Against Sun and Dust

Informazioni Evento

Luogo
VILLA IMPERIALE
Strada dei Cipressi, 63, 61121, Pesaro, Italia
Date
Dal al

visitabile di mercoledì e venerdì fino al 15 settembre, negli orari di apertura di Villa Imperiale.

Vernissage
04/08/2022

SOLO SU INVITO

Curatori
Cornelia Mattiacci, Alessandra Castelbarco Albani
Generi
arte contemporanea
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Terza edizione del progetto Against Sun and Dust che si terrà a Villa Imperiale.

Comunicato stampa

Against Sun and Dust
Una sezione è un’astrazione che permette di cogliere a
colpo d’occhio l’infrastruttura di un edificio. Il disegno
disegno in cui riecheggiano i volumi della Basilica di
Massenzio. Non si ha notizia di spettacoli effettivamente
realizzati proprio in quest’area, ma è noto come spesso i
soggetti rappresentati nelle corti rinascimentali fossero
quelli della classicità che, trattando eventi e mitologie
originati nel fiorire dell’Impero, permettevano di trasporre
metaforicamente un preciso messaggio politico e
culturale. La performance Sosia è ispirata alle vicende del
servo di Anfitrione, protagonista dell’omonima commedia
di Plauto, e rappresenta la prima collaborazione dell’artista
Jacopo Benassi con i musicisti Roberto Bertacchini, Paolo
Spaccamonti e Stefano Pilia. Al buio, in un’arena del
suono che dà forma a un canovaccio di improvvisazione
elettronica, Benassi si muove tra il pubblico con uno
strumento composito, una macchina fotografica unita a
un flicorno – dove il fiato compie nell’ottone un buon
circuito prima di restituirne il suono. Contatto fisico
e aggregazione moshing – eredità dei concerti punk -
riecheggiano in un’azione musicale-fotografica, in cui il
pubblico, veicolo della commedia del doppio, nel tempo
di un flash diventa soggetto.
Proseguendo verso est, la pineta diventa barricata
sonora di Katatonic Silentio – nome d’arte di Mariachiara
Troianiello – presentando una performance curata da
Ruggero Pietromarchi che incorpora il Bass Unity Sound
System, cassa di risonanza conclusiva dell’intero percorso.
La tradizione dei sound system nasce in Giamaica negli
anni Sessanta, un muro di suono e vibrazioni che dal
reggae si espande alla scena della club culture e al
contesto rave. Installato di fronte a una quinta vegetale
tra pini e siepi “post-modern”, il Bass Unity Sound System
è il versatile strumento di Katatonic Silentio. Il set si
apre a una contaminazione di generi in cui riverberano
le sonorità legate alla musica sperimentale e concreta di
un’artista il cui nome stesso ci ricorda l’importanza della
pausa nella musica, del negativo della costruzione.
È in un giorno di agosto di fine Cinquecento che si
sviluppa il racconto del letterato pesarese Ludovico
Agostini, che oltre a descrivere gli ambienti e la vita di
corte, svela con sguardo moderno le potenzialità artistiche
del programma della villa. Dal 2020, il breve racconto
ha ispirato il ciclo del nostro progetto contemporaneo,
che ogni estate presenta il lavoro di una selezione di
artisti invitati a concepire gli interventi in relazione alla
storia e alle caratteristiche di Villa Imperiale, portando il
pubblico a scoprire spazi interni ed esterni del complesso
rinascimentale, alcuni dei quali non accessibili durante il
consueto percorso di visita.
Se, come allora, Against Sun and Dust si sviluppa, nella
sua interezza, solo nell’arco di un giorno e di una notte,
la “virtualizzazione” dell’itinerario permane, attraverso i
contributi digitali dello studio No Text Azienda e le parole
di Edoardo Totaro.
Il titolo Against Sun and Dust reinterpreta liberamente
il motto culturale e politico della villa, composto
dall’umanista Pietro Bembo e iscritto lungo i muri esterni
e interni. Leonora Gonzaga dedica il progetto al marito
Francesco Maria Della Rovere, in compensazione della
fatica fisica e psicologica della battaglia, “Pro sole pro
pulvere pro vigiliis pro laboribus [...]”: un luogo costruito
per fare fluire la vita. Non una fortezza dell’isolamento
privato, ma un luogo di celebrazione collettiva e teatro
di sperimentazione di differenti linguaggi. A causa
della prematura morte del duca, la villa non venne mai
definitivamente completata, e nei secoli non fu mai
esperita come da originarie intenzioni dei coniugi.
Alla sua terza edizione, Against Sun and Dust, continuando
a esplorare le potenzialità artistiche e performantive del
complesso, prova a portare in luce l’infrastruttura più
segreta del programma originario di Villa Imperiale.
Cornelia Mattiacci
Alessandra Castelbarco Albani
di Giacomo Luchena realizzato per la terza edizione di
Against Sun and Dust – un libero d’apres Gianfrancesco
Bonamici, architetto riminese che realizzò il rilievo
dell’Imperiale a metà Settecento – illustra il sistema di
comunicazione, le scale che consentono di superare i
vari dislivelli, e l’impianto idrico, alimentato dalla grande
cisterna d’acqua al di sotto del giardino pensile – ovvero
il lato funzionale, privato e più buio della villa.
Girolamo Genga – lo scenografo-architetto a cui i
Della Rovere commissionarono l’ampliamento, la
villa-fortezza estiva che si collega al preesistente
edificio quattrocentesco – modella gli spazi come
una giustapposizione di scenografie permanenti,
apparentemente indipendenti tra loro; per potenziare
l’effetto di sorpresa, il passaggio da una scena – da
un livello – all’altra rimane celato, e di fatto sono del
tutto assenti scale monumentali. La villa si scopre
nell’attraversamento, si coglie nel suo insieme solo grazie
alla sezione e all’astrazione del disegno, camminando per
percorsi tangenti il bosco e salendo scale che potrebbero
sembrare di servizio, dipanandosi dietro le quinte di
luminosi cortili e giardini, palco della vita pubblica.
La terza edizione di Against Sun and Dust si innesta su
questa infrastruttura segreta, di condutture e di percorsi
pensati per l’uomo e per l’acqua. Lo stesso nome della
città, Pesaro, ha un legame con questo elemento,
prendendo probabilmente origine dall’antico nome
del fiume Foglia, che nel passato si chiamava Isaurus o
Pisaurus, con un possibile ascendente nel greco “piséys”
o “abitante di palude”; il quartiere che si attraversa prima
di raggiungere la villa, Soria – “sub ripa” – anticamente era
molto più ampio e comprendeva tutta la zona del monte
San Bartolo bagnata dal mare.
Il film di Alia Farid Chibayish (2022), proiettato nel
loggiato del cortile roveresco, è stato girato alla
confluenza dei fiumi Tigri ed Eufrate e riprende le
interazioni dell’artista con tre giovani abitanti delle
paludi: Riad Samir, Jassim e Qassim Mohammed. I
ragazzi richiamano il loro bufalo dall’acqua, descrivono
la geografia del territorio e nominano i membri della
comunità, mentre attraversano una palude invasa da
infrastrutture petrolifere e rifiuti industriali. Chibayish
è parte di un gruppo di lavori che Farid ha sviluppato a
partire dal 2018, incentrati sull’impatto delle industrie
estrattive sul tessuto ecologico e sociale nell’Iraq
meridionale e in Kuwait. Il film è una riflessione su
identità culturale, storia, colonialismo e sul diritto di
rimanere. La componente sonora di Chibayish – una
combinazione di dialetto iracheno , imitazione dei versi
degli animali e canto – riverbera nella sala biabsidata,
originariamente destinata alla lettura di poesie. Proprio di
fronte al loggiato, una parete decorata con grandi anfore
delimita il negativo del cortile roveresco: al suo interno,
un camminamento in penombra articola una sequenza
di ambienti, i “bagni” e una grotta artificiale, dove
originariamente era collocata una fontana, fulcro di un
sistema di giochi d’acqua progettato ma mai completato
del tutto; sezionando questi ambienti, si arriverebbe
all’enorme cisterna, la risorsa idrica che permette di
irrigare il complesso sistema di giardini pensili e terrazzati
sovrastanti, e che la siccità registrata quest’anno ha fatto
scendere ai minimi storici.
Per raggiungere l’ultimo livello, il pubblico è invitato
a salire le scale che portano alla scena successiva:
il panoramico giardino all’italiana, confine del
progetto umano sulla natura, prima della dissoluzione
dell’architettura nel paesaggio circostante. Passando
attraverso una porta, si cammina nel bosco verso la Cabin,
recente costruzione in legno e vetro concepita per la
meditazione e l’osservazione di animali selvatici, che si
mimetizza tra il nero e l’oro degli alberi al tramonto. La
Cabin è il fulcro della scena di Macbeth – a performance
in the woods. Il Macbeth, dramma shakespeariano su cui
Verdi basa la sua omonima opera nel 1847, nella regia
di Matteo Anselmi si sviluppa in una commistione di
linguaggi in cui prosa, lirica, danza e musica coesistono.
I brani vengono eseguiti al pianoforte da Marta Tacconi
e, per l’occasione, l’orchestrazione dal vivo di tracce
musicali e voci è affidata al sound designer Edoardo
Rossano. Nel dramma, ambientato in Scozia nel Medioevo,
il bosco ha valenza di personaggio: a Macbeth viene
predetto che sarà re finché “la foresta di Birman non gli
muoverà contro”, ovvero quando i soldati mimetizzati con
rami d’albero lo attaccheranno, mentre la Cabin diventa il
claustrofobico prisma del desiderio di potere di Macbeth
e Lady Macbeth.
Dal bosco si scende verso il lato sud della villa, arrivando
alla facciata roveresca concepita come un vero e proprio
fronte scenico, caratterizzata da nicchie voltate passanti