Terremoto in Turchia. Crolla anche l’antico castello di Gaziantep

Mentre continua a salire l’ingente numero di vittime causato dal sisma che nella notte ha colpito il sud-est della Turchia e il nord della Siria, si segnalano i primi danni al patrimonio culturale della regione. Preoccupazione per Aleppo

Rischia di diventare uno dei simboli della devastazione causata dal terremoto di magnitudo 7.9 che ha colpito nella notte tra il 5 e il 6 febbraio la Turchia – solo l’ultimo in ordine di tempo, in una regione del Mediterraneo ad alto rischio sismico – l’antico castello di Gaziantep, sopravvissuto indenne a secoli di storia (e terremoti) e ora ridotto a un cumulo di macerie. L’epicentro del sisma, il più violento in Turchia dal 1999 a oggi (ma il presidente Erdogan parla del “più grande disastro dopo il terremoto di Erzincan del 1939“), è stato registrato nel sud-est del Paese, al confine con la Siria, anch’essa duramente colpita nella regione nord, con Aleppo, già martoriata dal prolungato stato di guerra, che conta decine di edifici crollati. E il bilancio delle vittime, provvisoriamente fissato a 1.300 morti (oltre a migliaia di feriti e dispersi), continua a salire di ora in ora; in queste prime fasi di ricognizione, è lo United States Geological Survey a stilare la previsione più drammatica, basandosi sui dati storici dei terremoti nella regione e ipotizzando 10mila vittime e danni per un ammontare economico compreso tra un miliardo e dieci miliardi di dollari.

Castello di Gaziantep, Turchia. Photo Dosseman, CC BY SA 4.0 via Wikimedia Commons

Castello di Gaziantep, Turchia. Photo Dosseman, CC BY SA 4.0 via Wikimedia Commons

DISTRUTTO IL CASTELLO DI GAZIANTEP

Tra le aree interessate, la città di Gaziantep, a una cinquantina di chilometri dal confine siriano, già denuncia centinaia di edifici distrutti dalla sequenza di scosse che ha fatto fuggire la popolazione in strada nel cuore della notte: nel centro abitato è quasi completamente crollata la Chiesa dell’Annunciazione di Iskenderun, cattedrale cattolica risalente al XIX secolo, ma è il castello di epoca romana, costruito tra il II e III secolo sulle fondamenta di una precedente fortezza ittita, sulla sommità di una collina in posizione dominante sul centro della città, a segnalare la portata dell’evento sismico. Con l’ultima ristrutturazione, legata all’impero di Giustiniano (tra il 527 e il 565 d.C), il Gaziantep Kalesi aveva assunto le sembianze attuali, conservando per oltre duemila anni le possenti mura perimetrali, lunghe oltre un chilometro e scandite da dodici torri, a protezione del nucleo centrale. Ricordato localmente per la strenua difesa contro le truppe francesi dopo la caduta dell’impero ottomano nel 1921, il castello, che dunque ha assunto nel tempo anche un forte valore simbolico, ospitava dal 1940 il Museo della difesa e dell’eroismo di Gaziantep ed era nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco. Con buona probabilità sono andati distrutti i reperti che conservava nelle sale riallestite nel 2017, oggetti in vetro ittiti, romani, ellenistici, oltre alle lapidi pagane di Zeugma conservate nel giardino. Nel crollo dell’edificio sembrerebbe rimasta coinvolta anche l’adiacente moschea Sirvani, edificio risalente al XVII secolo, che mostrerebbe danni ingenti alla cupola. E anche la cittadina di Malatya piange l’ennesima devastazione di uno storico edificio di culto, la Yeni Mosque, ribattezzata “nuova” (yeni) perché già ricostruita alla fine del XIX secolo in seguito a un terremoto, e restaurata negli Anni Sessanta per i danni subiti dopo un sisma di minore entità. Nella notte, la copertura della moschea è collassata.

L’ALLARME DELL’UNESCO PER ALEPPO

Sempre nel sud della Turchia, la furia del sisma ha spazzato via anche diversi edifici della cittadella fortificata di Diyarbakır con i Giardini Hevsel, importante sito archeologico e storico, testimonianza dell’avvicendarsi delle dominazioni romana, sassanide, bizantina, islamica e ottomana. Ed è ancora da accertare l’entità dei danni in altri siti tutelati dall’Unesco non lontani dall’epicentro, come Göbekli Tepe, Nemrut Dağ e Tell di Arslantepe. Per questo l’organizzazione internazionale, in collaborazione con l’Icomos, si è già attivata per redigere un valutazione quanto più possibile precisa sul territorio, con l’obiettivo di mettere in sicurezza le situazioni più precarie. Molto compromesso è anche lo scenario siriano, con il nucleo antico di Aleppo franato in più punti, dalla torre occidentale delle mura della città vecchia a diversi edifici dei souk, in un contesto purtroppo avvezzo alla precarietà, tornato a “respirare” grazie ai cantieri di restauro post-bellici conclusi nel 2018, e ora nuovamente in pericolo. Danneggiata in città anche la moschea di Ayubi.

Livia Montagnoli

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