Annamaria Targher – Berg. Breve ma intensa storia di un’ossessione

Informazioni Evento

Luogo
IL LABORATORIO DELLE ARMONIE
Via San Procolo 1, Verona, Italia
Date
Dal al

mart. – dom.: 09.30 - 12.30 / 15.00 - 19.00 / lunedì chiuso

Vernissage
14/05/2016

ore 18

Artisti
Annamaria Targher
Generi
arte contemporanea, personale
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Annamaria Targher compone la sua nuova esposizione personale con quella particolare immagine fissa che, suo malgrado e come un’ossessione, le si è parata davanti agli occhi sin dalla più tenera infanzia: il monte Bondone con cima Tosa (gruppo del Brenta).

Comunicato stampa

Annamaria Targher compone la sua nuova esposizione personale con quella particolare immagine fissa che, suo malgrado e come un’ossessione, le si è parata davanti agli occhi sin dalla più tenera infanzia: il monte Bondone che sovrasta morbidamente la città di Trento, ma, ancor più, la forma preferita e così intimamente cara, di cima Tosa (gruppo del Brenta), soffice e languida come un panettone, monumentale ed altera da essere assurta ad icona, cui rivolgersi con deferenza.
Già dai primi lavori, è proprio quest’ultima connotazione che detterà l’approccio al tema. Le montagna sono dei blocchi pesanti, immutabili, rilevati in tutta la loro perentoria volumetria e che si stagliano su uno sfondo quasi illanguidito da tale icastica presenza: come se l’artista non potesse rinnegare un proprio padre spirituale, Paul Cezanne, ripercorso, nelle sue elucubrazioni mentali, dal percorso narrativo che ne ha fatto Peter Handke in quel magnifico libro tradotto in Nei colori del giorno, che altro non è che il riscontro di un’ascesa, di un confronto con ciò che sovrasta e domina.
I primi piani della serie Berg (fatti di prati e boschi), invece, diventano impudicamente frastagliati: un bizzarro coacervo di pennellate, utili solamente a loro stesse (alla loro dignità e bellezza), piuttosto che a una resa generalmente mimetica del paesaggio.
Targher sembra liberarsi di questa autentica ossessione (che è, in realtà, una battaglia già perduta in partenza), nel momento in cui la concentra in piccole tele. Il disegno preciso, denotativo (non più connotativo) e noiosamente pedissequo, sembra poter smorzare l’ansia indicibile che monta nell’accorgersi che le montagne sono inarrivabili, indicibili. Nelle grandi tele, si registrava solo che lo spasmo, ora, il piccolo formato offre la banalità di una buona e fedele riproduzione, che viene vanificata, (meglio, fatta saltare in aria) dall’introduzione di colate di dubbio gusto: pop.
Uno sfregio cosciente, anche se, sempre di sfregio si tratta.
Qui, Targher si ferma, getta la spugna.
Molla e saluta per sempre l’agognato soggetto, nella coscienza che il miracolo è avvenuto: nel ripercorrerle, le Montagne, le ha anche, finalmente, possedute. Possedute per sempre.