Daniela Foschi – Spazio al colore!
Le opere di Daniela Foschi rivelano che lo spazio è cosa diversa da quella assimilazione soggettiva attraverso cui i nostri sensi sono abituati a percepire l’esistente.
Comunicato stampa
La mostra “Spazio al colore”, dalle Fonderie delle Arti ,via Assisi 31di Roma si
trasferisce nei mesi di luglio e agosto nei locali dello” Stello della Rocca”
Un altro evento inserito nel Progetto culturale artistico che vede protagonisti tutti gli
artisti ed in particolare quelli che fanno parte del territorio.
Spazio al colore! di Francesco Giulio Farachi)
Guardare i quadri di Daniela Foschi necessariamente porta ad accorgersi che lo
spazio è cosa diversa da quella assimilazione soggettiva attraverso cui i nostri sensi
sono abituati a percepire l’esistente. Si sperimenta una dimensione altra. Che è
pure una dimensione riconoscibile e nota, in qualche modo congeniale all’idea che
dobbiamo avere del mondo. Forse bisogna proprio dare ragione ad un artista come
Achille Perilli, quando sostiene che “esistono due spazi. Il mio, vostro, nostro, di
tutti, e un altro spazio: quello dell’arte; in quest’ultimo vivono forme e colori che
noi dipingendo rendiamo solo in parte, per quel tanto che è nelle nostra capacità di
rendere”. La pittura cioè non si esercita per niente a riprodurre in modo più o meno
fedele il mondo che noi tutti, come esseri fisici, abitiamo; in realtà essa è il riflesso
di un intero e distinto universo, di cui fornisce le molteplici esperienze. Tutto ciò
che esiste in tale universo è effettivo, constatabile solo nei termini di un’evocazione
passionale, di un’emozione suscitata che potente e compatta assorbe il calore, la
pulsazione, il respiro, l’essenza stessa della vita. Daniela Foschi mette in moto un
meccanismo di luce e colore che fraziona e distribuisce la superficie pittorica entro il
tracciato di linee di movimento, in un addensarsi di geometrie e direzioni, fino in una
tessitura cromatica, fitta di segni e di settrici, che diventa vera e propria atmosfera,
invasione totalizzante del sensibile. La realtà è allora questa verberante suggestione
luminosa, ai cui ritmi si muovono anche le storie, gli incontri, i momenti esigui e le
situazioni concrete, ma soprattutto fluiscono le sensazioni e la percezione stessa della
vita.
Prendiamo ad esempio questi paesaggi urbani. L’artista sbalza la visuale oggettiva
dalle angolature di una impressione veloce di linee cromatiche e forme e tracciati.
Impressione, che però è la vera protagonista dello spazio, il vero fulcro di interesse
per la ricerca e la sperimentazione creativa. Anzi, proprio da tale impressione si
genera poi la visione, come dimostrano i quadri il cui soggetto è pura ed
incondizionata elaborazione dei motivi di colore. Gli stessi motivi, con le loro
geometrie o andamenti, poi entrano come fondali e quinte scenografiche nelle
rappresentazioni figurative, corrono come tratti che in cadenza parossistica
segmentano la struttura dell’immagine, dilagano come diffusioni vorticose che
segnano le energie ed il movimento all’interno dei contesti. La relazione fra
intuizione e raffigurazione viene avvalorata dall’intreccio di queste linee di forza,
futuristicamente inserendo nella composizione, anzi addirittura facendo prevalere, le
direttrici dinamiche. Cosicché si sviluppa il linguaggio personale dell’artista,
equidistante sia dal rigore razionalista di un astrattismo geometrico come dalla
passività descrittiva di un puro e semplice naturalismo. Alla fine in queste città, in
queste situazioni di effimera quotidianità, si annullano i caratteri di individuazione
inerte di un dato momento in un dato luogo, ed invece si pone definitiva ed in
assoluta nettezza l’interiorizzazione di un fascino emotivo, e vitale, ognora palpitante.
Più che ad una scansione visiva della realtà dunque, tale regolarizzazione delle
tensioni si conforma come per naturale affinità allo scandirsi di questi ritmi urbani,
serrati quali li registra l’occhio dell’artista e che ci appaiono, come nella nostra
comune esperienza e sentire, frammentati, adiacenti, compresenti, indipendenti; e
che pure, nello stesso tempo, costruiscono un agglomerato inestricabile e compatto
di tempi e circostanze, di percezioni sovrapposte e fuse insieme, anche di equilibri
disarmonici, ma ormai abituali e distintivi dei nostri giorni metropolitani.
In tutto questo non bisogna mai dimenticare la luce. Quasi si trattasse di registrarne
le singole incidenze e, per così dire, i singoli umori (il loro assieparsi contiguo
e compositivo), la pittura incalza ed amplifica l’impressione visiva. La stesura
dei colori, la sua consistenza, è appena corposa e ruvida, come fatta di filature
screziate, graffi di spatola; eppure la sua resa è di atmosfera limpida e tersa, luce che
annulla i volumi e le penombre, precisa i contorni in una bidimensionalità a “taglio
di vetro”. L’espressività si fa così intensa da riuscire a condurre le prospettive
inattese e gli strisci rapidi dei movimenti fino alla “trasparenza” del soggetto:
ciò che viene raffigurato si rivela occasione per fare pittura, per dare alla pittura
l’ordine su cui stendere le sue trame fisicamente rilevanti e rilevate. Al punto che
in alcuni esperimenti Daniela Foschi rafforza l’impianto pittorico con l’inserimento
di materiali e, quindi anche qui, di fili e partizioni, aprendo alla sostanzialità degli
elementi e degli spessori le successioni di piani, e di rifrazioni, sulle tele. Ed è
interessante questo gioco con la materia, con le “cose” (ecco le sedie di Daniela
Foschi, il loro “stare” inopinato in pittura) che diventano soggetti d’arte tramite gli
arricchimenti di accostamento e colore, in questa sublime dialettica fra le dimensioni.
Come si vede, allo spazio si ritorna. A questo spazio di riflessi e timbri cromatici, la
cui forma concreta aderisce come un tessuto alle immagini, impalpabile e tuttavia ad
esse intimamente attinente. Uno spazio che si modella liberamente, come emozione e
misura dell’azione penetrante della luce.