto, nessuno sfogo espressivo dettato da una tracotanza maschile, nessuna narrazione lineare ma, piuttosto, una considerazione esaustiva del collegamento tra le superfici, tra le interfacce sovrapposte - mediazioni funzionanti, non funzionanti o de-funzionanti di una pittorialità quantica. C’è un’acuta consapevolezza dell'ossessiva dipendenza della cultura contemporanea da tutti i tipi di schermi di computer, smartphone, iPad, bancomat, pannelli informativi in aeroporto, e così via.

La complessità dei dipinti ad olio di Henderson sta nella loro iper-riflessività, nella loro compulsiva autoconsapevolezza e nella loro de-antropomorfizzante omogeneità: le immagini clonano meticolosamente se stesse, il loro rispettivo rigore pittorico e sforzo artistico.

Henderson cancella, ripropone e sovrappone sia la superficie che la temporalità della pittura. “A reserve”, quindi, incarna più il parallelismo intrinseco all’ontologia digitale che la serialità della sua epistemologica riproduttività.

A fronte di un effetto immediato, più o meno concreto, è possibile ritrovare nello spazio vuoto del titolo tra “Una” e “Riserva”, una tenue compressione e espansione del tempo che indica un mettersi in primo piano e presentarsi delle opere come oggettività. Un qualcosa di riservato che proietta e trasforma se stesso lungo i bordi infinitamente ripetuti e clonati.

Cos’è un’immagine clonata, un’immagine pittorica clonata, se non una qualche negazione? Se lo spazio bianco del titolo, con i suoi bordi, si riferisce al suo stesso mezzo, ovvero ad una digitalizzata, appiattita, sfuggente, accumulata clonazione, e ad una pittoricità contemporanea guidata e costituita da schermi e dalla loro interconnettività, un nesso ironico di riservatezza emerge nello strato di blu di Prussia applicato come una sorta di vernice di fondo. Un pigmento ad alto cromatismo come il blu di Prussia ostacola l’accuratezza e l’affidabilità se riprodotto su schermi di computer. Una pittura riservata senza riserve.

- Peter J. Amdam

John Henderson
A Reserve
April 11 – May 17 2014
Private view April 11, 7pm
T293, Via G. M. Crescimbeni 11, Rome
T: +39 (0)6 88980475
[email protected]

On the flip side of “a reserve,” or maybe along its edges, one finds the expression “without reserve.” John Henderson’s recent oil paintings emphatically unmoor themselves – as “painting without reserve” – by way of their own caution and analytic rigor, especially in relation to the digital image. There is no wilding out, no expressive outbursts of male braggadocio, no linear narrative but, instead, an exhaustive assessment of embedded surfaces, of superimposed interfaces – working, non-working, or un-working mediations of quantic pictoriality. There is an acute awareness of contemporary culture’s obsession with, and reliance on, screens of all sorts – computer screens, smartphones, iPads, ATM machines, flight information boards, and so on.

The tricky thing with Henderson’s oil paintings is their hyper-reflexivity, their compulsive self-awareness, their de-anthropomorphizing homogeneity: these images meticulously clone themselves –one another’s integral pictoriality and accumulation of artistic labor.

Henderson erases, re-stages and superimposes both the surface and the temporality of painting. “A Reserve,” then, embodies more of the parallelity inherent to digital ontology than the seriality of its reproductive epistemology.

If there is a certain operational, or non-operational, instantaneous effect, one can look for the blank space in the title between the “A” and the “Reserve,” a muted compression and non-opaque expansion of time and the index – a foregrounding and in-your-face folding of the works as objectiles. The reserve projects and transforms itself along infinitely repeated and cloned edges.

What is a cloned image, a cloned painterly image, if not some foreclosed, positive negation? If the blank space of the title, its edges, refers to its own medium – a medium of digitized, flattened, elusive, accumulated cloning – and to a contemporary pictoriality driven and constituted by screens and their intra-connectivity, an ironic nexus of reserve emerges within the layer of Prussian blue applied as some kind of parabasic varnish. A high chroma pigment like Prussian blue resists accuracy and reliability when reproduced on computer screens. Reserved painting without reserve.

- Peter J. Amdam