Arrigo Del Rigo – Inquietudine e poesia del primo Novecento

Informazioni Evento

Luogo
MUSEO DI PALAZZO PRETORIO
Piazza del Comune, 1 , Prato, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

tutti i giorni 10,30 - 18,30, Giorno di chiusura: martedì

Vernissage
21/01/2017

ore 16

Artisti
Arrigo del Rigo
Generi
personale, arte moderna

Una nuova esposizione temporanea dedicata all’enfant prodige della pittura pratese.

Comunicato stampa

Un passaggio veloce che ha lasciato un solco profondo, Arrigo Del Rigo ha attraversato la storia del primo Novecento segnando il panorama artistico del suo tempo con una traccia indelebile. Oggi al pittore pratese, precocemente scomparso a soli 24 anni, il Museo di Palazzo Pretorio dedica la retrospettiva Arrigo del Rigo. Inquietudine e poesia del primo Novecento che viene inaugurata sabato 21 gennaio alle 16.
Il nuovo allestimento temporaneo, che si inserisce nel percorso tracciato dalle due esposizioni appena concluse, dedicate a nuclei di opere solitamente conservate nei depositi, vuole non solo rendere pubblica la recente acquisizione del Fondo Arrigo del Rigo, ma anche ricordare le suggestioni pittoriche di un artista che attraverso scorci, vignette e ritratti sembra parlare costantemente della sua Prato. L’esposizione attraverso 49 dipinti annoda i fili di un racconto che rivela un interesse per episodi di vita quotidiana e che si dipana fra i luoghi, gli affetti e le vicende del pittore pratese tragicamente morto, probabilmente suicida, nel 1932. Scene di vita nelle quali l’osservazione della realtà fa emergere una tenera ironia animata, di fondo, da una velata poesia. Ad affiancare la trama del racconto, lungo il percorso espositivo, ci sono le testimonianze di chi ha conosciuto Arrigo Del Rigo, a partire dagli amici della Scuola di Prato, il gruppo di artisti composto da Gino Brogi, Oscar Gallo, Quinto Martini, Leonetto Tintori e Giulio Pierucci che con Del Rigo hanno condiviso l’amore per l’arte declinata nelle diverse modalità espressive.
Il nuovo omaggio alla suggestiva poetica di Del Rigo è stato reso possibile anche grazie al Rotary Prato “Filippo Lippi” che ha finanziato il restauro di quattro dei dipinti esposti, tra cui il bellissimo Autoritratto del 1931, a cura di Rossella Tesi. Oltre ai dipinti della temporanea, infine, al terzo piano del Museo è possibile ammirare fra i quadri della collezione permanente due opere di Arrigo Del Rigo: Autoritratto, 1927 e Il Ponte Petrino, 1931.

ARRIGO DEL RIGO - Nasce a Prato il 14 giugno 1908. Nel 1920 la famiglia si trasferisce a Corfù, dove rimane sicuramente fino al 1921. Sono di questo periodo le sue prime pitture di paesaggio che rivelano un’acerba sensibilità e una precoce passione per l’arte. Al rientro in Toscana, dopo aver soggiornato brevemente a Venezia, si iscrive all’Istituto d’Arte di Porta Romana, dove il pittore Giovanni Costetti “lo educa al gusto dell’impasto liquido e dell’asciutta, quasi secca fattura” (Parronchi, 1956). Gli anni dal 1922 al 1925 sono quelli di rigorosa formazione, insieme a compagni di talento come Giorgio Romani e più tardi Bruno Becchi e Mario Maestrelli. In questo periodo si cimenta in paesaggi, dall’accento quasi sognante, avvolti in una luce ovattata e intima (Sant’Anna, 1925; Paesaggio di sera, 1925). L’attenzione verso la figura umana diventa sempre più presente nella sua opera dove comincia a emergere in alcuni ritratti (La cugina, 1926; La madre 1927) un forte coinvolgimento psicologico, risolto all’interno di un autentico realismo toscano. Sarà l’amicizia con Ardengo Soffici, che conosce nel 1927, a rinforzare l’insegnamento artistico della scuola e a segnarne la nascita come artista. Parronchi (1956) sostiene che Soffici lo avrebbe indirizzato verso la “monumentalità” dei ritratti dei familiari (Il nonno, 1927) e la “infinitesima costruttività” delle nature morte. Gli stessi valori plastici sono presenti in alcuni paesaggi dello stesso periodo (La casa rossa, 1927).
Il 1927 segna la collaborazione di Del Rigo con “Il Selvaggio” di Mino Maccari con un disegno, seguito nel 1928 da cinque disegni e incisioni: d’ora in poi sono molteplici le occasioni d’ispirazione artistica per Del Rigo, che rivela un interesse non del tutto scontato per episodi di vita quotidiana, che esalta attraverso la ritualità dei piccoli gesti e la narrazione bonaria. Emerge sempre più la sua attenzione verso l’esistenza umana, che egli valuta con accenti di tenerezza e partecipazione, senza malignità o risentimento, filtrata attraverso gli occhi di un poeta.
Dall’aprile del 1929 il pittore presta servizio militare nel I Reggimento Granatieri di base a Roma, Riofreddo e Parma: è un periodo sereno, in cui non mancano le soddisfazioni anche sul lavoro. Lui stesso in una lettera da Parma del 17 settembre del 1929 ne parla con toni entusiastici: “Devo fare delle decorazioni per la casa del Granatiere con degli stemmi, figure e fregi. Un lavoro di soddisfazione… Si sta come papi. La città è simpatica e calma; mi ricorda anzi per questo lato la mia città di Prato dalle costruzioni semplici e serie, le piazze vaste e un fiume sassoso come il Bisenzio”.
Al ritorno a Prato trova invece un clima di contrarietà e ostilità politica. Nel marzo del 1931 viene accusato di attività sovversiva e incarcerato per pochi mesi. Insieme a lui alcuni amici - Oscar Gallo, Leonetto Tintori, Dino Fiorelli - che si ritrovavano dal sarto Zola Settesoldi per parlare d’arte e di politica. Da quando viene liberato fino alla morte non è più sereno come un tempo: i sospetti del regime e la preoccupazione per un futuro instabile e incerto logorano intimamente il giovane pittore, che continua a lavorare con una consapevolezza animata da una forte inquietudine (Ritratto del padre, 1931-32). La fine, inaspettata, giunge il 26 febbraio del 1932.
Il 26 febbraio del 1932 Del Rigo morì in un’aura di tragedia e di mistero. Così modesto e candido com’era, egli non fu forse sorretto nel momento fatale, dalla coscienza del proprio valore. La sua morte prematura privò i parenti di un figlio benamato, gli amici di un compagno indimenticabile, l’arte italiana di una luminosa speranza. (Ardengo Soffici, 1939).