Chiara Gullo / Raffaele Milazzo – Incursioni. Narrative primarie

Informazioni Evento

Luogo
PATRIZIA PEPE
Via Gobetti7/9 50013 Capalle , Firenze , Italia
Date
Dal al
Vernissage
16/01/2020

ore 17,30

Artisti
Chiara Gullo, Raffaele Milazzo
Curatori
Paolo Grassino
Generi
arte contemporanea, doppia personale
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Le mostre dedicate alla città di Palermo saranno due: la prima dal titolo Narrative Primarie con le opere di Chiara Gullo e Raffaele Milazzo e saranno esposte da gennaio a marzo 2020.

Comunicato stampa

Artisti invitati: Chiara Gullo (Palermo, 1991) e Raffaele Milazzo (Palermo, 1991).
Le mostre dedicate alla città di Palermo saranno due: la prima dal titolo Narrative Primarie con le opere di Chiara Gullo e
Raffaele Milazzo e saranno esposte da gennaio a marzo 2020, la seconda esposizione dal titolo Strutture Nomadi con le
opere di Gisella Chaudry e Germain Ortolani saranno presenti nella Hall degli edifici di Patrizia Pepe da aprile a giugno 2020.
Le due Mostre sono a cura di Paolo Grassino con il coordinamento dell’Art Direction Rosanna Tempestini Frizzi.
I primi due artisti invitati, di origine palermitana sono Chiara Gullo (Palermo, 1991) e Raffaele Milazzo (Palermo, 1992).
Entrambi hanno frequentato la Scuola di Scultura dell’Accademia di Belle Arti di Palermo avendo come docenti l’artista
torinese Paolo Grassino e l’artista palermitano Daniele Franzella. Con le loro opere tridimensionali propongono una rilettura
e una riflessione legata a oggetti domestici o a materiali industriali e come questi suggeriscono “strutture” per orizzonti
tragici legati all’attualità, esperienze intime racchiuse tra le mura domestiche o anche all’ambiguo equilibrio tra il ricordo e
amnesia con l’urgenza di abbattere le barriere fra sacro e laico.
Chiara Gullo e Raffaele Milazzo dimostrano una forte necessità di raccontare l’oggettività dell’esistenza, la ricerca di una realtà
che si fonda sulle esperienze intime racchiuse nel quotidiano di ognuno di noi si materializzano in “contenitori dell’infanzia”
per conquistare la liberazione di un segreto o di un’oppressione che ritorna nella memoria delle cose.
Chiara Gullo attraverso la meccanica stridula di megafoni che rievocano delle campane con suoni assillanti e dissonanti,
narra con tono propagandistico una protesta verso un conflitto interno mai risolto. Oscilla nei suoi lavori, fra sacro e profano,
fra tradizionale e non convenzionale, ascoltando l’eco di un’iconografia classica, vestendola di una modernità che non le
appartiene.
Indagando sul proprio vissuto, attraverso il movimento e i giochi di parole denuncia un continuo martellamento ideologico.
Nell’opera Preludio i megafoni ricordano le campane per richiamare i fedeli ma il suono che ne scaturisce è distorto e il
suo riverbero allontana invece di accogliere e raccogliere a se. Una sirena, un’ allarme, un grido per svegliare coscienze
dormienti.
Raffaele Milazzo nel suo lavoro analizza e si riconosce in oggetti d’uso comune come tazzine, piatti, sedie, tavoli e vestiti.
Questi elementi fanno parte di ogni nucleo familiare e proprio per questo sono colmi di memoria ma anche di volute amnesie.
Nelle sculture di Milazzo, gli elementi domestici si incastrano in forme soffocate e pressate o diventano altari preziosi in cui
lo scarto del vissuto torna nel presente, per dare una veste quasi rituale all’esperienza conservata. Le piccole cose di gesti
intimi ricostruiscono una micro-narrativa che parla di ognuno di noi. Oggetti sovrapposti e utilizzati come moduli, indicano
una condizione di ripetizione ossessiva, un gesto meccanico e inconscio che viene trasmesso quasi con naturalezza.
C’è un forte aspetto nell’intimista e personale, probabilmente legato ai tempi dilatati e solipsisti dell’infanzia, che si rifugia
nell’evasione per sfuggire alle forze del tempo. L’immagine sbiadita delle foto di famiglia e l’accumulo sistemico, donano alle
sculture l’aspetto di una presenza, che per certi versi può essere associata alla figura totemica e in alcuni casi patologica
della malinconia. In Ipertrofia il gesto ripetuto della madre nell’atto di piegare e ripiegare i vestiti stirati e poi appoggiati sulla
sedia, diventa un organo eccessivo, quasi architettonico, o meglio, un dispositivo per scandire il tempo.