Alessandra Maio – Non sprecherò l’inchiostro
La mostra, studiata ad hoc per lo spazio SanGiorgio, è un condensato d’ironia pura intrecciata a presa di coscienza, il tutto rappresentato da piccoli/grandi animaletti che paiono voler dialogare con lo spettatore che, con una lente in mano, cerca di capire cosa ci cela “dietro le quinte”.
Comunicato stampa
Alessandra Maio, giovane artista bolognese, seconda classificata al Premio Opera/Fabbrica 2011, alla sua prima personale nella città felsinea, presenta NON SPRECHERO’ L’INCHIOSTRO, frutto di un lungo e maniacale lavoro di finissima scrittura ed elegante composizione di immagini e frasi. La mostra, studiata ad hoc per lo spazio SanGiorgio, è un condensato d’ironia pura intrecciata a presa di coscienza, il tutto rappresentato da piccoli/grandi animaletti che paiono voler dialogare con lo spettatore che, con una lente in mano, cerca di capire cosa ci cela “dietro le quinte”.
Del suo lavoro, Maio afferma: “Lego parole a immagini semplici esaltando la loro potenza attraverso la ripetizione ossessiva: scelgo frasi fatte o famose, cantilene, proverbi e le scrivo migliaia di volte componendo le trame fitte da cui scaturisce, come un ricamo, il disegno finale.”
Curata da Simona Gavioli, questa mostra vuole essere l'esordio dell’artista, il Coupe de Theatre per consacrarla ufficialmente tra le giovani promesse dell’arte contemporanea.
C’era una volta un libro che non voleva essere letto… Inizia cosi la favola Il libro di Bencivenga pieno di parole difficili, frasi incomprensibili, detti indecifrabili che nessuno riusciva a capire. Per leggerlo era necessario averne letti tanti altri e aver ascoltato discorsi sapienti da persone colte, era indispensabile avere la padronanza dell’idioma e un dizionario a portata di mano. Quel libro non faceva venir voglia di leggerlo e non stuzzicava la curiosità. Rimaneva sullo scaffale, isolato nella sua solitudine, senza essere mai aperto, mai sfogliato anche solo per uno sguardo. E poi arriva Alessandra Maio. Si avvicina alla libreria. Sceglie il libro che non voleva essere letto. Lo prende. Lo guarda. Lo sfoglia. Ne rimane colpita. Si siede e comincia a scrivere su un quadernino vecchio, rimastole dalla scuola elementare. Con una penna nera scribacchia frasi ironiche che le ricordano la sua infanzia, filastrocche, detti popolari, metafore, aforismi, figure retoriche. Alessandra inizia a scrivere il suo libro. Più semplice, più immediato e diretto, un libro che andrà a collocarsi di fianco a quello che non voleva essere letto e gli farà compagnia. Mentre ossessivamente scorre la biro, quasi fosse una punizione data dalla maestra, le parole, non solo assumono significato, ma si trasformano in disegno. La scrittura maniacale di Alessandra delinea la sagoma di piccoli animaletti che ci vogliono parlare. Nell’osservare ciò che accade, noteremo scarafaggi e pulci che dialogano in inglese: "I've not a beatle brain", “I can't hurt anyone", mantidi religiose che sussurrano: "Non sono una mangiatrice di uomini", grilli cantanti che affermano: "Non ho grilli per la testa" e sardine che “si sentono pesci fuor d’acqua”.
Il lavoro di Maio parte dall’ossessione della scrittura come pratica salvifica alla punizione scolastica. La scrittura si arma d’ironia per comporre la figura dell’animale in un gioco di piani sfalsati che faranno vedere la semplicità dell’opera, prima del concetto insito in essa. A una prima visione ciò che percepiamo è solamente la figura dell’animale rappresentato. Lo scorgiamo in tutta la sua bellezza, ne intravediamo i particolari, le forme e le caratteristiche in bianco e nero. È solo immediatamente dopo esserci avvicinati che la scena ci compare in tutta la sua totalità. La formica nasconde un messaggio, cosi come lo scarafaggio, la pulce o la coccinella. Come uno scolaro che si sente fuori posto o sbagliato perché parla dall’ultimo banco della classe, così, noi ci sentiamo estranei a qualcosa o a qualcuno come gli animaletti rappresentati nelle opere di Maio. La momentanea distrazione lascia il posto alla consapevolezza di ciò che veramente è, avvicinandoci alla redenzione che ci allontanerà dal “peccato”. Una lente d’ingrandimento ci accosta alla soluzione dell’enigma. Tocca solo afferrarla. Sembra prenderci in giro questa giovane artista bolognese classe 82’, si prende burla di noi lasciando post-it, qua e la, sulle pareti della nostra memoria. Chi non si è mai sentito un pesce fuor d’acqua o un verme alzi la mano. Chi non ha mai desiderato essere una mangiatrice di uomini o di portare fortuna, come una delle coccinelle che hanno preso residenza sui quaderni a righe dell’artista, faccia un passo avanti. Qui gli animali hanno una voce. Nel mondo di Alessandra, fatto di castelli di inchiostro e fondamenta di carta, l’incantesimo è negli occhi di chi guarda, nell'esauribile stupore di chi osserva le cose con l’innocenza di un bambino e di chi gioca a chiedersi “perché” sapendo che ogni risposta cela sempre in sé una nuova domanda. La storia della scrittura, si sa, racconta i vari tentativi dell’uomo di fissare le forme grafiche, di disegnare e di rappresentare la parola. Le lettere dell’alfabeto “segnalano le avventure dello spirito”. Chi si occupa di scrittura si relaziona al non-visibile, segue le tracce del corpo che guidano verso modus-vivendi, percorsi e sensi invisibili. Guardando un’opera di Alessandra Maio, mi immagino lei china sulla scrivania, con gli occhiali sul naso e con mille fogli che scorrono sotto la penna. Ogni sporcatura, se pur minima, diventa un’ombra importante. Fantastico di quaderni ovunque, davanti, dietro e di fronte, persino sul pavimento. La scrittura, come l’arte, ingombra la vita, soprattutto quando diventa urgente, compulsiva e ossessiva come quella di Alessandra.
Simona Gavioli