Andrea Pacanowsky – All’infuori di me
Andrea Pacanowski presenta a Spoleto – all’interno del programma ufficiale del Festival dei Due Mondi – una quindicina di lavori fotografici.
Comunicato stampa
Chi non si è cimentato, almeno una volta, con un puzzle da centinaia di tasselli? Ricorderete le immagini che di solito compongono il mosaico: vincono i paesaggi a campo lungo e le visioni panoramiche in genere, con una quota maggiore per le nature incontaminate, gli spot culturali e le folle umane. Il puzzle racchiude, involontariamente, il senso dell’immagine odierna: la disintegrazione di un ordine da riassemblare somiglia ai passaggi tra analogico e digitale, ai trasferimenti tra device e stampa, ai legami tra alta e bassa definizione… la natura analogica del puzzle tocca il close-up e le profondità di campo, le staffette tonali tra zone di colore, fino ad integrare il glitch (l’errore di posizione del tassello) come ulteriore possibilità esplorativa.
Andrea Pacanowski presenta a Spoleto - all'interno del programma ufficiale del Festival dei Due Mondi - una quindicina di lavori fotografici. All’infuori di me inaugura Sabato 30 Giugno 2018 alle ore 12.00 presso Palazzo Collicola Arti Visive ed è curata da Gianluca Marziani, in collaborazione con Miliza Rodic.
L'esposizione è inserita nel programma ufficiale del Festival dei Due Mondi ed è aperta al pubblico fino al 7 Ottobre.
La mostra raccoglie masse umane, corpi in ordine militaresco, gente in uniforme, gruppi rituali. Sono pattern collettivi che provengono, in particolare, dal consesso religioso in esterni, dai luoghi d’aggregazione dei culti monoteistici più diffusi. Le foto racchiudono tasselli d’umanità in un telaio geografico che gioca con l’astrazione pittorica e le iconografie del web, creando un cortocircuito estetico di alta fattura, mantenendo la purezza dell’analogico come potenziale mimetico (simulare tecniche digitali attraverso il talento analogico è un passaggio nodale nella fotografia contemporanea). Quei corpi riguardano le inquietudini del nostro tempo, i confini della libertà, la necessità di una guida spirituale, la ricerca di condivisione… tutti temi di portata storica e pregnanza politica, centrali in un’epoca così narcisistica, narrati da Pacanowski con abilità estetica e intelligenza concettuale.
Una fotografia dal risultato pittorico, modulata per ritmi e griglie, dove il colore diviene struttura plastica, dove il ritmo comprime il dinamismo interno dell’immagine. Pacanowski, attraverso l’ambiguità ottica del puzzle, sfida il pubblico alla visione mobile in avanti e indietro, per definire la messa a fuoco, per sciogliere le ambiguità retiniche che le immagini contengono. Le opere sono puzzle fotografici che rompono diverse certezze su usi e abusi del digitale. Secondo l’autore ogni scatto è un viaggio unico dal senso analogico, un’immersione lenta che richiede conoscenza tecnica, invenzione, ribaltamento di regole in apparenza immobili. L’immagine finale è il risultato di riprese, combinazioni, luci di scena e altri trucchi che il nostro ha affinato nel contesto della Moda, il suo luogo d’origine professionale, spazio di crescita tecnica ma anche di perfezionismi robotici senza emozioni. Pacanowski sentiva il limite del set e della post-produzione, del digitale come dittatura patinata: ed eccolo sfidare la messinscena elettronica, preferendo i codici lenti di un habitus interiore, dove la pelle fotografata si tramuta in geografia complessa, dove colori e tonalità definiscono l’invisibile, dove graffiature e segni amplificano l’energia iconografica. Le sue azioni sono scie sonore che mappano le armonie sinuose, localizzano dettagli, ampliano i segnali emotivi dietro un corpo. La fotografia prende qui il ritmo lento del pennello, rivelando una qualità metafisica che ci conduce in un rituale misterioso, ascetico, fatalmente spirituale.
La mostra a Spoleto entra così nel cuore dei culti monoteisti: Cristianesimo, Ebraismo, Islam. Un viaggio fotografico che racconta le metodiche spontanee dei grandi raduni, secondo un approccio che coglie gli equilibri gravitazionali, le scale cromatiche, i ritmi sincretici, le armonie collettive. Un’analisi per mostrare il valore etico di ogni religione, la possibile convivenza tra diversità, l’importanza del dialogo come cardine di una rifondazione universale. La fotografia di Pacanowski ribadisce tutto ciò, e lo fa con un’energia estetica che rompe il giudizio di merito, annullando i termini di superiorità e inferiorità, i pericolosi personalismi, le manie estremiste. Qui si parla di armonia e libertà, di uomini e donne che camminano sullo stesso Pianeta, respirando lo stesso ossigeno, inseguendo gli stessi sogni, in cerca di quella cosa indistruttibile che ovunque si chiama Amore.
E’ la fotografia che riprende la sua essenza analogica ma con il meglio che la stampa e i supporti possano offrire. Non è un ritorno alle origini ma l’origine di una continuità possibile, è la resistenza del fattore umano che orchestra frammenti di bellezza universale. Una bellezza che ci parla di religioni e sincretismo, che entra nel cuore caldo del Pianeta da una porta di liberazione dei contenuti. Andrea Pacanowski ci invita nelle sue tessiture ritmate, nelle moltiplicazioni di ogni singola diversità, nel rumore cromatico di una visione che coinvolge ognuno di noi. Perché, come dice il titolo, all’infuori di me ci sono sempre tutti gli altri.