Daniela d’Arielli – a’mare

Informazioni Evento

Luogo
MUSEO LABORATORIO - EX MANIFATTURA TABACCHI
vico Lupinato 1 - 65013, Città Sant Angelo , Italia
Date
Dal al
Vernissage
16/12/2017

ore 19

Artisti
Daniela d'Arielli
Curatori
Enzo De Leonibus
Generi
arte contemporanea, personale
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Mostra personale

Comunicato stampa

Leggendo il testo inviatomi da Daniela d’Arielli ho sentito il dovere etico di lasciare il suo testo come profondo dono dell’Artista.

Amare si pronuncia /a’mare/.

A mare significa anche “trovarsi in mare”.

Nella chimica del mare si intrecciano tutti i lavori che qui presento: due dipinti ricavati da una foto subacquea e venti stampe realizzate attraverso la tecnica della carta salata, che consiste nell’immergere un foglio in una soluzione di cloruro di sodio e successivamente in una di nitrato d’argento. Queste due sostanze, reagendo, producono il cloruro d’argento, sostanza instabile alla luce.

Al cloruro di sodio ho sostituito l’acqua di mare (prelevata ad Acquabella, località sulla costa abruzzese nei pressi di Ortona, luogo di origine della mia famiglia), il mio sudore e le mie lacrime: tutte soluzioni saline.

Il mare è simile al sudore del corpo, su mio corpo ho appoggiato la carta da stampare.

Così l’acqua incontra la materialità del corpo e della fatica, come avviene nelle navi cargo.

Il mare si fonde al sudore come il lavoro al denaro (che in forma cartacea è del resto chiamato “liquido”): è per questo che i bricchetti che sorreggono le fotografie così realizzate sono ricavati da banconote triturate. Banconote di colore verde come verdastra appariva l’acqua di Conakry in Nuova Guinea, dove le foto sono state scattate.

Su questo elemento, liquido e onirico, l’oblò agisce come un passepartout, che delimita l’immagine e permette di custodirla. Così incorniciate, si portano con sé le foto dei cari racchiuse in un ciondolo. Il mio ciondolo è ricavato da un mytilus galloprovincialis contenente una piccola foto stampata utilizzando le mie lacrime. Esso stesso, frutto del mare e di esso depuratore, ha la forma di una goccia e mostra nel lato interno un piccolo specchio.

Queste immagini nascono dal viaggio che ho effettuato nel 2013 per raggiungere Rio de Janeiro, ospite della galleria Graphos:Brasil e del curatore, Ricardo Luiz Duarte De Suouza, che aveva accettato la mia proposta di arrivare a Rio in nave considerando il periodo della traversata come parte della residenza.

Unica donna in un equipaggio di ventisei persone e altri due passeggeri, sono partita da Le Havre a bordo della nave cargo Grande San Paolo e dopo diciotto giorni in mare sono sbarcata a Rio de Janeiro. Viaggiare su una nave cargo è un lavoro sulla perdita del controllo, una prova di resistenza. Il tempo si dilata e lo spazio si condensa in un determinato presente, che non è stato ieri e non sarà domani. Questa condizione di totale apertura permette di tuffarsi in una dimensione alterata, conturbante, inconscia.

Una dimensione di luce e ombra, mistero e scoperta, memoria e sogno.

Oltre l’oblò della mia cabina c’era il paesaggio marino: estraneo a ogni frontiera, fisso eppure eternamente mutevole. Ho fotografato quell’oblò tutte le mattine del viaggio alla stessa ora, dall’interno della cabina. In seguito, mesi dopo il mio ritorno dal Brasile, ho casualmente ritrovato una foto in bianco e nero scattata e sviluppata da mio padre durante uno dei suoi lunghi periodi in mare. È la foto di un oblò. Fuori, il mare e il ponte di una enorme nave mercantile.

Ho impiegato quasi un anno per organizzare questo viaggio. Non so dire se oggi potrebbe essere più difficile a causa delle nuove leggi marine internazionali e del complicato periodo storico, politico e culturale che stiamo attraversando. Non avevo mai preso un cargo né, tanto meno, avevo mai fatto un lungo viaggio in mare.

Il mare è parte di me, delle mie origini. Lo vedevo appena sveglia, lo sentivo prima di addormentarmi.

Era una linea all’orizzonte da contemplare, non qualcosa che avessi mai attraversato.
[ENG]

Daniela d'Arielli - a'mare

curated by Enzo De Leonibus

16 December 2017 - 3 February 2018

Opening:
Saturday 16 December 2017 - 7pm

Museolaboratorio Città Sant’Angelo, Pescara

As I reread the text Daniela d'Arielli sent me, I felt it my ethical duty to leave it as is, as a profound gift of the Artist.

Amare, the Italian word for love, is pronounced [aˈmaː.re]

A mare, also means “to be at sea”

The chemistry of the sea intertwines all the works I present here: two paintings taken from an underwater photo and twenty prints made using the salt paper technique, which consists of dipping a sheet in a solution of sodium chloride and then in one of silver nitrate. By reacting, these two substances produce silver chloride, an unstable substance in the light.

Instead of sodium chloride I have used sea water (which I collected in Acquabella, a place on the Abruzzo coast near Ortona, my family's place of origin), my sweat and my tears; all salt solutions.

The sea is similar to the sweat of the body; and on my body I placed the paper to print.

So water meets the materiality of body and fatigue; as in cargo ships.

The sea merges with sweat as labor with money (which in paper form is also called "liquid"): this is why the briquettes that support the photographs are made from shredded banknotes. Banknotes as green as the water of Conakry in New Guinea, where the photos were taken.

On this element, liquid and oneiric, the porthole acts as a passe-partout, by delimiting the image makes it possible to preserve it. So framed, you carry the photos of your loved ones with you, enclosed in a pendant. My pendant is made from mytilus galloprovincialis; it contains a small photo I printed using my tears. The Mediterranean mussel is both fruit of the sea and its purifier. The pendant has the shape of a drop and has a small mirror inside.

These images come from the trip I made in 2013 to Rio de Janeiro; I had been invited by the Graphos gallery:Brasil and its curator, Ricardo Luiz Duarte De Suouza, who accepted my proposal to travel to Rio by ship and to consider the time spent at sea as part of the residency.

The only woman in a crew of twenty-six people and two other passengers, I left from Le Havre on board the cargo ship Grande San Paolo and after eighteen days at sea I landed in Rio de Janeiro. Traveling on a cargo ship is about loss of control, a resistance test. Time expands and space condenses into a clearly defined present, which was not yesterday and will not be tomorrow. This condition of total openness allows you to dive into an altered, perturbing and unconscious dimension.

A dimension of light and shadow, mystery and discovery, memory and dream.

Beyond the porthole of my cabin, the marine landscape; alien to every border, fixed yet ever-changing. Every morning at the same time, from the inside of my cabin, I would photograph that porthole. Months later, after my return from Brazil, I accidentally found a black-and-white photo taken and developed by my father during one of his long periods at sea. It is the photo of a porthole. Outside, the sea and the deck of a huge merchant ship.

It took me almost a year to organize this trip. I do not know whether it could be more difficult today because of new international marine laws and the complicated historical, political and cultural period we are going through. Never had I been on a cargo let alone a long trip at sea.

The sea is part of me, of my origins. I would see it as soon as I woke up, I would listen to it before falling asleep.

It was a line on the horizon to be contemplated, not something I had ever crossed.