Elisabetta Falqui – Ho fame
Per Elisabetta Falqui il cibo è una necessità per decodificare e interpretare significati simbolici partendo da esso come fonte di nutrimento e strumento di aggregazione sociale e confluire nel concetto che ruota intorno all’impossibilità di soddisfare il desiderio.
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Informazioni
- Luogo: LA CORTE ARTE CONTEMPORANEA
- Indirizzo: Via Dei Coverelli 27r - Firenze - Toscana
- Quando: dal 26/10/2013 - al 22/11/2013
- Vernissage: 26/10/2013 ore 18
- Autori: Elisabetta Falqui
- Curatori: Roberta Vanali
- Generi: arte contemporanea, personale
- Orari: martedì - sabato 4 - 7 pm e per appuntamento
Comunicato stampa
“L'entusiasmo è per la vita quello che la fame è per il cibo.”
(Bertrand Russell)
Dagli affreschi di Pompei alle innumerevoli versioni dell’Ultima cena, dalle nature morte tra ‘500 e ‘700 alle osterie di Carracci, ma anche i banchetti di Bruegel, i ritratti surreali di Arcimboldo e le scene di vita contadina di Van Gogh, fino ad arrivare agli accumuli di caramelle di Felix Gonzales-Torres passando per i cibi griffati di Warhol e l’artificazione del cibo nelle performance Fluxus
In un’epoca in cui non si può prescindere dalle diete e dall’ossessione per i cibi sani, in tempi in cui gli chef s’impongono come star e il culto del corpo arriva a esasperata e morbosa ricerca della perfezione, per Elisabetta Falqui il cibo è una necessità per decodificare e interpretare significati simbolici partendo da esso come fonte di nutrimento e strumento di aggregazione sociale e confluire nel concetto che ruota intorno all’impossibilità di soddisfare il desiderio. Desiderio che rispecchia anche il piacere sensuale del cibo - non a caso cibo e sesso vengono tenuti sotto controllo dagli stessi ormoni -, per dirla con il marchese De Sade: “Non conosco nulla che vellichi così voluttuosamente lo stomaco e la testa quanto i vapori di quei piatti saporiti che vanno ad accarezzare la mente preparandola alla lussuria.” Ecco che il cibo diventa ossessione poiché unico appagamento delle frustrazioni più recondite e la magrezza, sinonimo di bellezza nella società occidentale, è associata all’illusione della felicità. Identificabile in un preciso stile di vita alimentare e quindi sociale, per l’artista l’ossessione del cibo rappresenta la crisi e il fallimento dell’uomo contemporaneo immerso in un’esistenza alienante. Il corpo come luogo di riflessione diventa quindi racconto di una patologia e il cibo da nutrimento si trasforma in disturbo compulsivo. “Detesto l’uomo che manda giù il suo cibo non sapendo che cosa mangia. Dubito del suo gusto in cose più importanti”, non a caso sosteneva Charles Lamb.
Il tramite espressivo per Elisabetta Falqui è la fotografia e in questa il corpo riveste un ruolo centrale. Dalle immagini patinate attinte dall’universo mediatico passa in questo frangente a un rigoroso bianco e nero che rivela una realtà più tormentata. Le intime sofferenze di una percezione distorta della fisicità, di un rapporto perverso con il proprio corpo. La fame d’amore e il senso di inadeguatezza sono il risultato delle installazioni al neon associate alla costante che contraddistingue la sua dimensione concettuale, ovvero il susseguirsi forsennato di pensieri contraddittori, a tratti deliranti che profilano la complessa e inquietante relazione tra donne e cibo, un mantra che diventa assillo, tormento, incubo: “ho fame, mangio non mangio, mangio questo e basta, poi inizio la dieta, da lunedì sarò a dieta, sono grassa non posso guardarmi allo specchio, mangio, ho fame non ho fame, non mi piaccio, ma se lo mangio non sarà questo a farmi ingrassare, poi vado a correre, devo dimagrire ma ho fame, ho sempre fame, non voglio ingrassare, mangio meno, mangio questo e basta...”
Roberta Vanali
