Francesco Guadagnuolo – I Prigioni
Approda alla storica Libreria Leoniana nei pressi del Vaticano, in occasione dei 450 anni dalla morte dell’artista-genio Michelangelo Buonarroti (avvenuta a Roma nel 1564), la mostra personale Michelangelo: “I Prigioni” di Francesco Guadagnuolo.
Comunicato stampa
Approda alla storica Libreria Leoniana nei pressi del Vaticano, in occasione dei 450 anni dalla morte dell’artista-genio Michelangelo Buonarroti (avvenuta a Roma nel 1564), la mostra personale Michelangelo: “I Prigioni” di Francesco Guadagnuolo. Com’è noto, proprio in Vaticano il Buonarroti ha realizzato i grandiosi affreschi della Cappella Sistina, massimo capolavoro pittorico di tutti i tempi.
L’affermato artista siciliano, operante nella capitale da molti decenni, ha voluto celebrare l’evento con 10 tavole dedicate a “I Prigioni”. La mostra sarà inaugurata sabato 5 luglio 2014 alle ore 17,30 presso la Libreria Leoniana, di Via dei Corridori, 28 adiacente al Vaticano, accanto al Braccio destro del colonnato berniniano e rimarrà aperta fino al 30 ottobre 2014 (tutti i giorni feriali dalle ore 8,00 alle ore 18,30, tranne il giovedì: dalle ore 8,00 alle ore 13,00 e dalle 15,00 alle ore 18,30).
Nelle opere scultoree di Michelangelo, il corpo umano diventa paradigma di un’arte sublimata. La con/figurazione, affermava il Buonarroti, è già tutta nel chiuso del marmo: era sufficiente renderla libera. E proprio con la sua riconoscibilissima poetica del “non finito”, la scultura diventa lancinante conflitto tra l’inerzia della materia e l’insopprimibile slancio libertario dell’uomo.
“I Prigioni” di Michelangelo sono tra le più sublimi rivelazioni della catartica potenza dell’arte: la loro attualità, di fronte alle sofferenze in cui continua a versare la stragrande maggioranza dell’umanità intera, è impressionante. A tal proposito basta osservare, tra “I Prigioni”, Atlante, con la sua “testa in potenza” ancora tutta racchiusa nel blocco informe marmoreo. Sono i segni-cicatrice lasciati dallo scalpello ad esaltare al massimo la tragica tensione corporale.
Francesco Guadagnuolo con le sue Tavole ispirate a “I Prigioni”, ha interpretato al meglio la scultura michelangiolesca trasmutandola in una fertile, dialogante pittura.
Il ciclo michelangiolesco de “I Prigioni” è stato sintonizzato da Guadagnuolo con “l’attualità dell’oggi”, come scrive il poeta Paolo Guzzi: «è quanto mai sentito da chiunque viva in questo nostro mondo di sofferenza senza uscita, e Guadagnuolo l'ha reso bene, aderendo alla tensione michelangiolesca con il suo segno e la sua tensione interiore».
L’artista, con il serpentinato guizzo del suo segno germinato dall’immanenza dell’hic et nunc, incide, scarnifica la morfologia corporea rilevandone la più intima essenza, vale a dire quello stesso martirio vitale di chi è alla ricerca di una risposta ai valori fondanti e non mercificabili dell’essere.
Si può sostenere come le opere realizzate da Guadagnuolo (non solo in quest’occasione) abbiano, in ultima analisi, un carattere prettamente simbolico con una valenza filosofica di natura esistenziale, scaturite come sono, direttamente, dai “tormenti” della vita.
Ha affermato in proposito l’artista: «Mentre disegnavo e dipingevo queste opere, pensavo all’essere nel suo sviluppo vitale e nello stesso tempo ad un’arte che rivitalizzasse le essiccate radici d’una morente spiritualità. Ho scelto quindi, in sincronia, il suono di un pensiero musicale a me congeniale, che tratta in particolare il tema del destino e la necessità del suo superamento. Siamo in presenza di un centrale interrogativo esistenziale tradotto in musica con le note (sofferte) della Sinfonia di Ciajkovskij, detta La Patetica, che pur schiacciando il destino di ogni uomo, appare, sparisce e ritorna incessantemente alla stregua di queste Tavole dalle forme indefinite e sfuggenti. Sta tutto qui l’inalienabile patrimonio dell’arte che colpisce in misura diversa l’emotività delle persone, consentendo attraverso immagine, parola e suono, l’accesso a ciò che dapprincipio non era esprimibile, rendendo così più sopportabile i tormenti interiori della vita».
Basti osservare la Tavola “Il prigione morente” in cui la “sfinitezza/finitezza” umana, viene ripercorsa con una fluente pennellata che, come vitale acqua sorgiva, tenta di percorrere taumaturgicamente il corpo abbandonato. Allo stesso modo, nelle altre opere “Prigione Ribelle” “Prigione Atlante”, “Prigione Giovane”, “Prigione Barbuto” o “Prigione che si ridesta”, la linea fluida pervade il tutto, amalgamando i contrasti tra potenza ed energia raccordate e fuse da una gestualità iperveloce.
Con questo ideale incontro artistico con il grande genio del Rinascimento, Francesco Guadagnuolo ha inteso sottolineare, in estrema sintesi, l’aspetto dialogante esistente tra forma compiuta e informe: nel loro continuo, quanto imprevedibile e caotico divenire.
Antonio Gasbarrini