Emergenza Coronavirus: anche la Svizzera inizia a chiudere

In un Paese che fino a oggi sembra confondere il concetto di patria neutralità con quello di immunità (biologica, non giuridica), la drammatica situazione dell’Italia flagellata dal Coronavirus non sembra insegnare nulla: teatri e musei hanno chiuso al pubblico solo lo scorso sabato e molte gallerie restano (per ora) aperte.

Mentre da una settimana gli italiani devono compilare un’autocertificazione anche per poter uscire a comprare il pane, fino a venerdì scorso, in Svizzera ‒ dove avere un rifugio antiatomico in ogni abitazione è obbligatorio per legge ‒ musei, gallerie e teatri restavano aperti. È infatti solo a partire dal 13 marzo che il Consiglio federale ha imposto nei 26 Cantoni svizzeri la chiusura delle scuole, il divieto di manifestazioni pubbliche e private, assembramenti con più di 100 persone e la chiusura degli “esercizi di intrattenimento”.

RESTARE APERTI

L’elenco di tali esercizi del Canton Ticino, che nella nota del proprio Consiglio di Stato accenna anche alle risoluzioni adottate dal governo italiano per il contenimento della diffusione del Covid-19, comprende biblioteche, archivi, cinema, teatri, musei, centri sportivi e “locali erotici”. Forse perché il concetto di chiusura è intrinsecamente agli antipodi rispetto a quello di cultura, in Svizzera la parola d’ordine del settore sembra essere stata fino a oggi “restare aperti”. Naturalmente, nel rispetto della legge: quando lo scorso 28 febbraio venivano applicate le prime misure a protezione della collettività e banditi eventi con più di 1000 partecipanti, l’Opernhaus di Zurigo, affettuosamente definita dai locali “la più piccola delle grandi opere al mondo”, si premurava di comunicare il proprio adempimento, rassicurando che gli spettacoli, fino a nuove disposizioni, si sarebbero tenuti con un massimo di 900 spettatori. Anche la Fondazione Beyeler di Basilea, fino all’annuncio di chiusura imposto lo scorso venerdì, evidenziava sull’homepage del proprio sito il fatto che “il museo non è interessato dai divieti sugli eventi pubblici” in quanto “le autorità locali a Basilea non vedono al momento ragione per chiuder(lo)”.

LE GALLERIE

E le gallerie? Come in tutto il mondo, finora fanno da sé. Mentre, ancora venerdì scorso, Tiwany Contemporary da Londra comunicava la cancellazione di un’imminente private view, A Gentil Carioca da Rio de Janeiro e Galería Elba Benítez da Madrid annunciavano l’apertura solo su appuntamento e l’attivazione del telelavoro, Mindy Solomon Gallery da Miami e Galerie Templon e Galerie Anne de Villepoix da Parigi mandavano reminder dell’inaugurazione del giorno successivo, Galerie Eva Presenhuber inaugurava una mostra nella sede di Zurigo. Da parte sua, il colosso Hauser & Wirth, in una comunicazione del 13 marzo, annunciava la chiusura temporanea delle gallerie di New York e di Los Angeles, confermando contestualmente che le location di Londra, Somerset e ‒ naturalmente ‒ Zurigo rimarranno aperte. La situazione, rassicurano i bene informati, è in rapida evoluzione. Intanto, tramite la popolare testata swissinfo.ch, l’Ufficio Federale della Sanità Pubblica precisa che il fatto di scatenare il panico tossendo in faccia a qualcuno non è reato contemplato dalla legge.

Edera Karmann

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Dagli anni Settanta tra arte, design e archivi.

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