Aldo Buzzi e Saul Steinberg. Un’amicizia tra letteratura arte e cibo
Dopo Sondrio (Galleria Credito Valtellinese) e Forte dei Marmi (Museo della Satira) è finalmente approdata alla Biblioteca Nazionale Braidense la mostra ideata dal libraio antiquario Andrea Tomasetig in collaborazione con Marina Marchesi e Franco Salghetti-Drioli.
Comunicato stampa
Dopo Sondrio (Galleria Credito Valtellinese) e Forte dei Marmi (Museo della Satira) è finalmente approdata alla Biblioteca Nazionale Braidense la mostra ideata dal libraio antiquario Andrea Tomasetig in collaborazione con Marina Marchesi e Franco Salghetti-Drioli. La tappa milanese è stata arricchita di nuovi importanti materiali inediti e da una selezione delle pubblicazioni possedute dall’istituto di Brera. Tra le novità esposte segnaliamo subito i disegni anni Trenta e Quaranta, finora sconosciuti, dello scrittore lombardo, maestro di leggerezza e ironia, una sua sorprendente sceneggiatura sulla Rinascente del 1952, lo schedario di centinaia e centinaia di ricette manoscritte, a cui si aggiunge una serie di biglietti augurali natalizi e di buon anno del grande disegnatore romeno trapiantato a New York.
“È finalmente approdata a Milano” perché, sottolineiamo con orgoglio, si tratta della storia dell’intensa amicizia, personale, ma soprattutto intellettuale, che ha unito Aldo Buzzi e Saul Steinberg e che ha avuto come palcoscenico la nostra città. È il Politecnico ad accogliere negli anni Trenta i due giovani studenti di architettura ed è l’effervescente mondo editoriale, che qui ha la sua capitale, a esaltare fin dagli esordi il loro talento creativo, che comprende anche la gastronomia. Con questa iniziativa la Braidense conclude il programma di eventi legati a EXPO2015, rimarcando nel contempo quanto il suo patrimonio librario sia vasto ed eterogeneo.
L’archivio dello scrittore e la mostra che da esso prende corpo raccontano l’amicizia feconda tra Aldo Buzzi e Saul Steinberg che ha pochi paragoni nel Novecento per durata, intensità e importanza. Lo dimostrano l’intreccio, che solo l’archivio dispiegato può far risaltare, tra scrittura e grafica, tra i libri dell’uno e i disegni dell’altro, gli articoli in comune sulle riviste, i ritratti, le lettere, le fotografie, i biglietti e gli oggetti augurali, le agendine, le frasi tratte dai loro libri e riportate ingrandite. Materiali preziosi ora visibili grazie alla disponibilità di Marina Marchesi – figlia di Bianca Lattuada, la compagna di una vita – e del nipote Giovanni Cavedon, che aprono al pubblico il suo archivio, in larga parte inedito.
La mostra non è data dalla semplice somma delle carte di Buzzi (verso cui è in atto una più che doverosa “riscoperta”) e dei disegni a sé stanti di Steinberg, ma, al contrario, dal rapporto che unisce tra loro le opere esposte, raccolte con convinzione dallo scrittore nel corso della sua lunga vita e che ad esse ha attribuito un valore profondo, che solo ora appare tale anche a noi.
L’iniziativa si configura pertanto non come un omaggio “minore” al celebre disegnatore satirico del “New Yorker”, sulla scia delle molte esposizioni americane realizzate nel biennio 2014-15 per il centenario, ma come la presentazione forse più autentica di due grandi figure del Novecento.
Un filo conduttore è la comune passione per la gastronomia. Libri, disegni e oggetti la documentano in abbondanza e danno un sapore particolare alla mostra, non a caso avviata nell’anno dell’Expo.
La mostra, allestita in collaborazione con l’architetto Jacopo Gardella, si avvale del patrocinio del Politecnico di Milano e del sostegno della Fondazione GTechnology.
A complemento dell’esposizione in mostra sarà proiettata l’intervista televisiva realizzata da Sergio Zavoli a Steinberg nel 1967 (Rai Teche).
Ringraziamo la Saul Steinberg Foundation di New York, che ha appoggiato attivamente l’iniziativa, e inforniamo che la riproduzione sulla stampa delle opere in mostra dell’artista va
accompagnata dalla dicitura: copyright The Saul Steinberg Foundation.
Aldo Buzzi (1910-2009)
Ha vissuto molte vite Aldo Buzzi, e non solo perché ha avuto la ventura di arrivare a novantanove anni. Nato a Como nel 1910, ma milanese d’adozione e vissuto a lungo a Roma, ha attraversato con curiosità, ironia e disincanto l’intero Novecento, passando dall’architettura al cinema, all’editoria e alla letteratura.
All’inizio è architetto, con sodali come Lattuada, Comencini, Castellani e Steinberg, tutti, come lui, finiti a fare altro. Chiude quel primo periodo impaginando per l’amico Alberto Lattuada il volume Occhio quadrato, stampato da Corrente nel 1941, che segna la nascita del neorealismo nella fotografia. Ma ben pochi lo sanno.
Negli anni Quaranta e Cinquanta lavora a Roma nel mondo del cinema (accanto a Lattuada, Fellini, Comencini) come scenografo, costumista, sceneggiatore, aiuto regista. Pubblica subito un libro che non si dimentica, Taccuino dell’aiuto-regista (1944), impaginato questa volta dal suo amico Bruno Munari e divenuto una rarità antiquaria al pari del precedente. Intanto apprende dal mondo del cinema l’arte della sceneggiatura e del montaggio, che esercitano ad asciugare, alla sintesi e alla rapidità nell’alternare i piani del racconto, esperienze che gli risulteranno utili poi nell’editoria e nella scrittura. Ammette con franchezza il debito nei confronti del cinema: “Mi ha insegnato a scrivere. Il montaggio è fondamentale. L’arte di cucire insieme scene diverse, distanti tra loro, è essenziale per un narratore”. Ma da regista firma solo, insieme al grande fotografo Enrico Patellani, il film documentario America pagana, mai distribuito per fallimento del produttore.
Negli anni Sessanta è traduttore e poi redattore capo della narrativa alla Rizzoli a Milano per una decina d’anni, curando in particolare le opere di Flaiano, Soldati e Mastronardi, dei quali diviene anche amico ascoltato. Il suo è un lavoro prezioso e importante, da dietro le quinte.
Arriva finalmente il momento più atteso, la vita desiderata, quella di scrittore. Il destino gli riserva il ruolo di scrittore defilato in tarda età di pochi raffinati libri (i più noti sono L’uovo alla kok del 1979 e Čechov a Sondrio del 1991), apprezzati senza riserve da selezionati critici e lettori, dove spesso il cibo è un pretesto per parlare della vita e della letteratura con occhio disincantato.
Le pagine dedicate al cibo ne fanno, al riguardo, l’autore più significativo dell’intero Novecento italiano e un riferimento obbligato anche all’estero, dove è stato tradotto in molte lingue.
Saul Steinberg (1914-1999)
Anche se la fama di Saul Steinberg, all’apice negli anni Sessanta e Settanta, si è un po’ offuscata qui in Italia presso il grande pubblico, rimanendo viva prevalentemente tra gli addetti ai lavori, non è così negli Stati Uniti. Dove è tuttora considerato il più grande disegnatore del secondo Novecento e dove gli hanno dedicato mostre su mostre in occasione del centenario della nascita, specie nella sua New York.
Vivente, il suo status artistico è via via lievitato da cartoonist (disegnatore umoristico), quale era etichettato all’inizio, a disegnatore che per primo e con acutezza ha colto il nuovo paesaggio urbano e della provincia profonda, architettonico, sociale e simbolico dell’America del dopoguerra, paradigma dell’intero Occidente, fino ad artista che si confronta alla pari con le correnti più avanzate dell’arte contemporanea, facendo loro il verso con un segno modernissimo, ironico e inquietante, che non ha bisogno di parole e didascalie. Il tutto rilanciato immediatamente nel mondo – negli anni della nascente comunicazione di massa – dalle pagine del più sofisticato settimanale americano, The New Yorker, a cui ha sempre collaborato. Alcuni autorevoli storici dell’arte lo considerano “un genio” (Federico Zeri) o addirittura si domandano se non sia lui, per niente incasellabile, l’artista simbolo del Novecento (Harold Rosenberg). Dietro i successi artistici e professionali di Saul Steinberg nell’America del dopoguerra c’è l’occhio implacabile che tutto registra di un ebreo romeno memore dell’antisemitismo balcanico, sfuggito a Milano alle leggi razziali e all’arresto, di un eterno straniero in patria, di uno scrittore che – come l’amico aveva colto – “disegna invece di scrivere” (“Non scriveva perché per scrivere ci vuole una lingua, una madre lingua che lui non possedeva”). Dietro l’artista cosmopolita, uomo di mondo dalle mille relazioni e gran viaggiatore c’è “un uomo pieno di dubbi”, nevrotico, spesso malinconico e depresso, inquieto, che si nasconde con metodo e molte maschere allo sguardo indagatore altrui. Ma a fianco di questo Steinberg c’è anche l’amico milanese che lo ha salvato ospitandolo da clandestino, che ha scritto la prima lungimirante recensione apparsa su di lui (“Domus”, ottobre 1946), che dal 1945 al 1999 intrattiene una straordinaria corrispondenza capace di svelarne fino in fondo l’animo e i pensieri segreti e di consacrarlo, seppur postumo, scrittore in lingua italiana.