CAST Collezioni d’Arte Scultorea del Territorio

Informazioni Evento

Luogo
CASTELLO VISCONTEO - MUSEI CIVICI
Viale XI Febbraio 35, Pavia, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Il
Vernissage
31/10/2015

ore 16.45

Generi
inaugurazione

La raccolta di Scultura moderna e Gipsoteca ha una consistenza di oltre 230 pezzi e si sviluppa in due sezioni distinte: la prima, dedicata alla Gipsoteca didattica, con repliche di opere antiche; la seconda, dedicata agli originali d’artista.

Comunicato stampa

La raccolta di Scultura moderna e Gipsoteca ha una consistenza di oltre 230 pezzi e si sviluppa in due sezioni distinte: la prima, dedicata alla Gipsoteca didattica, con repliche di opere antiche provenienti dalla Scuola di Disegno, Nudo e Incisione e da quella di Pittura, attive a Pavia per circa un secolo, dal 1838 al 1934; la seconda, dedicata agli originali d’artista - con sculture prevalentemente realizzate in gesso ma anche in marmo, terracotta, bronzo - che documenta la scultura a Pavia tra '800 e '900 con riferimento alle principali ricerche plastiche in atto in Italia e in Europa.
La differente origine e tipologia delle opere esposte, realizzate per la maggior parte in gesso, consente di conoscere le caratteristiche tecniche di questo materiale e i suoi molteplici utilizzi: i calchi dall'antico con funzione didattica e di ricerca, i modelli e bozzetti finalizzati alla realizzazione di opere in bronzo e marmo, le opere originali, dotate di autonoma forza espressiva, che sfruttano tutto il potenziale plastico della materia. Originali e copie dialogano armonicamente tra loro e il gesso acquista una doppia valenza: materiale autonomo o di supporto, secondo il caso. La gipsoteca diventa quindi il contesto privilegiato per approfondire il legame che intercorre tra i concetti di originale, modello, copia e replica.

La prima sezione raccoglie oltre un centinaio di gessi: calchi di sculture greche; calchi di statue ellenistiche realizzate tra il IV e il I sec. a. C.; ritratti romani; riproduzioni di opere di collezioni celebri, come la Venere de' Medici, il Satiro danzante, l'Arrotino, i Lottatori (dalla Tribuna degli Uffizi), l'Antinoo, lo Spinario, il Galata morente, la testa di Giunone Cesi (dai Musei Capitolini), l'Ermes in riposo, il Fauno ebbro, lo pseudo-Seneca dagli scavi di Ercolano.
A questi si aggiungono altri pezzi grandiosi, tra cui il Laocoonte e il Torso del Belvedere, presente in collezione in due esemplari di grande forza. I materiali esposti provengono dalle Gipsoteche didattiche di due istituzioni pavesi ottocentesche: la Scuola di Disegno e Incisione, aperta presso lo Stabilimento di Belle Arti Malaspina nel 1838 e diretta da Cesare Ferreri, e la Civica Scuola di Pittura, istituita grazie al lascito di Defendente Sacchi nel 1842 e attiva fino al 1934. Gli studenti delle due istituzioni pavesi (che furono riunite in un unico Istituto nel 1881) potevano conoscere la scultura antica ed esercitarsi nel disegno grazie allo studio diretto dei gessi delle statue classiche, collocate su basi in legno dotate di ruote per poter essere mosse con più facilità, di cui si conservano ancora alcuni esempi, tuttora funzionali.
La ricca collezione di disegni realizzati dagli allievi come prove di studio mostra come le sculture venissero analizzate da diversi punti di vista e con diverse condizioni di luce, cogliendo di volta in volta la tensione dei corpi in movimento, la bellezza classica, la potenza e l'espressività di modelli che hanno segnato tutta la storia dell'arte.
Tra gli esemplari didattici figurano anche copie di sculture del Rinascimento, in gran parte acquisite dalla Scuola di Pittura sotto la direzione di Giorgio Kienerk tra il 1906 e il 1909: il David di Verrocchio, lo Zuccone di Donatello, il Mosè di Michelangelo. Accanto agli straordinari esempi antichi, la Scuola di Disegno possedeva anche una serie di lastre tratte dal fregio con I Trionfi di Alessandro Magno del celebre scultore neoclassico Bertel Thorwaldsen, che riprende la decorazione in stucco eseguita per la Sala di Napoleone al Quirinale. Insieme alla copia della Testa di Elena di Antonio Canova, questo è l'unico caso in cui vengono prese a modello per gli studi accademici opere di artisti quasi contemporanei, riconosciuti come i campioni assoluti del Neoclassicismo a livello internazionale. A I Trionfi di Alessandro Magno è dedicato un ruolo da protagonista e un posto speciale all’interno dell’allestimento.

Il Laocoonte segna il passaggio alla seconda sezione, dedicata alla Scultura moderna, che presenta una significativa collezione di originali d'artista, realizzati principalmente in gesso, ma anche in terracotta, marmo, bronzo. Il percorso consente di avere una panoramica della scultura a Pavia tra la metà dell'Ottocento e la metà del Novecento, chiarendo anche i legami con le correnti artistiche italiane e internazionali, dal romanticismo al simbolismo, passando per il verismo e la scapigliatura.
L’allestimento si apre con una serie di ritratti e autoritratti d'artista che consentono di stabilire interessanti confronti tra alcuni scultori di primo piano della seconda metà dell'Ottocento, a partire dall'Autoritratto di Giovanni Spertini, realizzato nel 1880, e da quello di Giuseppe Dessi (recentemente riconosciuto), Commissario italiano dell'Esposizione internazionale del Centenario a Philadelphia nel 1876, vivaci ed espressivi ma ancora legati ad una modellazione plastica tradizionale.
Accanto a queste, è esposta una delle prime opere di Medardo Rosso (Torino, 1858-Milano 1928), che giunse a Pavia nel 1879 per il servizio militare e vi rimase anche oltre il congedo, fino al 1882. L'opera documenta le prime sperimentazioni di Medardo Rosso e i contatti con l'ambiente artistico locale, in particolare con il pittore Pacifico Buzio, di cui esegue un vivace ritratto in gesso, ancora parzialmente legato al gusto romantico, ma con una speciale finitura a cera, che diventerà il materiale plastico per eccellenza dello scultore. A completare la vivace galleria di volti d'artista, il busto scapigliato che ritrae il pittore Antonio Villa realizzato da Oliviero Ercole Rinaldi (1867-1943) e l'Autoritratto serio di Ernesto Bazzaro (Milano 1859-1937) - tra gli scultori più innovatori del secondo Ottocento - da cui sarà tratto il bronzo presentato alla prima mostra personale alla Galleria Centrale d’Arte di Milano nel 1917.
Il percorso prosegue suddiviso per autori. Sono raccolte le opere di Giovanni Spertini (Pavia, 1821 – Milano, 1895), come la Giovinetta con colomba e la Fanciulla che scrive, presentata nel 1867 all’Esposizione di Belle Arti di Brera. Si tratta di due opere che segnano lo stile realista romantico dello scultore, attento ai dettagli realistici dei volti e abilissimo nell'esprimere la sensualità femminile, catturata nell'intimità di un interno borghese o incarnata nella bellezza del nudo che sintetizza modelli classici e romantici. La monumentalità domina nelle due grandi sculture rappresentanti il Cristo risorto e l’Ecce Homo.
Compaiono poi numerose le sculture di Romolo del Bo (1870-1936): busti, bassorilievi, figure intere rivelano una speciale attenzione per un delicato simbolismo che guarda da un lato a Medardo Rosso, dall'altro ad Adolfo Wildt, pur senza spingersi in sperimentazioni formali altrettanto forti. Nel bassorilievo dedicato a Giuseppe Verdi, ad esempio, lo scultore esprime un sottile gioco simbolico: la personificazione della musica, con la lira in mano, si pone alla guida di una folla eterogenea, appena accennata, in cui si riconosce una madre col proprio bambino, un uomo in maniche di camicia, un operaio, altri uomini in abiti eleganti. Tra loro, si inserisce la figura del grande compositore, cui è riconosciuto il merito di arrivare a tutti, a prescindere dal loro strato sociale. Alcuni dei gessi esposti rappresentano una fase intermedia del processo creativo, essendo modelli preparatori per opere poi realizzate in marmo e bronzo, come nel caso di Elevazione, Enigma e Visione. In altri casi, sono conservate presso il museo sia la prova in gesso, come Malia, sia l'opera definitiva in marmo, poi intitolata Amalia: ciò offre la possibilità di accostarsi al procedimento che porta all'elaborazione della scultura, fatto di progetti, prove, ripensamenti.
Una parte dell’allestimento è dedicata al cimitero di Pavia e ai tanti monumenti destinati all'Ateneo pavese, una vera e propria palestra tra '800 e '900 per gli artisti del territorio e un fattore di richiamo per scultori di area lombarda e non solo, che si sono cimentati in prove di grande pregio, testimoniate dai molti gessi esposti, preparatori per opere finali in marmo e bronzo.
Si procede con Filippo Tallone (1902 - 1962), allievo prediletto di Giorgio Kienerk alla Civica Scuola di Pittura di Pavia, che si distinse fin da giovane partecipando - ancora in veste di allievo - alla Mostra Nazionale di Belle Arti a Milano del 1923 e l'anno successivo alla Biennale di Venezia e all’Esposizione della Società Promotrice di Belle Arti di Torino, dove venne anche premiato. La sua scultura, fortemente plastica, si mostra sensibile alle ricerche milanesi degli anni tra le due guerre, richiamando nei gessi e nelle terrecotte le straordinarie prove di Arturo Martini e Marino Marini, nei bronzetti la lezione di Luigi Broggini, con una figurazione più esile e tormentata.
Le opere qui esposte, caratterizzate da volumi pieni e da un’attenta semplificazione del modellato, reso più espressivo dal particolare trattamento delle superfici, testimoniano la capacità di fondere modelli classici e attenzione per il vero (specie nelle grandi Figure femminili, in cui la donna diventa una Venere moderna o nella scelta di personaggi qualunque, come il Pugile o il Tuffatore, che superano le suggestioni dell'antico lasciandolo in sottofondo). Ne risulta una galleria di personaggi di grande umanità, tanto nell'espressione dei volti quanto negli atteggiamenti delle figure intere, plasmate in dimensione reale oppure modellate in formati più contenuti, scegliendo di volta in volta materiali diversi, dalla pietra al gesso alla terracotta, che testimoniano anche la notevole padronanza tecnica dello scultore.
A chiudere il percorso espositivo sono Alfonso Marabelli (Pavia 1878 - 1937) ed Emilio Testa (Pavia 1906 - 1986). Il nutrito gruppo di opere di Marabelli documenta l'ispirazione liberty e il sottile sensualismo, nonché l'apertura alle varie correnti artistiche del suo tempo, espresse in una produzione straordinariamente ricca nel campo della scultura funebre e celebrativa: oltre a numerose lapidi per il Cimitero monumentale di Pavia, la tomba Dell’Acqua a Milano, il monumento funebre della famiglia Lanini-Schott in Svizzera. Nel 1934 vinse il concorso per il monumento al premio Nobel per la medicina Camillo Golgi, qui documentato in due bozzetti in gesso che si distinguono per piccole varianti. Marabelli morì due anni dopo l’inaugurazione del monumento di Golgi. In una fotografia dei fratelli Nazzari è ritratto nel suo studio, seduto al cavalletto, circondato da diversi dipinti e dalla statua della Venere de’ Medici, calco in gesso della celebre scultura classica che era stata a lungo studiata dall’artista quando era allievo della Scuola di Pittura di Pavia, come testimoniano i suoi disegni datati 1895.
Un nutrito gruppo di opere - piccoli bronzi, terrecotte e gessi - ben esemplifica l'attività di Emilio Testa. Ampiamente documentata è la ricca produzione di Testa come medaglista di fama internazionale, corredata da studi grafici e bassorilievi in gesso preparatori per il conio di medaglie celebrative e commemorative, tra cui spiccano quelle per J.F. Kennedy, e Charles De Gaulle. L’artista si misurò con le potenzialità espressive derivate da diversi materiali, con particolare predilezione per la terracotta, il gesso e il bronzo, caratterizzate da volumi semplificati e da una fresca spontaneità narrativa, che dimostra attenzione per le riflessioni condotte in quegli anni da Arturo Martini, sempre accompagnate dal ricordo della grande tradizione fiorentina del Quattrocento.

La forte presenza di bozzetti in gesso - preliminari alla realizzazione di opere in materiali più pregiati, come il marmo o il bronzo offre inoltre la possibilità di conoscere il processo che porta alla realizzazione di un'opera d'arte. All’origine di molte opere di scultura in bronzo o in marmo c’è infatti un modello in gesso, ottenuto a partire da un primo modello plasmato nella creta attraverso un procedimento tecnico che, nei suoi passaggi fondamentali, risale all’antichità greca. II passaggio dal modello in creta a quello in gesso si attua con la tecnica della "forma persa". La creta modellata, rivestita da un leggero strato di gesso rossigno (la cosiddetta "camicia"), viene ricoperta da uno strato di gesso bianco. Asportata la creta, si cola il gesso all'interno della "matrice" che viene infine distrutta, procedendo con la massima cautela al comparire della camicia. Dopo aver liberato il modello in gesso si fissano su di esso dei "punti" chiave (ancora visibili in molti esemplari qui esposti) come riferimento per le proporzioni da mantenere sull'opera definitiva.
I bozzetti in gesso, di piccole o grandi dimensioni, rappresentano dunque una fase di lavorazione intermedia dell'opera scultorea e sono una testimonianza preziosa dei vari momenti che scandiscono il fare artistico. Rispetto al passato, quando le opere in gesso non hanno goduto di grande considerazione perché ritenute solo delle copie in materiale 'povero', oggi si è compreso il loro valore formale e artistico in quanto testimonianza unica di modelli originali o di precisi momenti di lavorazione, imprescindibili per arrivare all'opera finita.
Inoltre, tra gli artisti dell'Ottocento e ancor più del Novecento non è rara la scelta di utilizzare il gesso come materiale primario dell'opera, concepita già in origine in gesso e poi rifinita con patinature a cera, olio di lino, gommalacca, per ottenere effetti lucidi, opachi o vellutati a seconda dell'intenzione dello scultore: è il caso di alcuni lavori di Giovanni Spertini, di Medardo Rosso, di Filippo Tallone, dotati di autonoma forza espressiva, in grado di esaltare il potenziale plastico ed espressivo del gesso.