Carlo Dell’Amico – L’anima che perse la memoria

Informazioni Evento

Luogo
MUSEO LA CASTELLINA
Piazza San Benedetto, 06046, Norcia, Italia
Date
Dal al

dal 16 aprile al 31 maggio, dal mercoledì alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18;
dal 1 giugno al 5 giugno, dal martedì alla domenica dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19

Vernissage
16/04/2016

ore 16

Artisti
Carlo Dell’Amico
Curatori
Claudia Bottini
Generi
arte contemporanea, personale
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L’associazione ASD “Progetto Arte” gestore del Museo civico e diocesano di Norcia in collaborazione con il Comune di Norcia e il Direttore del Museo Maria Angela Turchetti, ospitano la mostra delle opere di Carlo Dell’Amico.

Comunicato stampa

Mostra patrocinata da: Regione Umbria, Provincia di Perugia, Comune di Perugia, Accademia di Belle Arti di Perugia.
Inaugurazione sabato 16 aprile 2016 alle 16.00
Presentazione del catalogo: 14 maggio 2016 ore 18.00 Museo “La Castellina”. ADD-art edizioni, Spoleto; testi di Claudia Bottini e di Antonella Pesola

L’associazione ASD “Progetto Arte” gestore del Museo civico e diocesano di Norcia in collaborazione con il Comune di Norcia e il Direttore del Museo Maria Angela Turchetti, ospitano la mostra delle opere di Carlo Dell’Amico, dal titolo “L’anima che perse la memoria” a cura di Claudia Bottini, nella corte cinquecentesca del Vignola e in alcune stanze del primo piano che raccolgono i reperti archeologici romani (fine del IV – I secolo a. C.), le opere medievali e rinascimentali della collezione Massenzi tra cui la Vergine Annunciata di Jacopo della Quercia e il gruppo scultoreo dell’Annunciazione di Andrea e Luca della Robbia.
Carlo Dell’Amico ha più volte coniugato nuovo e antico all’interno di un rapporto di sempre nuova vitalità, dando origine ad un rinnovato equilibrio tra conoscenza ed entusiasmo dell’esperienza, una globalità di comunità condivisa generante una via aperta all’idea di museo contemporaneo tra antichità e mondo, avvolto dalle presenze in grado di manifestarsi anche verso l’esterno per una contaminazione in cui siano presenti un amore e un’uguaglianza, come sintesi per tutti i segni dell’uomo oltre i tempi. Nei lavori dell’artista i processi di significazione sono quasi sempre delineati da delle esigenze separate rivolte ad individuare il rapporto concreto con l’esperienza comunicativa e l’individuazione del senso che la tradizione della conoscenza lasciano sedimentare anche incidentalmente attraverso le testimonianze. I lavori presenti in mostra ci parlano di un rapporto simbolico all’interno di un percorso in cui opere realizzate tra il 1988 e 2016 diramano il loro racconto in trasformazione, e l’utilizzo degli strumenti cari alla storia della comunicazione ancestrale rivivono i codici formali e concettuali tra dentro e fuori il proprio spazio.
Dell’Amico si rivolge alla contemporaneità penetrando la struttura dinamica dei contesti, in cui lo scambio all’interno dei livelli di crescita risulta oscillante dall’insieme dei modelli simbolici alla simbolicità del reale. Punti che si rivelano determinanti per una comprensione del sé e per l’identità di ogni cultura. I processi di significazione dell’opera dell’artista, sono sempre attraversati da necessità distinte. L’intervento dell’artista al Museo La Castellina ci offre la possibilità di sperimentare il senso profondo della città di Norcia, depositaria del testamento spirituale di San Benedetto, la cui regola resta il fondamento del monachesimo occidentale. L’artista attraverso un’estensione narrativa rappresenta una veglia sul proprio percorso, chinato ad evocare la causa attiva aliena; tutti gli elementi di questa mostra si traducono in un silenzio passo dopo passo verso la via angusta. Dell'Amico cerca di individuare il fine di farsi uguali alla sostanza ultima dell’esperienza umana, dove non esistono e non esistevano, in un ipotetico nostro principio, le immagini di quella esperienza, una tabula rasa di ogni cosa e pensiero rivolto alla sua applicazione esteriore.

CARLO DELL’AMICO
nasce a Perugia nel 1954, ha sempre elaborato un complesso universo di segni e simboli, nel quale la presenza ricorrente di frammenti o reperti concorrono alla ricerca di un senso vitale di un’origine; dagli esordi del suo lavoro, l’arcano nel suo abisso insondabile di semplicità, risulta essere per l’artista introvabile con il solo aiuto del raziocinio.
Sulle tracce primordiali e fino alla condizione attuale, il suo rapporto con il presente, (che non può ritenersi esclusivamente contemporaneo) avvalendosi di un’ipotesi di sospensione dagli accadimenti, sin dagli anni 70 fino ai primi anni 80, vive la contaminazione dei linguaggi della storia, legata alle sue origini, che entrerà a far parte di un codice espressivo globale che rappresenta in tutti gli aspetti della sua ricerca, vissuta in una realtà del tutto autonoma. In questi anni l’artista affonda la sua “spada” nel tessuto della tenebra degli ipogei etruschi per carpirne i segreti di quell’esperienza, di quel sacro, che è il vuoto tra la presenza dello spirito nel nostro corpo e l’aspirazione verso l’immanenza; appropriandosi di quell’“edificio”, in cui la “lettera” e quell’universo di segni iniziali perdono senso. La mutazione dei mezzi espressivi e l’uso dei linguaggi mediali, concorrono intorno agli anni 2000 alla smaterializzazione del suo mondo creativo le cui energie sono impiegate nel processo di decodificazione di un’assenza contaminando opera e ambiente, che rimarranno sempre allusivi e sottesi alle regole auree di una “geometria” generativa, concetti espressi nella performance e nell’installazione del 2006 al Mlac dell’Università La Sapienza di Roma e al Museo del Tuscolo nelle Scuderie Aldobrandini di Frascati.
Nel 2005 l’artista ci offre attraverso la contrapposizione di due radici d’albero l’una discendente e l’altra ascendente, una nuova rappresentazione simbolica dell’alto/basso, i due elementi nell’intersezione formano una croce di cui essi costituiscono l’asse verticale e la linea orizzontale sulla quale si incontrano, il centro, unisce i gradi dell’esistenza che nell’orizzontalità trovano il proprio sviluppo, quello del linguaggio umano trasceso nella verticalità.
L’artista in quest’opera usa una radice di rosa e l’altra di un bonsai di olmo, per rendere percettibili le proporzioni sullo stesso piano di grandezza, che si faranno carico di una moltitudine universale, ordito e trama, condensazione e dissoluzione, già completati in origine.
Nel suo iter si manifesta il desiderio di adattare le opere, ricreando lo spazio del lavoro in luoghi o circostanze atte a garantire un maggior isolamento, inteso come dilatazione della condizione temporale, uno degli esempi è la proiezione nel 2008 di una sagoma di albero con le radici rivolte in alto sulla facciata della Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi, in cui i punti simbolici racchiusi nell’architettura di quell’edificio attraggono le ramificazioni un tempo sotterranee di quell’elemento: quel bonsai restituisce la sagoma di un albero reale. Nelle personali che seguono, nel 2009, Riportati alla luce lentamente a Palazzo Taverna di Roma, predispone la ricostruzione di una “Stonehenge”, in cui l’artista sostituisce ai monoliti, prismi di plexiglas con all’interno radici capovolte di colore azzurro recise all’altezza del pleroma, immerse in una luce di plenilunio ricreata dai neon blu fluorescenti, impietrite nelle polveri della storia umana. Tra il 2009 e il 2010 realizza l’installazione nel complesso museale di Montone, Eadem mutata resurgo, dove l’artista dispone su una griglia metallica riproducente la progressione della sezione aurea, che allude a una trabeazione, una serie di radici inscritte in un virtuale timpano di un tempio, in rapporto alla scena della Deposizione lignea duecentesca. Nel 2012 a Palazzo Schifanoia a Ferrara e successivamente al Museo Archeologico a Terni istalla delle grandi gabbie d’acciaio all’interno delle quali gli elementi radicali sono trattenuti in una sospensione regolata da tracciati sovrapposti dal reticolo del SATOR. Nel 2014, Polvere di Sole, ripropone una serie di istallazioni analoghe, nelle stanze della Pinacoteca Stuard a Parma che culminano il percorso nel centro del chiostro con un happening dove i visitatori sono protagonisti all’interno di un cubo d’acciaio.