Francesco Matteo Cataluccio – Cose che lasciano il tempo che trovano

Informazioni Evento

Luogo
#SO - INDEPENDENT STUDIO FOR THE ARTS
via Tadino 24, 20124 , Milano, Italia
Date
Dal al

Dal lunedi al venerdì
Dalle ore 11.00 alle ore 19.00
Sabato e domenica su richiesta

Vernissage
04/06/2019

ore 19

Artisti
Francesco Matteo Cataluccio
Curatori
Melina Mulas, Francesca Ballini
Generi
fotografia, inaugurazione, personale
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Venticinque racconti in forma di fotografie e testi legati assieme in una sola immagine.

Comunicato stampa

Questa mostra nasce dall’incontro di Melina Mulas e Francesca Ballini con Francesco M. Cataluccio, dall’idea di condividere una comune passione per le immagini e i racconti. Un’apertura, un dialogo poetico, una bizzarra visione della cultura. Francesca Ballini e Melina Mulas presentando insieme questo primo progetto: COSE CHE LASCIANO IL TEMPO CHE TROVANO, nel nuovo spazio |#SO|, danno inizio ad un ciclo di incontri e narrazioni visive.

Francesco M. Cataluccio
COSE CHE LASCIANO IL TEMPO CHE TROVANO

Venticinque racconti in forma di fotografie e testi legati assieme in una sola immagine.
Un viaggio attraverso mondi e momenti diversi colti e narrati attraverso particolari “laterali” e “inattesi” come un buffo cane di un ristorante di Budapest, la tomba coperta di bottiglie di un regista giapponese, una strada sconnessa che rotola giù verso il fiume che atttraversa Varsavia…
L’aviatore Antoine de Saint-Exupéry, l’autore de Il Piccolo Principe, disse che per imparare a scrivere bisogna prima guardare e vedere bene. C’è un forte legame tra la fotografia e la scrittura: anche per fotografare bisogna prima "guardare bene”, stando attenti ai dettagli. Vedere non soltanto ciò che è in primo piano, ma le cose nascoste dietro o di lato, apparentemente prive di significato, concentrandosi su un singolo soggetto, magari marginale ma emblematico dell’insieme.

TAMERICI. Il nome di questi alberi, tra i più belli dell’Estate, lo associo alla musica della pioggia perché per la prima volta lo lessi nella poesia La pioggia nel pineto (1902) di Gabriele D’Annunzio, che ci facevano imparare a memoria alle elementari. Le tamerici mi erano familiari perché facevano compagnia ai pini in un luogo dove, durante le vacanze, andavamo a fare le gite in bicicletta. A Marina di Pisa, nella folta pineta, che corre lungo il mare, il poeta, mentre stava passeggiando con la sua amata Ermione, venne sorpreso da un fresco temporale estivo: le gocce, cadendo leggere sui rami e sulle foglie, crearono una musica magica e orchestrale, ridestando odori e vita segreta del bosco.
Proprio là vicino aveva la casa Antonio Tabucchi e, dalle sue finestre, penestrava il suono della pioggia sulle tamerici attorno. Lui, che era meteopatico, ne soffriva e attribuiva allo scroscio d’acqua la voglia che lo assaliva di non alzarsi dal letto. Si sentiva oppresso da quel ticchettio umido e diceva preoccupato: “La pioggia arrugginisce e corrode”.