Andrea Carpita – Fluctuantia

Informazioni Evento

Luogo
CASA DEI CARRARESI
Via Palestro 33/35 31100 , Treviso, Italia
Date
Dal al

Mostra visitabile tutti i giorni nei seguenti orari: lunedì, martedì, giovedì dalle 9.00 alle 19.00, mercoledì dalle 9.00 alle 21.00, venerdì, sabato, domenica dalle 9.00 alle 20.00.

Vernissage
28/10/2012

ore 17.30

Artisti
Andrea Carpita
Curatori
Mattia Munari
Generi
arte contemporanea, personale
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La pittura di Andrea Carpita a un primo sguardo fugace e distratto potrebbe sembrare fin troppo semplice e talvolta decorativa, con una narrazione naturalmente adatta a nuove generazioni attratte da un mondo gotico e decadente, frutto di fantasie nutrite da un mix di musica punk, cinema e letteratura di fantascienza e manga giapponesi.

Comunicato stampa

Fluctuantia è ancora una volta il nome della nuova mostra personale di Andrea Carpita, giovane artista italiano nato nel 1988 a La Spezia. Il termine è un latinismo che è stato scelto per appropriarsi da un punto di vista culturale di un concetto tipicamente orientale: le “immagini del mondo fluttuante” appartenenti all’iconografia giapponese Hukiyo-e.
E’ passato circa un mese dalla conclusione dell’omonima mostra padovana curata da Stefano Annibaletto nei suggestivi spazi cinquecenteschi delle Scuderie di Palazzo Moroni.
L’omonimia e la breve durata della mostra indicano la volontà di portare un messaggio itinerante. Un evento insomma che approda a Treviso per mostrarsi a un nuovo pubblico e dialogare con un nuovo spazio: la Casa dei Carraresi. In concomitanza con la mostra Tibet, la personale di Carpita sarà visitabile al secondo piano della Casa dei Carraresi da domenica 28 ottobre – inaugurazione prevista per le ore 17.30 – fino al 4 novembre, restando aperta tutti i giorni.

Andrea Carpita, Fluctuantia. Casa dei Carraresi, dal 28 ottobre al 4 novembre 2012. Mostra visitabile tutti i giorni nei seguenti orari: lunedì, martedì, giovedì dalle 9.00 alle 19.00, mercoledì dalle 9.00 alle 21.00, venerdì, sabato, domenica dalle 9.00 alle 20.00.
Con la collaborazione e curatela di Mattia Munari.
Informazioni: [email protected], 393 1860510

La pittura di Andrea Carpita a un primo sguardo fugace e distratto potrebbe sembrare fin troppo semplice e talvolta decorativa, con una narrazione naturalmente adatta a nuove generazioni attratte da un mondo gotico e decadente, frutto di fantasie nutrite da un mix di musica punk, cinema e letteratura di fantascienza e manga giapponesi. Se guardato in fretta potrebbe essere sottovalutato ed etichettato come l’ultimo dei naif. Questo grossolano errore di valutazione ci renderebbe colpevoli, tuttavia, di un evitabile spreco di bellezza. Le opere di Carpita richiedono un tempo necessario alla loro contemplazione, all’ascolto, all’immersione e alla sintonizzazione delle nostre frequenze con le sue. Se questo avviene, capire e amare immediatamente la sua opera è davvero semplice. La sua straordinaria ricchezza di linguaggio, la moltitudine di elementi che lo compongono e arricchiscono, la sua fantasia e la padronanza assoluta con cui riesce a soppesare gli elementi della sua pittura, fanno di lui un predestinato. La componente surreale, percepibile nella sospensione delle particelle o nella mancanza voluta di prospettiva e proporzioni, ci apre le porte del sogno. Le sue visioni e apparizioni, nel sottile gioco che intercorre tra velare e ri-velare – è una macchia che diventa figura o una figura che scompare in una macchia? – partecipano al mistero della sua pittura che riesce abilmente a rapirci, distrarci e al contempo farci riflettere. Qual è il nostro ruolo nel mondo? Da dove veniamo e dove stiamo andando? Possiamo forse sottrarci alle leggi della natura e del divenire? In questa lettura l’uomo è praticamente onnipresente, ma viene rappresentato nella sua minima essenza, ridimensionato al cospetto della forza e sacralità della vita e della natura. Semplice abitante del pianeta e non più suo padrone.
Molteplici sono le tematiche trattate, sempre con la dovuta leggerezza e profondità, sempre lasciandoci il tempo per riflettere dinnanzi alle sue rivelazioni. Alcuni suoi lavori sono caratterizzati da una sospensione quasi metafisica, in cui la dimensione onirica e immaginaria è solo il pretesto per lasciarci nudi dinnanzi a una solitudine tangibile e dannatamente reale, che agli occhi dell’artista ci accomuna e perseguita.
Questo senso di vuoto è ripetutamente scandito nelle sue tele da presenze e assenze. Una sorta di malinconia romantica sottesa sempre al racconto principale. A volte questa sensazione è trasmessa da un solo elemento, come ad esempio un uomo (in Fabbrica Steiff, 2012: un unico uomo è presente in piedi dentro l’edificio e sembra guardare fuori da una vetrata la moltitudine di creature che popolano l’ambiente) altre volte lo stesso risultato è creato da un insieme di elementi isolati, come ad esempio gli alberi che appaiono sacri, come in ascolto di un ambiente nudo e desolante (Ochard, 2012).
Queste indagini introspettive, tanto personali quanto oggettive, sono enfatizzate da una pittura sapiente che, tra colature di acquaragia e bitume, non vuole mai prescindere dal bello. “Beauty is truth, truth is beauty”, scriveva John Keats. Carpita dipinge per leggere il libro del mondo. Per necessità fugge dal nostro tempo e dalla nostra cultura, alla ricerca della sua “urna greca”. La sua giusta dimensione l’ha trovata curiosando nella cultura orientale, nel Giappone e in particolar modo nell’opera di Katsushika Hokusai, che come Virgilio da tempo lo accompagna nel suo personalissimo viaggio. Tuttavia, gli elementi tipicamente e volutamente occidentali non mancano nelle sue rappresentazioni, come se comunque l’artista non perdesse mai di vista il suo punto di partenza e la sua identità (Dagli occhi cadere, 2011: gli interni dell’abitazione che domina il centro della scena sono chiaramente di gusto occidentale e moderno. Nonostante i continui riferimenti al Giappone il titolo stesso dell’opera, che ben rappresenta questo momento espressivo dell’artista, ha radici nostrane derivando dalla canzone/poesia khorakhanè di Fabrizio De André).
Le opere dell’ultimo periodo di Andrea Carpita appaiono più monocromatiche rispetto alla produzione precedente e pulite nell’esecuzione, vicine ad interpretazioni maggiormente concettuali. Il suo percorso lo sta portando verso una maggiore consapevolezza e padronanza dei suoi mezzi che si traduce in maggiore pulizia ed essenzialità nel racconto. L’ultimo filone della sua ricerca presentato nella mostra Fluctuantia introduce la tematica della montagna e del calvario, aggiungendo una nuova componente mistico/religiosa al suo racconto (Golgota, 2012; Calvario, 2012; Ceremony, 2012).

Mattia Munari