Jacopo Prina – Mood Maps

Informazioni Evento

Luogo
FEDERICO BIANCHI GALLERY MILANO
Via Carlo Imbonati 12, Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

mar. - ven. 15.00 – 18.00 e su appuntamento

Vernissage
23/01/2016

ore 17

Artisti
Jacopo Prina
Generi
arte contemporanea, personale

La realtà di tutti i giorni è dall’artista vissuta come serbatoio di meravigliosi materiali, il cui impiego conferisce alle opere un non secondario aspetto da tesoro delle Mille e una notte

Comunicato stampa

Federico Bianchi Contemporary Art è lieta di presentare la quarta personale in galleria di Jacopo Prina, che inaugurerà il giorno sabato 23 gennaio 2016 dalle ore 17:00 alle ore 20:00 in Via Imbonati 12 a Milano.

Nello specchio di Jacopo Prina
by Elisabetta Longari

È adesso subentrato un gusto quasi da archivio, introdotto tramite il prelievo sistematico di una serie di reperti materici organizzati secondo un criterio “misto”, in ugual misura partecipe delle categorie dell’ordine e del disordine, in modo da soddisfare tanto il lato razionale quanto quello fantastico che convivono in ognuno di noi. Forse sarebbe meglio parlare della composizione di un atlante, “figura” che rappresenta una declinazione più ricca e varia del recente ciclo delle mappe. Allo stesso modo delle mappe infatti queste nuove opere cercano << di rispondere alla domanda: dove siamo?>>, come scriveva, cogliendo sinteticamente nel segno, lo stesso autore nel 2005 in un testo pubblicato sul catalogo che accompagnava la sua prima mostra personale milanese da Luciano Inga Pin.
Rispetto al passato ora ha maggiormente spazio e preso evidenza la componente ludica che innerva le opere di Esprit Dada, o Neo Dada, e di simpatie Pop.
Tra gli elementi applicati sulle tele e che su di esse orbitano come pianeti, troviamo oggetti di diversa natura: tessuti e passamanerie che fanno pensare a Baj, mascherine di cartone monocromo e di forme geometriche simili a quelle utilizzate da Hans Richter nei suoi primi film sperimentali di animazione, ma anche orecchini di foggia indianeggiante e bottoni appariscenti, di dubbio se non di cattivo gusto. Dunque la storia dell’arte non fatica a combinarsi con il kitsch, di cui Prina non ha paura ma in cui anzi riconosce una componente importante della nostra cultura.
Egli invece delle matite colorate usa i campionari di tessuti, che offrono gamme cromatiche e textures di varietà e ricchezza inimmaginabili. La realtà di tutti i giorni è dall’artista vissuta come serbatoio di meravigliosi materiali, il cui impiego conferisce alle opere un non secondario aspetto da tesoro delle Mille e una notte; eppure quelle stesse composizioni, sempre orientate all’astrazione nonostante la presenza di oggetti riconoscibili, hanno comunque un retrogusto quasi metafisico. I tagli e gli innesti di questi collage non possono che richiamare la distribuzione degli spazi nelle vetrine del De Chirico ferrarese mentre l’aspetto di piccolo monumento all’oggetto banale porta tra l’altro a ricordare i bottoni giganteschi e silenziosi di Gnoli.
Oltre a utilizzare il supporto di tela e gli inserimenti concreti, Prina lavora anche su riproduzione, in questo modo implicando un discorso sul simulacro più che sulla moltiplicazione delle immagini. Alcune delle sue opere sono di natura totalmente fotografica, e consistono nella stampa a colori di transitorie configurazioni che, esito anch’esse di un’operazione di collage, esistono quasi esclusivamente nel momento contingente dello scatto.
Se nelle due linee operative, che si tratti di pittura con applicazioni di “oggetti” su tela o di fotografia, la matrice delle immagini è la stessa e la modalità di aggregazione degli elementi compositivi pure, a cambiare profondamente è invece la sostanza del corpo delle opere.
Gli oggetti e i tessuti posti in dialogo con la pittura acrilica hanno uno spessore materico, una loro naturale e reale tridimensionalità, mentre i teatrini di elementi eterogenei che vengono organizzati, fotografati e stampati hanno delle qualità diverse, prima fra tutte una resa impressionante delle trame, delle sfrangiature, dei rilievi, delle ombre e perfino delle trasparenze che fanno sentire lo spessore e la tridimensionalità degli oggetti con una temperatura più fredda e mentale. Una fotografia e una stampa talmente raffinate da salvare la sostanza artigianale dei tagli al vivo delle carte e dei tessuti, tanto è vero che questa tecnica, certamente più veloce rispetto alla pittura, se utilizzata in questo modo riesce a comunicare lo spiccato gusto dell’autore per il bricolage. Poiché non v’è dubbio, egli ama maneggiare questi materiali quotidiani e incantati al tempo stesso.
Un bottone diventa subito un occhio, una pezza di tessuto dalla forma tondeggiante è un volto. Molti personaggi affiorano da queste situazioni inscenate per gioco e per gusto dell’accostamento ardito. Una matita, simile a un signore smilzo e allampanato, e il re di quadri, convenzionale e autorevole dall’alto del suo status, si incontrano con i numeri e la carta da parati a grandi fiori. Il mondo è lo stesso impossibile e splendido guazzabuglio dove si è trovata a districarsi, divertendosi all’inverosimile, Alice di Lewis Carroll.
Le textures dei tessuti applicati tramite il collage dialogano con la pittura, il più delle volte funzionano come sfondo, tanto è vero che spesso i pattern si ritrovano anche nei lati del quadro, dunque ne costituiscono direttamente il supporto teso sul telaio; le trame astratte delle stoffe si incontrano/scontrano con le forme a pettine delineate e tracciate dal pennello. L’assemblage degli scampoli di tessuti di diversa destinazione, provenienza, consistenza e colore, sono una convincente metafora di come va il mondo: sono brani della nostra vita, parlano di noi, dell'arredamento delle nostre case e del nostro abbigliamento, degli abiti e degli ambienti di cui ci circondiamo.
Molti sono gli echi culturali che le sagome dipinte introducono, mentre a volte ricordano le creature leggere di Klee e di Kandinskii, altre fanno pensare ai “geroglifici in evoluzione” sui rotoli di Hans Richter (si pensi specialmente a Preludio), restituendo il senso del movimento del tempo e nel tempo.
Anche le forme circolari, apparentemente più statiche, in verità somigliano a cellule che migrano da sinistra a destra, secondo la direzionalità tipica della lettura propria alla cultura occidentale. Queste forme che nella loro integrità si danno come le figure più compiute per eccellenza, i cerchi e i dischi, nell’opera di Prina sono facilmente interrotte e spezzate: sui lati del supporto, sia a destra che a sinistra, molte di esse suggeriscono il loro completamento ideale oltre ai bordi, presentandosi pertanto come visioni parziali di un qualcosa che sfugge nella sua totalità. L’ effetto così ottenuto ha la caratteristica di sottolineare l’andare, l’andamento, la trasformazione e il transito. In una parola il tempo che passa e cambia la sostanza di ogni cosa.
E questo legame con la vita, insito nei resti e reperti della realtà che compongono i singoli lavori, si fa ancora più manifesto nel volo delle opere sulla parete, nel modo di allestirle utilizzando la superficie del muro come se fosse il supporto di un’unica installazione, che segue la stessa logica compositiva dei più piccoli “frammenti” e partecipa della medesima appassionante sintassi di aggregazione e disgregazione degli elementi. E noi, con i nostri gesti e i nostri colori, ci accorgiamo presto di essere parte integrante di un’opera sempre in fieri.

Jacopo Prina è nato a Milano (Italia) il 20 dicembre 1971; vive e lavora a Milano. Ha preso parte a varie mostre personali e collettive in Italia e all'estero. Nel 2008 ha esposto una sua grande installazione alla Fondazione Pomodoro. Dipinti, fotografia e installazioni sono i suoi mezzi preferiti di espressione.