Atto Primo

Informazioni Evento

Luogo
MUSEO CARLO ZAULI
Via Della Croce 6, Faenza, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
08/11/2025

ore 18,30

Curatori
Gaspare Luigi Marcone
Generi
arte contemporanea, collettiva

Atto Primo è la mostra che nasce dal Progetto Curatore in Residenza, il percorso, che per la prima volta, mette al centro un curatore: Gaspare Luigi Marcone: atti audiovisivi, esplorativi, performativi, scultorei.

Comunicato stampa

ATTO PRIMO
atti audiovisivi, esplorativi, performativi, scultorei di:
Nina Carini
Stefano Comensoli_Nicolò Colciago
Andrea Francolino
Goldschmied & Chiari
Fabio Roncato
a cura di Gaspare Luigi Marcone
dal 9 novembre 2025 al 9 febbraio 2026
inaugurazione: sabato 8 novembre 2025 ore 18.30
Progetto realizzato con il contributo della Regione Emilia Romagna l.r.2 / 2022 e con il contributo e la collaborazione di
Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e del Comune di Faenza
ATTO PRIMO è – contemporaneamente e temporaneamente – l’inizio e la fine, l’alfa e l’omega, di un contesto più
articolato e potenzialmente infinito; il progetto espositivo ATTO PRIMO rientra nel Progetto Curatore in Residenza
voluto da Matteo Zauli direttore del Museo Carlo Zauli di Faenza. Per la prima volta, infatti, è stato ospitato in
residenza un curatore, Gaspare Luigi Marcone, che ha sviluppato ricerche archivistiche, storico-critiche, riflessioni e
perlustrazioni sull’arte e la storia di Carlo Zauli e il relativo Museo, su Faenza (neonominata “città creativa”
dall’Unesco) e il suo territorio, sui protagonisti del suo contesto ceramico e più largamente culturale e sociale. Il
curatore, partendo da questi presupposti, ha deciso di condividere queste esperienze selezionando un gruppo di artisti di
diverse generazioni, formazioni ed estrazioni che attuano pratiche artistiche eterogenee, ma legati da alcuni
denominatori comuni.
ATTO PRIMO è un “atto” che diviene un “attimo”. Un attimo che diviene eternità. Un atto e un attimo che sono fugaci
e persistenti, leggeri e profondi. ATTO PRIMO può evocare un’atmosfera teatrale, una “messa in scena” come progetto
allestitivo, ma è anche realtà e concretezza operativa, può profumare di filosofia aristotelica o scolastica, ma ogni artista
crea una propria nuova filosofia.
Quasi tutti gli artisti invitati dal curatore erano al loro primo confronto con la ceramica o alla prima esperienza di lavoro
con Faenza e il suo territorio. ATTO PRIMO è, dunque, un titolo polisemico, è il primo atto del progetto che potrà
estendersi per altre vie, è “primitivo” e “primordiale” come la storia della ceramica, come l’atto di lavorare e plasmare
l’argilla. Molti artisti invitati, inoltre, hanno concretizzato veri e propri “atti artistici” (rotture, calchi, registrazioni,
esplorazioni, restituzioni). Il progetto si è sviluppato come un laboratorio, con continui soggiorni, da parte del curatore e
degli artisti, presso Faenza, in un processo di collaborazione attiva con gli esponenti del Museo Carlo Zauli e altre realtà
e figure del territorio come Associazione Mondial Tornianti Gino Geminiani, Ceramica Gatti, Manifatture Sottosasso,
Paola Nuovo Gomez / Studio Lemure, Elio Secondo, Pier Paolo Garavini Ceramiche. Questa matrice laboratoriale è
indicativa nella prima sala espositiva, la sala dei forni del Museo al piano terra, nella parte più storica dell’edificio,
concepita in modo sinfonico, dove sono raccolti alcuni lavori di tutti gli artisti coinvolti nel progetto, per poi estendersi,
come note su un pentagramma, nelle altre sale del Museo in dialogo con i lavori di Carlo Zauli.
Nina Carini (Palermo, 1984) ha sviluppato con la sua consueta forza e delicatezza un progetto articolato in tre atti,
assorbendo e amalgamando con la sua raffinata sensibilità, quasi per osmosi, paesaggi e sculture, suoni e materie,
memorie e pensieri nei giorni di permanenza nel territorio faentino. I tre lavori potrebbero essere visti come tre micro-
installazioni o anche “installazioni intime” che riflettono su tre grandi protagonisti dell’arte del Novecento. Paysage
intime – A fable to Etel Adnan (2025) è un lavoro audio composto da estratti del suo diario e registrazioni sonore –
avvenute in uno dei contesti operativi dell’artista ovvero presso le Manifatture Sottosasso di Brisighella – che creano un
dialogo a distanza tra le due artiste. Paysage intime – A fable to Ettore Spalletti (2025) composta da una lastra
sottilissima di porcellana paper clay, sculture in alabastro azzurro e ovatta di cotone è un omaggio lirico al maestro del
colore, simulando i “gesti” delle mani e delle braccia dei due artisti coadiuvati dalle forme montuose del paesaggio.
Infine, Paysage intime – A fable to Carlo Zauli (2025) è un nuovo dialogo tra gli artisti e la natura; una forma in
porcellana di Limoges che evoca una montagna e un corpo femminile – ottenuta modificando un’ideale scultura di Zauli
mai realizzata il cui gesso è stato danneggiato dall’alluvione di Faenza del 2023 – accoglie lo stampo di un fossile
ingigantito come ciclico percorso di origine, gestazione, eterno ritorno nel lungo, e a volte drammatico, percorso
geologico e dunque artistico.
Stefano Comensoli_Nicolò Colciago (Milano, 1990 – Garbagnate Milanese, 1988) sono esploratori, avventurieri,
artisti-raccoglitori che riformulano oggetti, memorie, scenari. Perlustrando vari paesaggi del territorio faentino – musei,
fabbriche, siti archeologici e naturalistici – hanno prodotto un notevole nucleo di lavori dove il processo-oggetto
ceramico si armonizza – concettualmente e materialmente – nella loro prassi canonica. I nuovi esemplari di Fiori fuori
posto (MIC), (2025) si innestano in un ciclo già noto, dove, in questo caso, piastrelle trovate, vecchie cartoline del MIC
– Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza e incisioni al laser, diventano un memoriale sui generis della città e
dei suoi luoghi culturali e produttivi. In Terraforma (2025) oggetti dell’evo moderno sono divenuti forme in argilla
azzurra poi restituite, con un atto performativo, nel ventre dei calanchi faentini; dell’operazione restano i gusci vuoti
degli stampi in gesso e le fotografie come documenti dell’azione poetica. Nella serie Sigillo (Ancora una volta), (2025)
partendo da una vecchia scatola di derivazione in porcellana, recuperata in una delle loro perlustrazioni, hanno
riconvertito la forma e la funzione dell’oggetto industriale; gli elementi ottenuti in terracotta sono l’epicentro da cui si
diramano tubi, colorati e aggrovigliati, che trasmettono e convogliano energia creativa.
Andrea Francolino (Bari, 1979) ha sviluppato, seguendo una delle direttrici primarie del suo percorso, lavori
“frantumati”, crepe e rotture che riformulano la violenza e la ferita in elementi generativi alla ricerca degli equilibri tra
l’essere umano e la natura in senso universale. Vaso infinito (2025), in tre versioni diverse ovvero date da tre dimensioni
differenti dei vasi originari, è un lavoro sviluppabile potenzialmente all’infinito. Partendo da due vasi in terracotta, dalle
forme semplici, tradizionali, quotidiane, uno è stato frantumato lasciandolo cadere al suolo; da uno dei frammenti è
stata elaborata la forma di una seconda coppia di vasi (uno dei due vasi contiene all’interno il frammento che li ha
generati); di questa nuova coppia un esemplare è stato a sua volta frantumato e dal cui frammento è stata generata una
terza coppia di vasi avviando così una successione dialettica tra distruzione e ricreazione. Nelle nuove Crepe (2025)
vagando per le vie di Faenza, Francolino ha realizzato un’altra versione di un suo ciclo ormai noto, ricalcando le rotture
e le ferite del manto urbano, ma in questo caso usando un materiale inedito del suo lessico ovvero sottili strati di
porcellana paper clay, frammenti impuri di un atto puro, che “mappano” – grazie anche alle coordinate satellitari, date,
luoghi e orari – le vere tracce della città. Minuto #16 (2025) è una videoproiezione di sessanta fotografie digitali di
crepe, raccolte sul territorio durante la residenza, scandita sulla fotografia panoramica dei calanchi che diventa quinta e
scenario dell’installazione lanciando un messaggio sull’equilibrio ambientale e sociale, filosofico.
Goldschmied & Chiari (Sara Goldschmied, Arzignano, 1975 – Eleonora Chiari, Roma, 1971) hanno elaborato opere
fitomorfe e zoomorfe che riformulano alcuni lavori concepiti nel corso degli ultimi anni con nuove riflessioni e
suggestioni maturate nella residenza faentina. Sacerdotesse laiche della gioia e della vita, nel ciclo Magnifica (2025)
hanno tradotto, con sovrapposizione di smalti a base borica e selenio su grès, forme sensuali e mostruose che evocano
bocche e labbra, di piante e di donne, amalgamando stimoli eterogenei – dall’Inno a Iside, datato variamente tra il IV e
il II secolo a.C., all’idea di una natura lussuriosa e lussureggiante – entrando, indirettamente, in dialogo anche con
alcuni celebri lavori di Carlo Zauli come i vasi “sconvolti”. Il nuovo lavoro Superfici sensibili (2025) parte anch’esso da
una riflessione ancestrale, sacrale, da esperienze vissute con il corpo e con la visione, ovvero dalla figura primordiale
del “serpente”, figura polivalente foriera di innumerevoli concetti e messaggi; le “piastrelle” che compongono questo
lavoro in divenire si possono estendere all’infinito, in una partenogenesi tutta creativa. Un progetto che nasce da una
riflessione sulla pelle come soglia sensibile e come narrazione prelinguistica: il sentire diventa un modo di conoscere e
di raccontare prima ancora delle parole.
Fabio Roncato (Rimini, 1982) ha lavorato, come da sua poetica, sulle “energie” della natura e dell’arte. Un grande
ciclo di lavori, sculture sinuose e aptiche, in varie cromie e dimensioni – usando anche materiali, polveri, ossidi raccolti
nei decenni da Carlo Zauli – intitolato Sleeping Motors (2025) è un distillato del suo percorso. L’artista ha operato
aggredendo la morbida argilla con strumenti usati tradizionalmente per lavorare i metalli (ceselli, mole elettriche); la
sproporzione di energia cinetica rispetto alla delicatezza della terra genera un’azione penetrante e tagliente, e il suo
slancio fisico, corporeo, ha paradossalmente concretizzato le ferite in forme armoniche, avvolgenti e coinvolgenti, che
possono evocare venti, onde, nubi, monti. La terra, infine, appare dormiente, con una forma che si fa contenitrice di
un’energia che l’ha attraversata per un istante soltanto.
Nel corso dell’allestimento di ATTO PRIMO il curatore ha diffuso nello spazio espositivo la cenere ottenuta bruciando i
suoi appunti manoscritti del progetto. Un atto solitario che contiene moltitudini.
Per la realizzazione del progetto il curatore e gli artisti desiderano ringraziare: i membri e lo staff del Museo Carlo
Zauli, Associazione Mondial Tornianti Gino Geminiani, Ceramica Gatti, Manifatture Sottosasso, Paola Nuovo Gomez /
Studio Lemure, Podere La Berta, Elio Secondo, Pier Paolo Garavini Ceramiche, Deborah Bandini, Annalisa Conte,
Miriam Fabietti, Hernan Lombardo, Marco Malavolti, Annalisa Marcone, Lorella Morgantini, Karina Popova, Roberto
Reali, Davide Servadei, Riccardo Servadei, Erica Stanzani.